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Il monito di Noi Restiamo: studia, organizzati, lotta!

Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza.

Così scriveva Antonio Gramsci sul primo numero de «L’Ordine Nuovo», andato in stampa il primo maggio del 1919. A quasi cento anni di distanza, quelle parole possono essere indicate come il filo rosso su cui si dipana il nuovo opuscolo pubblicato dalle compagne e dai compagni di Noi Restiamo.

Altra “coincidenza”, è stata proprio l’Università di Torino, città dove fu fondato il periodico sopra menzionato, il luogo in cui Noi Restiamo, assieme ad altre realtà studentesche, ha messo in «Atto» una serie di mobilitazioni contro la privatizzazione degli spazi, una volta pubblici, in forza all’ateneo piemontese.

La pubblicazione qui in oggetto, «Se viviamo è per camminare sulla testa dei re», disponibile direttamente sul loro sito, intende «non solo fornire un resoconto riguardo le questioni sollevate durante le manifestazioni», ma soprattutto vuole essere un approfondimento circa «il metodo che ci ha permesso di sviluppare questa lotta». Questo breve testo, continuano i compagni di stanza a Torino, «è un’analisi militante, una lezione che la realtà ci ha dato ed un’arma che utilizziamo per modificarla. Il nesso tra attivazione soggettiva e realtà oggettiva è la chiave di lettura».

Eccolo qui, condensato in poche ed efficaci parole, il valore aggiunto che quest’ultima fatica vuole apportare alle pratiche di lotta che si muovono non solo nella città di riferimento, ma anche nel resto dello stivale. Ed è qui, di nuovo, che emerge l’insegnamento di Gramsci, potremmo dire, fatto proprio e messo in pratica durante i quasi tre mesi di mobilitazioni.

La cronaca dei fatti, anche se passati «quasi inosservati» agli occhi dei grandi media, ha invece suscitato un «moto di ribellione» negli studenti anche non direttamente militanti. Stiamo parlando dell’apertura di più di un fast food all’interno di un complesso di proprietà dell’UniTo, la Palazzina Aldo Moro, della grandezza di circa 20 mila mq, affidato però per i prossimi 29 anni in gestione a un’azienda privata (la University service project) che si era impegnata nella sua stessa costruzione, non avendo, l’UniTo, risorse sufficienti a tale scopo.

Ora, una storia del genere, oltre che intuitivamente stridente con un concetto di gestione pubblica della sfera dell’istruzione, a partire in questo caso dagli spazi a disposizione degli studenti, può assumere invece le caratteristiche di una battaglia contro la struttura portante delle storture di questo “modo di produzione” solo se, da una parte, si ha un’analisi il più aderente possibile alle tendenze che esprime la realtà in cui si agisce, e dall’altra, si è in grado di aggiustare in corso d’opera la propria azione in conformità con i passaggi che la realtà stessa impone.

L’obiettivo di questo opuscolo è appunto dare risalto a questi due punti, e, tra l’latro, le pagine scritte dalle studentesse e dagli studenti protagonisti sono parte di integrante di questa stessa visione della lotta.

In concreto, Noi Restiamo aveva già prodotto del materiale di riflessione sulla via intrapresa dall’Università di Torino, esprimendo la lettura di un contesto che, più che di globalizzazione, si caratterizza per l’inasprimento della competizione globale, il quale ovviamente non risparmia il mondo dell’istruzione e quello della formazione. In quest’ottica, la cannibalizzazione del settore privato ai danni di quello pubblico, non tanto in antitesi ma con la complicità di quest’ultimo, è il segno da cui partire per intendere i cambiamenti che si riscontrano nella realtà.

Allora, l’apertura di un Burger King e di un McDonald’s in luoghi in cui sarebbero potuti sorgere aule studio, biblioteche o mense universitarie, può essere letta come l’espressione particolare di una tendenza più generale proprio perché quella tendenza era stata già colta da un riflessione precedente, e ha permesso di esprimere parole d’ordine di rottura non solo verso un servizio “non idoneo”, quanto piuttosto verso una prospettiva di mondo generale.

Nello sviluppo delle varie manifestazioni, chiamati «Atti» in continuità con quelle che da più di 4 mesi mettono in crisi i “cugini” d’oltralpe all’Eliseo, la presa in considerazione del tema della rappresentanza è quell’adeguamento necessario (di cui sopra) al raggiungimento dell’obiettivo della campagna politica.

Da qui, senza innamoramenti, i compagni di Noi Restiamo si interrogano su «un’altra idea di rappresentanza», ossia non quella rinchiusa nelle stanze e disarticolata dalla parte di turno che si vuole rappresentare, bensì come «partecipazione di tutti» ai processi decisionali, e «per far ciò bisogna [nel caso universitario] radicarsi nel corpo studentesco».

Altri temi messi in campo dai vari autori che compongono il libretto, sono quelli dell’unione delle rivendicazioni con «precari, disoccupati e migranti»; dell’«élitarizzazione» generale subìta dal mondo universitario, con conseguente polarizzazione dell’offerta in atenei di serie A e di serie B; della trasformazione della figura dello studente in quella del «cliente» in quanto «soggetto economico» che «stipula un contratto dalle clausole ben definite e dai termini precisi con l’ateneo», ecc.

A che punto si è arrivati, dunque? L’opuscolo è la risposta a questa domanda, come momento di riflessione che segue un’intensa attività, diciamo così, sul campo, come aggiustamento che sia in grado di indirizzare la lotta nella direzione più idonea alla rottura dell’asfissiante equilibrio precario di cui è soggetta l’università – e il paese tutto – nella condizione odierna.

Per camminare sulla testa dei re c’è bisogno di studio, militanza e organizzazione. L’opuscolo qui brevemente recensito è un passaggio necessario (ma da solo non sufficiente) del percorso che porta allo stravolgimento dell’esistente. E allora, ci sembra, nell’attualizzare Gramsci, Noi Restiamo non fa altro che scommettere sul proprio futuro.

 

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