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Il Renmin Ribao e i missili USA in Corea del Sud

La Corea del Sud ha respinto le accuse mosse da Pyongyang riguardo alla decisione, annunciata lo scorso 8 luglio, sul dispiegamento del sistema missilistico statunitense THAAD sul suo territorio, nella contea di Seongju, circa 300 km a sudest di Seoul. “Proprio la Corea del Nord” è detto in un comunicato del Ministero per la riunificazione del paese, “coi suoi programmi missilistici e nucleari, costituisce la ragione dell’adozione di tale decisione”. In questo modo, Seoul ha tentato di rispondere alla naturale constatazione nordcoreana di due giorni fa, secondo cui il dispiegamento del THAAD nella Corea del Sud pone l’intera regione al centro della contrapposizione atomica tra le superpotenze mondiali.

Mentre Seoul giustifica il passo (il sistema THAAD dovrebbe essere operativo entro fine 2017) come “autodifesa contro le minacce nordcoreane a pace e stabilità”, Russia e Cina, in un comunicato congiunto dello scorso 28 luglio, si erano dette preoccupate per “tale azione unilaterale e non costruttiva degli Stati Uniti, che ha effetti negativi per l’equilibrio strategico, la sicurezza e la stabilità della regione e del mondo”. Così che il governo sudcoreano ha sentito ieri il bisogno di “rassicurare” Pechino che le sue preoccupazioni circa la dislocazione del THAAD “sono infondate”, dato che questo non minaccia gli interessi cinesi; piuttosto, dice Seoul, Pechino dovrebbe aumentare le pressioni su Pyongyang, che va avanti coi suoi programmi nucleari”. Mercoledì scorso, infatti, in un servizio del quotidiano del PCC, il Renmin Ribao, la Cina aveva definito il dispiegamento del sistema missilistico USA, “un’insidia strategica alla sicurezza della Repubblica Popolare Cinese”, si minacciavano severe misure di risposta e si chiedeva a Seoul “di riflettere seriamente ancora una volta” sulla effettiva necessità di tale dispiegamento.

Tali scambi di note a distanza, tra Pyongyang, Seoul e Pechino, avvengono sullo sfondo delle tensioni anche per la questione del mar Cinese Meridionale, tanto che lo scorso 2 agosto il Ministro della difesa cinese Chang Wanquan ha lanciato un appello a prepararsi a una guerra di popolo sul mare: “Esercito, polizia e popolo devono prepararsi alla mobilitazione per la difesa della sovranità e dell’integrità territoriale del paese”.

Ma, da parte yankee e dei loro “alleati” più fedeli in Asia, continua il ritornello delle “provocazioni” di Pyongyang. I Ministeri della difesa di USA, Corea del Sud e Giappone hanno diffuso ieri un comunicato in cui si definiscono “imperdonabili provocazioni” i recenti lanci missilistici sperimentali della Corea del Nord. L’ultimo lancio di un missile balistico nordcoreano a medio raggio era stato registrato lo scorso 3 agosto e il razzo, dopo una corsa di circa mille km, era finito in mare, nella zona economica esclusiva giapponese, a ovest della penisola di Oga. Tokyo, attraverso canali diplomatici cinesi, aveva indirizzato una nota di protesta a Pyongyang, attivando addirittura un Quartier generale d’emergenza presso il governo. Prima di questo, altri lanci di missili nordcoreani erano stati effettuati il 19 luglio, con due missili a medio raggio “Nodon” e uno a corta distanza “Scud”.

Ovviamente, quello della “minaccia nucleare” nordcoreana e della necessità di una risposta statunitense – il sistema THAAD in Corea del Sud, come tutti gli impianti militari USA all’estero, sarà sotto esclusivo comando yankee – non è che un pretesto, considerate anche le effettive potenzialità militari di Pyongyang: gli obiettivi sembrano ben più ampi e anche più lontani territorialmente, che non la minima distanza tra la contea sudcoreana di Seongju e la capitale nordcoreana Pyongyang.

In questo senso, appare interessante il quadro delineato nel servizio dell’analista russo Grigorij Trofimčuk, pubblicato ieri sulla edizione online del Renmin Ribao (e rilanciato con grande risalto anche dal nordcoreano Juche Songun), a proposito delle contromisure che, a suo parere, dovrebbero essere adottate da Cina e Russia. Il THAAD in Corea del Sud, scrive infatti Trofimčuk, ha non solo un obiettivo di contenimento della RPDC, che è il pretesto formale immediato per il suo dispiegamento, ma rappresenta anche una minaccia – nemmeno tanto nascosta – all’indirizzo della RPC ed è diretto al rafforzamento delle posizioni degli USA e dei loro alleati nella regione del Pacifico. Per tale passo, si è fatto tesoro dell’esperienza del dispiegamento dei sistemi antimissile nell’Europa orientale, nelle immediate vicinanze delle frontiere russe e già oggi, continua Trofimčuk, vari osservatori parlano di accerchiamento strategico di Cina e Russia. Il partenariato transpacifico in Asia si viene realizzando sul modello di quello che deve abbracciare l’Europa e, dal punto di vista militare, anche la difesa ricalca lo schema UE-Nato. Come dimostra l’esperienza del dispiegamento dei sistemi antimissile nei paesi esteuropei, le preoccupazioni verbali, in questo caso da parte di Mosca e Pechino, servono a poco.

In questo quadro, sarebbe sbagliato limitarsi a incolpare Pyongyang di aver provocato il dispiegamento del THAAD coi suoi esperimenti nucleari: Washington avrebbe in ogni caso trovato un altro pretesto per dislocare il proprio sistema missilistico. Credo, afferma Trofimčuk, che Mosca e Pechino, in tempi brevi, saranno obbligate non solo a rafforzare la loro collaborazione economico-commerciale e non solo tecnico-militare, ma soprattutto quella politico-militare. Non ci si deve quindi limitare alle dichiarazioni, ma allargare la collaborazione in campo informativo-psicologico e propagandistico, orientando il lavoro specialmente verso i paesi asiatici. E uno sforzo particolare deve essere fatto per lo sviluppo del dialogo tra le due Coree. In caso contrario, conclude Trofimčuk, l’avversario, percependo la propria impunibilità, si farà ancora più ardito.

Perché è noto, per dirla col grande Ovidio, che “l’ardimento non vuol saperne di ammonimenti”.

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