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Tossicodipente ma ricco, non può essere uno spacciatore

La notizia si potrebbe anche commentare da sola: un uomo di mezza età ma ancora considerato “un ragazzo”, ricco, viziato, tossicodipendente dall’adolescenza, trovato in possesso di migliaia di dosi di cocaina, è stato assolto dall’accusa di spaccio.

Motivazione semplice, dopo indagine approfondita: non ha bisogno di spacciare, perché i soldi ce l’ha (glieli dà la famiglia, nonostante l’età non più verde: 42 anni), quindi non luogo a procedere.

Sia chiaro. A noi i forcaioli stanno sui cabbasisi, quindi non intendiamo alimentare il coro degli scandalizzati e di quelli che pensano – parola grossa, lo ammettiamo – che il posto migliore per i tossicodipendenti sia la galera.

A noi interessano i rapporti tra le classi, la differenza con cui vengono affrontate dalla “giustizia”. Il giudice, in questo caso, ha fatto semplicemente il suo dovere: ha indagato, verificato che mancavano tutti gli indizi a contorno per contestare il reato di spaccio (bilancini, ecc), convocato quanti lo avevano seguito professionalmente nel corse delle cure, sentito la famiglia, ecc. E preso una decisione tutto sommato logica.

Ci piacerebbe che fosse avvenuto anche per Stefano Cucchi e tanti altri “tossici” senza una lira, ammazzati con indifferenza nelle caserme e nelle carceri di questo paese. Ci piacerebbe che avvenisse ogni giorno, per qualsiasi imputato, a prescindere dal suo conto in banca.

Ma sappiamo già la risposta: i ricchi sono pochi, per loro si può perdere un po’ di tempo per verificare tutte le circostanze rilevanti. I poveri, poveracci, sono troppi. Come si fa a dar retta a tutti?

p.s. Qui sotto l’articoletto di Repubblica che dà la notizia.

“Troppo ricco, non può essere uno spacciatore”. E lo assolvono

Firenze

Aveva un precedente per detenzione e spaccio di una modica quantità di stupefacenti nel 1996. Perciò il 21 febbraio 2015 la Guardia di Finanza, dopo averlo fermato per un controllo, perquisì la sua auto e vi trovò 12 involucri di cellophane che racchiudevano 597,6 grammi di polvere contenenti cocaina pura per 471 grammi, corrispondenti a 3.144 dosi medie giornaliere. Lo stupefacente doveva essergli costato non meno di 30mila euro. Arrestato per detenzione a fini di spaccio, l’uomo è stato processato in abbreviato. E assolto. “Se si esclude l’elemento del quantitativo detenuto – ha scritto in sentenza il giudice Paola Belsito – assolutamente nulla negli atti di causa permette di affermare che detenesse per spacciare”. Non sono state trovate bilancine, né cellophane, né sostanze da taglio, né contatti telefonici con eventuali clienti. Richiamandosi alla Cassazione, secondo cui il possesso di droga in quantità superiore ai limiti massimi consentiti non costituisce prova decisiva della destinazione della sostanza allo spaccio, il giudice ha ritenuto che l’imputato, 42 anni, forte consumatore di cocaina e molto benestante, avesse comprato quelle migliaia di dosi per farne una provvista per suo uso personale. Prima di decidere ha ascoltato uno psichiatra, un commercialista e il padre dell’imputato, come richiesto dai difensori Massimiliano Manzo ed Emilio Bettini.

Lo psichiatra ha spiegato che da giovane il suo paziente aveva fatto uso smodato di marijuana e poi era passato alla cocaina. Segnalato come consumatore nel 2014, non si era drogato per mesi. Nel febbraio 2015, pochi giorni prima del suo arresto, i controlli si erano conclusi in maniera positiva. Ma la lunga astinenza – secondo lo psichiatra – aveva scatenato in lui il craving, un bisogno incontenibile e urgente di droga. E poiché ha una personalità infantile e tende ad accumulare oggetti, cibo e denaro, probabilmente aveva deciso di accumulare anche cocaina. Per cui l’arresto era stato una “provvida disgrazia”, perché rischiava altrimenti di assumere droga in dosi tali da morirne.

Il commercialista ha illustrato le condizioni economiche della famiglia. Il padre, che gestisce una florida azienda, ha confermato che il figlio ha ricevuto doni in denaro ed eredità dai nonni, tanto che ora ha risparmi per 400mila euro. I genitori speravano che si comprasse casa e si facesse una sua vita, ma il figlio continua ad abitare con loro, a non spendere niente e ad avere un sacco di denaro. Conclusione del giudice: “L’imputato, grazie alla disponibilità economica, anche di denaro liquido, garantitagli dalla famiglia, e al fatto di essere un figlio e un nipote unico viziato oltre ogni limite, ha potuto coltivare il suo unico vizio pensando di farsi una consistente e smisurata scorta di droga risparmiando nell’acquisto”. La procura generale ha impugnato l’assoluzione.

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