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Isole contese, l’Aja dà ragione a Manila. Cina ignorerà sentenza

Pechino lo aveva dichiarato per l’ennesima volta anche giovedì scorso, che “nessuna sentenza di arbitrato avrà effetto sui diritti marittimi cinesi, perché il caso è essenzialmente legato a sovranità territoriale e delimitazione marittima”.

E lo ha ribadito ieri, dopo la sentenza della Camera permanente del tribunale de L’Aja, che ha emesso un verdetto in cui si dice che la Cina non ha “diritti storici” sui territori del mar Cinese meridionale e sulle isole contese e non può quindi avanzare pretese di zona economica esclusiva nell’area delle isole Spartly (per i cinesi Nansha).

A fronte della posizione assunta da Manila, secondo cui la Cina avrebbe violato la Convenzione ONU sul diritto del mare (UNCLOS), il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi, già durante l’incontro con il Segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon, aveva detto che, al contrario, erano proprio il rifiuto delle Filippine al dialogo bilaterale e il suo ricorso all’arbitrato, a violare lo spirito dell’UNCLOS e acuire le tensioni nel mar Cinese Meridionale.

L’organo del PCC, il Renmin Ribao, ha ancora una volta qualificato ieri come “illegale e nulla” la “cosiddetta decisione definitiva” de L’Aja ed è tornato a ripetere che “la Cina ha una sovranità indiscutibile sulle isole del mar Cinese Meridionale; sia la Dichiarazione del 1958 del governo della RPC sul mare territoriale, sia la Legge del 1992 sul mare territoriale e la zona contigua, prevedono espressamente che il territorio della Cina comprende, tra le altre, le Isole Dongsha, Xisha, Zhongsha e Nansha”.

Dunque, “la Cina non accoglie e non riconosce la decisione arbitrale, che non dispone della necessaria giurisdizione”. “La sovranità territoriale, nonché i diritti e gli interessi della Cina nel mar Cinese Meridionale, in ogni caso, non sono toccati da questo giudizio”, si dice in un comunicato del Ministero degli esteri cinese. Pechino, ribadisce oggi il Libro Bianco del Consiglio di Stato dopo aver ricordato come “il popolo cinese abbia iniziato ad assimilare quei territori duemila anni fa”, è comunque decisa a risolvere la disputa territoriale sulla base del diritto internazionale; una disputa, si afferma, dovuta alla “illegale occupazione di parte dell’arcipelago cinese Nansha” da parte filippina.

mappacinamanilaL’agenzia Xinhua riporta la dichiarazione del Presidente Xi Jinping, rilasciata ieri durante l’incontro a Pechino col Presidente del Consiglio d’Europa, Donald Tusk e il Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, secondo cui la Cina non accetterà alcuna proposta o azione basata sul giudizio emesso martedì dal tribunale arbitrale, nel procedimento unilateralmente avviato dal precedente governo filippino. “Le isole del Mar Cinese Meridionale sono territorio cinese fin dai tempi antichi”, ha detto Xi.

Il portavoce del Ministero della difesa, Yang Yujun, ha dichiarato che l’esercito cinese proteggerà fermamente sovranità, sicurezza, diritti e interessi marittimi cinesi. Il Ministero degli esteri ha ricordato che, a partire dal febbraio 2013, un mese dopo che il governo del presidente Benigno Aquino III si era rivolto al tribunale de L’Aja, in almeno tre occasioni Pechino aveva detto che non avrebbe accettato alcuna decisione arbitrale “terza” dal momento che, recita il comunicato pubblicato da Xinhua, “le questioni territoriali non sono soggette alla Convenzione UNCLOS, così come le controversie di delimitazione marittima, secondo la dichiarazione della Cina del 2006”.

Inoltre, “l’avvio unilaterale della procedura d’arbitrato da parte delle Filippine viola l’accordo preso da Pechino e Manila per risolvere la questione con negoziati bilaterali e viola anche il diritto della Cina, quale stato  aderente all’UNCLOS, a scegliere modalità e mezzi per la soluzione della controversia”. In precedenza, Pechino aveva dichiarato che, nel caso l’arbitrato avesse stabilito che le azioni cinesi nella regione contraddicono al diritto internazionale, la Cina potrebbe abbandonare la Convenzione UNCLOS.

Per il momento, Pechino ha dichiarato che adotterà ogni misura necessaria a difesa della sovranità territoriale, dei diritti e degli interessi cinesi nel mar Cinese Meridionale. “Non abbiamo mai preteso un pollice di terra che non ci appartenga” scrive oggi l’organo del PCC, “ma non lasceremo mai un palmo del nostro territorio”.

La disputa sulle isole Xisha (in inglese Paracel), Zhongsha (Scarborough-rif) e Nansha (Spratly) va avanti ormai da qualche decina d’anni, da quando nell’area furono scoperti ricchi giacimenti di idrocarburi e vede coinvolti, in varia misura, Vietnam, Brunei, Malesia e Filippine, che ora, al pari del Giappone, hanno accolto positivamente la decisione de L’Aja.

Taiwan invece, al pari della RPC, ha fatto sapere di non riconoscere il verdetto arbitrale e che continuerà a controllare con naviglio e aviazione militari l’area del mar Cinese Meridionale. In particolare, Taiwan, che ancora pretende alla “eredità” della Repubblica Cinese ante-1949, ha espresso insoddisfazione per il fatto che L’Aja ha riferito tutta la disputa sulle Spratly alla barriera corallina, inclusa un’area di 46 ettari dell’isola Taiping (Itu Aba), in cui da tempo Taipei ha dislocato una guarnigione di Guardia costiera, ha costruito una pista di volo, un molo, un faro e una centrale elettrica a energia solare.

Dalla fine del 2013, Pechino conduce nella zona lavori idraulici e di costruzione su larga scala, per la realizzazione di isole artificiali in grado di garantire il controllo sulla regione adiacente allo strategico stretto di Malacca, attraverso cui passa circa il 60% del commercio cinese e l’80% delle sue importazioni di idrocarburi.

Ma, naturalmente, il contrasto “commerciale” va di pari passo con un aumento della tensione in tutta l’area, che viene dal timore di Washington di perdere il controllo su uno scacchiere considerato da sempre “propria” fascia di azione esclusiva; timore che la Casa Bianca cerca di scongiurare alla maniera che gli è propria: inviando bombardieri, sommergibili e portaerei e, in ultimo, decidendo l’installazione dei sistemi antimissilistici THAAD in Corea del Sud e armando i propri satelliti più fidati, a partire da Tokyo e Seoul.

 

Fabrizio Poggi

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