Con l’apposizione della targa ai martiri delle foibe presso i giardini di Sferracavallo, lo scorso 22 Febbraio ad Orvieto è terminata una serie di iniziative incentrate sulla ricorrenza del “Giorno del Ricordo”.
Pensiamo che gli appuntamenti delle scorse settimane rappresentino l’ennesima occasione mancata di affrontare in modo serio, sulla base di ricerche storiche e di archivio, i temi dei quali la Legge 92/2004 avrebbe dovuto occuparsi, inclusa la “(…) più complessa vicenda del confine orientale (…)”.
Altresì, la normativa di riferimento ha finito col concedere onorificenze alla memoria (cit.) “in riconoscimento del sacrifico offerto alla Patria” di 381 persone, delle quali soltanto alcune sparite nelle foibe perché vittime di rappresaglia, mentre invece nella maggior parte dei casi (cit.) ”militari inquadrati nelle formazioni di Salò. Carabinieri dell’esercito regio confluiti nella Rsi. Al pari di poliziotti e finanzieri. Militi, volontari nella Guardia Nazionale Repubblicana. Fascisti «idealisti e patrioti» come il capitano Mori”.
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Nell’elenco dei premiati ci sono poi almeno cinque criminali di guerra, tra cui (cit.) (…) il carabiniere Bergognini che nel 1942 partecipò a un raid nell’abitato di Ustje, in Slovenia. Case incendiate, famiglie radunate nel cimitero, picchiate. Sino a che 8 uomini «vennero presi, torturati di fronte a tutti e uccisi con il coltello o con il fucile». Il finanziere Cucè, che spedì nei lager e fece fucilare «diversi patrioti antifascisti» torturando gente così come fecero l’agente Luciani e i militi Privileggi e Stefanutti. Testimonianze (che sono riferite ai loro reparti) raccontano di «occhi cavati, orecchie tagliate, corpi martoriati, saccheggi nelle case». Serrentino, tenente nella Grande guerra, fiumano con D’Annunzio, fece fucilare decine di persone nella città di Zara, di cui era prefetto (…). Ci sono infine gli scomparsi, cioè coloro di cui non si è mai saputa la causa di morte (presunta) e non mancano anche persone che hanno ricevuto due volte lo stesso riconoscimento, in anni diversi (!)
Con un pressapochismo allarmante e paradossale si ricordano quindi, di fatto, caduti italiani nazifascisti, ponendo ancora una volta in continuità, verrebbe da dire, l’Italia repubblicana a quella fascista e poi repubblichina. Nonostante ciò, diversi storici in Italia e all’estero, in questi anni hanno ricostruito, laddove possibile e in modo paziente, le vicende sulle efferatezze commesse dai fascisti medagliati.
Il giornalista RAI Fulvio Molinari, esule istriano, scriveva: (…) nell’autunno del 1918 l’Istria entra ufficialmente a far parte del Regno d’Italia (…) passando da Vienna a Roma non fa più parte di uno stato plurietnico (…) bensì di uno stato nazionalmente compatto in cui l’ideologia nazionalista aveva fatto breccia (…) ad applicare i nuovi ordinamenti arrivano in Istria migliaia di funzionari statali, che la gente avverte diversi per cultura e tradizione, e chiama “regnicoli”. Con i contadini croati e sloveni, che capiscono il dialetto istro-veneto, ma non la lingua italiana, l’incomunicabilità si traduce in forme di ostilità, tanto più che il nuovo Stato si presenta anche con il volto severo e inflessibile del fisco (…) la gente dei campi è abituata al sistema fiscale austriaco, rigido nell’accertamento ma duttile nella riscossione, e si trova ad affrontare il fisco italiano, basato sulla presunzione dell’evasione. In queste condizioni, medie e piccole proprietà non poterono reggere (…) moltissime terre andarono all’incanto, e passarono di proprietà di alcuni avventurieri politico-finanziari, calati come corvi da altre regioni, di commercianti creditori, ma soprattutto di istituti di credito fondiario. Sono gli inizi di una politica agricola empirica, che il governo fascista razionalizzerà negli anni successivi, con un piano di espropri delle terre da cedere “ad agricoltori ex combattenti o fascisti”. (tratto da ISTRIA CONTESA. La guerra, le foibe, l’esodo. F. Molinari, 1996. Mursia Editore.
A proposito di ricerca, condividiamo infine un documento del Giugno 1925, quando i fascisti insegnavano ai bambini italiani che gli slavi andavano infoibati.
Quanto affermiamo oggi rappresenta tutt’altro che il frutto di (cit.) “piccole sacche di negazionismo militante”.
Le iniziative orvietane dei primi mesi del 2020, sia quelle di carattere istituzionale, sia quelle apparentemente didattiche che hanno portato nuovamente alcuni studenti a visitare il pozzo di miniera di Basovizza vicino Trieste – Monumento nazionale dal 1992, più realisticamente falso storico, visto che notoriamente non ci sono persone sepolte – purtroppo non contribuiscono all’accertamento di verità storicamente documentate, né tanto meno alla corretta formazione dei giovani studenti.
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Noi continueremo a ricordare tutto.
Lo dobbiamo a coloro che diedero il sangue e la vita per liberare l’Italia e l’Europa dal nazifascismo. Con gli aguzzini in camicia nera, che oggi condividono le piazze con le camice verdi, non potrà mai esserci memoria condivisa. La storia non si cancella ed ha già espresso il suo giudizio.
CONFEDERAZIONE COBAS – Orvieto
ASSOCIAZIONE “ARTEMIDE” – Orvieto
ASSOCIAZIONE “LETTORI PORTATILI” – Orvieto
ASSOCIAZIONE “IL GINEPRO” – Allerona
ANED “Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti” – Roma
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