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Piani distensivi e irrigidimenti militari nel Pacifico orientale

Mentre Vladimir Putin, concludendo gli incontri in Giappone con la leadership del Sol levante, invita a por fine al “ping pong” nella disputa territoriale tra Mosca e Tokyo sulle Kurili meridionali, un altro ping pong, ben più agguerrito, agita le acque del mar Cinese, da tempo più che increspate sia nei bacini orientale e settentrionale, ma, soprattutto, in quello meridionale, a causa della crescente attività della flotta USA e dalle contromisure cinesi.

Dunque, da una parte, Mosca e Tokyo potrebbero giungere a un accordo specifico per svolgere attività economiche congiunte sulle Kurili meridionali – le isole Iturup, Kunašir, Šikotan e lo scoglio disabitato di Khabomai – e questo, secondo il documento stilato a conclusione della due giorni nipponica tra Vladimir Putin e Shinzō Abe, potrebbe in seguito agevolare la sottoscrizione dell'accordo di pace russo-giapponese, in sospeso ormai da settant'anni, dalla Seconda guerra mondiale.

Dall'altra parte, ieri il Segretario alla marina statunitense, Raymond Mabus, ha chiesto di portare i vascelli della flotta USA dagli attuali 273 a 355 – il più forte incremento della marina USA dal 1980 – e il personale dagli odierni 234mila a 350mila uomini, per contrastare la “crescente attività delle marine russa e cinese”. Sempre ieri, la Reuters riferiva dell'intercettamento di un minisommergibile senza pilota USA da parte di naviglio cinese nel mar Cinese meridionale; pare, per la verità, in acque internazionali.

Già il bilancio statunitense 2017, contempla il programma a lungo termine di portare il numero di vascelli USA a 308, ma Mabus chiede di rivedere la cifra al rialzo, fino a 355 unità, aumentando da 11 a 12 le portaerei, aggiungendo 18 sommergibili d'attacco, 16 grandi vascelli di superficie, oltre a 4 navi da sbarco, tre vascelli logistici e cinque per fuoco di supporto. Senza specificarne il numero, pare che anche l'aviazione di marina subirà un incremento, in particolare nei velivoli da combattimento tattico imbarcati, come i Boeing F/A-18E/F Super Hornet.

Ma, in attesa dei futuri battelli, gli attuali non rimangano alla fonda in arsenale. Come detto, è di ieri la notizia secondo cui Washington esige da Pechino la restituzione del piccolo vascello subacqueo senza pilota catturato dalla marina cinese nelle acque internazionali del mar Cinese Meridionale, mentre stava effettuando operazioni ufficialmente definite scientifiche, calato in acqua dalla nave oceanografica “Bowditch”. Pur se stamane si fa sapere da Pechino che la faccenda verrà risolta in modo agevole, l'agenzia Interfax notava ieri che il fatto si è verificato sullo sfondo delle dichiarazioni di Donald Trump a proposito lo status di Taiwan e della politica di una “Cina unita”, che non può non infastidire oltremodo Pechino. Stante la relativa reticenza cinese sull'accaduto, il portavoce del Pentagono, Peter Cook, ha dichiarato che gli Stati Uniti non sono certi essersi trattato di un errore da parte cinese o invece di un vero e proprio segnale lanciato agli USA a proposito delle isole rivendicate da Pechino nel mar Cinese Meridionale.

La vicenda delle isole va avanti da tempo e Pechino, ancora nel luglio scorso, aveva rifiutato di riconoscere la decisione de L'Aja, secondo cui la Cina non avrebbe “diritti storici” sui territori del mar Cinese Meridionale e sulle isole, in particolare le Xīshā Qúndǎo (isole Paracel), contese tra Cina e Vietnam; le Nánshā Qúndǎo (Spratly), tra Vietnam, Cina, Malesia, Filippine e Brunei e il reef Huanyang (Scarborough), tra Filippine e Cina: un bacino, complessivamente strategico, sia dal punto di vista delle rotte commerciali, sia da quello delle risorse energetiche, attorno a cui la Cina rivendica una zona economica esclusiva di 200 miglia.

