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Sanità lombarda: eccellenza? Del profitto

La necessità della nazionalizzazione dei settori strategici dell’economia, resa evidente dal crollo del ponte Morandi, così come dalla vicenda ILVA, va di pari passo con la richiesta di re-internalizzazione dei servizi pubblici e del welfare, come condizione necessaria per il controllo popolare e pubblico in opposizione al controllo del profitto e dei mercati. L’abbiamo ribadito più volte sul nostro giornale, e abbiamo dato ampio spazio alla manifestazione convocata domani 20 di ottobre a Roma proprio su questi temi.

Il mantra del “efficienza del privato” si infrange di fronte ai dati, anche se poi si cerca di occultarli come in questo caso. Proprio nei giorni in cui nuovi incendi di rifiuti plastici appestano l’aria di Milano e hinterland, è polemica sulla sanità lombarda, decantata come eccellenza nel panorama nazionale. Una divaricazione fra la narrazione e la realtà, che appare sempre più evidente.

La relazione 2017 degli ispettori della regione Lombardia sugli audit eseguiti nelle strutture sanitarie, finora non pubblicata dalla giunta regionale ma i cui dati principali sono stati resi pubblici in una mozione del consigliere regionale Michele Usielli, medico, offre la conferma che il sistema sanitario lombardo, la tanto decantata ’eccellenza lombarda’, non ha come obiettivo la salute dei pazienti ma la massimizzazione dei profitti fatti sulla pelle dei pazienti, in un intreccio di interessi tra politica, aziende private e operatori del settore.

Già nei lunghi anni delle quattro giunte Formigoni si ricordano,tra gli altri, il clamoroso crac del San Raffaele fondato da Don Verzè, lo scandalo della clinica S.Rita, con la pesante condanna del primario Brega Massone per gli interventi chirurgici non necessari effettuati con l’unico scopo di ottenere rimborsi dalla Regione, e la vicenda dei fondi neri della Fondazione Maugeri, che ha ottenuto dalla Regione decine di milioni per finte consulenze e appalti fittizi, vicenda per la quale lo stesso Formigoni è stato recentemente condannato in appello a 7 anni e mezzo per corruzione.

Il suo successore, il leghista Maroni, ha agito in perfetta continuità proseguendo col taglio dei servizi offerti dalla sanità pubblica, esternalizzando settori sempre più ampi e continuando con l’accreditamento di strutture private. Così nel 2016 la Lombardia è arrivata a spendere 9,7 miliardi per servizi sanitari erogati direttamente e 7,8 miliardi per servizi sanitari erogati in regime di convenzione dai privati accreditati, oltre a circa 1 miliardo di spese varie. E in perfetta continuità si sono susseguite anche le disavventure giudiziarie di politici e imprenditori, a partire dall’arresto nel 2015 dell’assessore alla salute Mantovani di Forza Italia, per proseguire l’anno seguente con l’arresto dell’ex consigliere regionale leghista Rizzi per tangenti su appalti odontoiatrici, senza dimenticare tra il 2017 e il 2018 i quattro primari del Gaetano Pini e del Galeazzi e i 18 medici monzesi indagati per mazzette in cambio dell’acquisto di protesi di scarsa qualità.

Che l’obiettivo di chi ha governato la Regione, e che ha avuto in tutti questi anni una contiguità intrinsecamente corruttiva con ambienti industriali e finanziari, sia mettere la sanità lombarda al servizio del profitto dei privati è confermato anche dal coinvolgimento delle strutture private convenzionate nell’operazione deliberata qualche mese fa e che prevede la nomina di un gestore per i pazienti cronici.

La relazione degli ispettori, sottolineato che la spesa farmaceutica per abitante in Lombardia è stata di 229 euro a fronte, per esempio, dei 158 euro del Trentino, rileva come in oltre la metà delle ASST, le ex ASL, e degli ospedali più del 50 per cento degli indicatori considerati risultano insufficienti rispetto al metodo di valutazione utilizzato, il ‘Sistema di valutazione Bersaglio’ messo a punto dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

Evidentemente non sono partite dall’analisi dei bisogni dei pazienti le strutture nelle quali sono stati svolti gli audit se gli ispettori segnalano criticità nelle procedure di acquisto dei dispositivi medici, nello svolgimento delle prestazioni intramoenia, per le quali chiedono di introdurre metodi di controllo sistematico, nella tracciabilità del passaggio dei pazienti dal percorso istituzionale a quello intramoenia, oppure se indicano la carenza di motivazione in provvedimenti assunti e la necessità di esplicitare chiaramente i criteri adottati nella scelta dei fornitori oppure se segnalano l’inadeguatezza delle procedure di affidamento sotto soglia.

E intanto i tempi d’attesa per ottenere prestazioni dalla sanità pubblica lombarda aumentano. Nel rapporto Polis 2018 sui tempi di attesa per le prestazioni ambulatoriali rilevati nei due anni precedenti (un rapporto che con involontaria ironia individua come segue i motivi che concorrono a creare lunghe liste d’attesa: l’aumento dell’età dei pazienti e quindi della domanda dei servizi, il miglioramento tecnologico per analisi e diagnosi, il comportamento dell’utenza che a volte crea disfunzioni come ad esempio quando la persona prenota ma poi non si presenta e non informa l’erogatore oppure effettua prenotazioni multiple senza comunicare la scelta della sede definitiva, richieste inappropriate determinate sia da prescrittori che dall’utenza, infine alcune particolari situazioni di carenze organizzative) si scopre che per una mammografia monolaterale l’attesa è di 124 giorni, 97 giorni per una visita oculistica e 95 per una colonscopia, per un’ecografia i giorni sono 59 giorni e per una TAC 39. Ma l’attesa non è d’obbligo. Chi si rivolge al privato ottiene le prestazioni in pochissimi giorni. Per tutti gli altri la ripubblicizzazione dei servizi e la nazionalizzazione devono essere le priorità.

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