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Suruwa è morto bruciato nella baraccopoli di San Ferdinando. Nel giorno che festeggia la fine della schiavitù

Suruwa Jaiteh aveva 18 anni soltanto ed era arrivato in Italia un anno fa dal Gambia in cerca di futuro. Voleva studiare, ha trovato invece la disperazione e la morte, come tanti altri prima di lui nelle campagne italiane, come migliaia di esseri umani nelle acque del Mediterraneo. La sua vita è stata stroncata dal fuoco che ha divorato questa notte la tenda nella quale dormiva nella baraccopoli di San Ferdinando, lì nella piana di Gioia Tauro dove da almeno trent’anni masse di braccianti immigrati sono sfruttati e schiavizzati nella raccolta degli agrumi e delle altre produzioni ortofrutticole per una manciata di euro al giorno.
Il fuoco di un braciere acceso per proteggersi dal freddo della notte ha fatto fare a Suruwa Jaiteh la stessa orribile fine di Becky Moses, morta carbonizzata il 28 gennaio scorso. Sempre da San Ferdinando veniva Soumaila Sacko, ucciso a fucilate il 2 giugno di quest’anno soltanto perché sempre in prima fila, in qualità di delegato dell’Unione Sindacale di Base, per aiutare i braccianti che cercavano di allestire una sistemazione di fortuna.
Quello di oggi non è dunque il primo incendio e non sarà nemmeno l’ultimo, almeno finché non si deciderà di tradurre in azioni le parole dette ai tanti tavoli ufficiali convocati su San Ferdinando, dove tra tendopoli ufficiale e baraccopoli spontanea non si contano mai meno di duemila braccianti in attesa di essere ingaggiati per il lavoro nei campi.
Subito dopo la morte di Soumaila Sacko ai rappresentanti USB era stato promesso di tutto di più: tavolo interministeriale sul lavoro dei braccianti, sblocco della situazione abitativa e amministrativa dei migranti, nuovi modelli di reclutamento. Nulla di tutto ciò si è avverato, nonostante gli impegni dei ministri Di Maio e Centinaio, anche dopo la terribile carneficina del mese di settembre nel Foggiano, con ben 16 braccianti morti in due diversi incidenti stradali. Il ministro Salvini invece, eletto in Calabria, impegni con i braccianti non ne ha presi. Per lui semplicemente non esistono.
Oggi noi constatiamo che USB è stata invitata ai tavoli convocati dal prefetto di Reggio Calabria soltanto dopo aver duramente contestato il 19 novembre scorso il nuovo andazzo, che sta trasformando tutta la situazione del lavoro bracciantile in un problema di ordine pubblico, in omaggio alla linea dura salviniana. La stessa che appena ieri ha visto decine e decine di migranti espulsi dal Cara di Crotone e abbandonati in mezzo alla strada, minori compresi.
Oggi noi constatiamo che Suruwa Jaiteh è morto proprio nella giornata in cui le Nazioni Unite celebrano l’abolizione della schiavitù e dello sfruttamento. Schiavitù abolita formalmente in tutto il mondo ma perpetuata sotto varie forme anche nella civile Italia, che dei braccianti ha fatto i nuovi schiavi.
L’Unione Sindacale di Base reclama con forza giustizia per Suruwa Jaiteh, ed esprime vicinanza e solidarietà a Soumbou Jaiteh, suo fratello, accorso a San Ferdinando da Catania.
L’Usb chiede ufficialmente al prefetto di Reggio Calabria e agli enti locali di passare dalle parole ai fatti concreti per superare lo scempio della baraccopoli e invita tutte e tutti a scendere in piazza a Roma il 15 dicembre nella manifestazione nazionale Get Up Stand Up for your rights, convocata da una vasta rete di associazioni contro la discriminazione e il razzismo.

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