L'intercettamento del drone USA si sarebbe verificato il 15 dicembre; guarda caso, proprio alla vigilia, il comandante della flotta USA nel Pacifico, ammiraglio Harry Harris aveva dichiarato che Washington, se necessario, è pronta a contrapporsi a Pechino nel mar Cinese Meridionale: "Non permetteremo la chiusura unilaterale dello spazio comune, indipendentemente dal numero di basi realizzate sulle isole artificiali nel mar Cinese Meridionale. Collaboreremo, finché è possibile; ma siamo pronti al confronto, se necessario".

Già al momento dell'arbitrato de L'Aja, si era detto che questo avrebbe portato a un aumento della tensione nell'area, in particolare con Washington e Manila che, forti di quella che il South China Morning Post di Hong Kong definiva una “decisione ingiusta e umiliante”, si sarebbero sentite autorizzate a rafforzare la propria presenza, senza che Pechino, da parte sua, intendesse chinare la testa, ma, al contrario, si sentisse incoraggiata a intensificare gli sforzi diplomatici e militari "per difendere la propria sovranità".

Se Washington invoca di continuo la “libertà” di navigazione, ovunque voglia, è facile per Pechino dimostrare come tale “libertà” equivalga a un sensibile aumento di naviglio militare statunitense nell'area del Pacifico e, in particolare, nel bacino del mar Cinese Meridionale, che rischia di continuo di aggravare la già forte tensione, come era accaduto lo scorso ottobre, con l'incrociatore lanciamissili USA “Decatur” che incrociava nelle acque attorno alle Paracel. Il tutto, rispondente ai piani del Congresso USA sull’aumento del numero di operazioni della marina yankee in prossimità degli arcipelaghi contesi, accompagnato a una intensificazione delle esercitazioni navali congiunte di USA, Corea del Sud, Giappone e Filippine, alla dislocazione di bombardieri nucleari a distanza utile di volo dalle coste cinesi e al prossimo dispiegamento del sistema THAAD in Corea del Sud, secondo un largo progetto che Pyongyang denuncia come un piano per dar vita a una “Nato asiatica”.

Piano cui, ovviamente, la Cina potrebbe rispondere con il dislocamento di un proprio sistema antimissilistico proprio sugli arcipelaghi contesi, su cui ha già iniziato la realizzazione di punti d'attracco e piste di volo, così come, già dal 2013, aveva proceduto all'acquisizione di una “zona di difesa aerea” nel mar Cinese Orientale, che include anche lo spazio aereo sull'arcipelago disabitato delle Diàoyútái Qúndǎo (per i giapponesi: Senkaku-shotō), conteso tra Cina, Giappone e Taiwan, de facto sotto controllo giapponese. Ancora secondo il South China Morning Post, il mar Cinese Meridionale sarebbe importante per la Cina, perché in quel bacino Pechino programmerebbe la realizzazione di nuove basi per la propria flotta subacquea nucleare, che al momento conterebbe 16 sommergibili atomici, su un totale di 73, oggi per la maggior parte dislocati sull'isola di Hainan, nella Cina meridionale, di fronte alle coste del Viet Nam. Unica nota distensiva potrebbe giungere da una probabile attenuazione della disputa tra Cina e Filippine, vista la disponibilità del presidente filippino Rodrigo Duterte a incrementare i rapporti economici con Pechino, chiudendo un occhio sul problema delle isole contese.

Come che sia, è improbabile che Washington, per il momento, deceda dai propri piani nell'area, considerata anche la proclamata propensione di Donald Trump a rapporti costruttivi con Mosca, contrapponendole un'altrettanto annunciata inclinazione a irrigidire quelli con Pechino.

 

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