Chi è stato Zygmunt Bauman, l’inventore, descrittore della cosiddetta “società liquida”? È stato un sociologo-filosofo polacco n. il 19/11/1925, un ex comunista assai quotato sui media e nei luoghi della (presunta) sinistra radical chic (?), come “Che tempo che fa”, dove gigioneggia il maggiordomo tonto finto/vero Fabio Fazio e la finta/vera oca giuliva Luciana Littizzetto.
Qui non ci si occuperà delle decine di libri scritti da Bauman, che ha prosciugato il filone della “liquidità” (Amore liquido, Vita liquida, Società liquida, ecc.), ma soltanto di alcuni sue “considerazioni” seminate negli anni un po’ dovunque, dal Corriere della Sera, all’Unità, all’Osservatore Romano.
Ecco una sua prima considerazione:
- (…) Antonio Gramsci? «Gli sono molto grato. . Senza vergogna per averla condivisa e senza l’odio di tanti ex» … (Zygmunt Bauman http://www.kore.it/CAFFE/bauman2.htm – 13.10.02)
Sì, è vero, gli anni ‘60, ‘70 e ‘80 sono passati da un bel pezzo e nell’alba del terzo millennio le discussioni sul socialismo e sul comunismo non affascinano più né le masse, né l’intellighenzia, e nessuno si chiede più se tra i rapporti di produzione e le forze produttive vi sia o meno un’interazione dialettica, fors’anche perché Paul Sweezy e Charles Bettelheim, ormai novantenni nel 2002, si sono stancati di discuterne. I due autorevoli marxisti, malgrado Fidel Castro avesse affermato il 16 aprile 1961 che <<la rivoluzione cubana è socialista>>, erano però d’accordo nel riconoscere che:
- le <<rivoluzioni>> del XX secolo non hanno portato al potere <<il proletariato costituito in classe dominante bensì dei partiti organizzati in maniera rigida (tighty) composti da elementi provenienti da differenti strati della popolazione”(Monthly Review settembre 1985).
Bisogna ricordare comunque, che Marx, il quale non ebbe mai la passione di “mettersi a prescrivere ricette (comtiane?) per l’osteria dell’avvenire” (K. Marx – Poscritto alla seconda ed. – Il Capitale Libro I – Einaudi 1975, p. 15), ce la mise tutta per evitare confusioni tra “comunismo” e “socialismo”, e così scrisse nel 1875, anche a tal fine, un testo intitolato “Per la critica del programma di Gotha”, che è l'unica sua teorizzazione non immediatamente contingente circa l'assetto che la società dovrebbe assumere dopo il capitalismo:
- “(…) Quella con cui abbiamo a trattare è una società comunista, non come si è sviluppata sulla base propria, ma la contrario come viene fuori dalla società capitalistica; che reca ancora in ogni rapporto economico, morale e spirituale le impronte materne dell’antica società dal cui grembo essa è uscita. Perciò il singolo produttore riceve, dopo le ritenute, esattamente ciò che egli le dà. (…) Ma questi inconvenienti sono inevitabili , così come è nata dalla società capitalistica dopi lunghi travagli». (…) , dopo la scomparsa della subordinazione asservitrice degli individui alla divisione del lavoro intellettuale e fisico; dopo che il lavoro è diventato non solo mezzo di vita, ma anche il primo bisogno di vita; dopo che con lo sviluppo completo degli individui sono aumentate anche le loro forze produttive e tutte le sorgenti delle ricchezze collettive scorrono in abbondanza – soltanto allora può il ristretto orizzonte giuridico borghese essere oltrepassato e la società può scrivere sulle bandiere: – Ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni!”.
Bauman ha di certo conosciuto il lungo e fitto scambio di lettere tra P. Sweezy e C. Bettelheim, ospitato sulla Monthly Review dagli anni ’60 agli anni ‘80, come non può non aver conosciuto l’altrettanto lungo dibattito tra marxisti e non, sui paesi del cosiddetto “socialismo reale”, o meglio, almeno secondo alcuni, del “socialismo irrealizzato”. Con l’espressione “fiato sul collo” Bauman avrà voluto forse alludere al fatto che la sola esistenza dell’URSS, nonostante le sue forti criticità economiche e sociali, avrebbe comunque indotto i paesi capitalisti a concessioni economico-sociali, magari per mantenere un migliore controllo sulle proprie masse lavoratrici? Ma, ancora nel 2002, è corretto dire comunismo e intendere l’URSS, o si tratta d’un pericoloso equivoco?
Solo e soltanto Bauman, però, visto che Marx non ha parlato mai di “socialismo”, avrebbe potuto spiegare nientedimeno che “l’indispensabilità del socialismo dopo il comunismo”. Il quale comunismo, non si comprende per quale satanica eterogenesi dei fini, da buon samaritano, avrebbe salvato il capitalismo stesso dall’abisso (sempre secondo Bauman). E soltanto Bauman avrebbe potuto spiegare quell’inversione tra socialismo e comunismo, perché ogni marxista, sia ortodosso che eterodosso, ha sempre inteso e denominato “socialismo” la prima fase di transizione alla futura società comunista.
C’è da aggrottare le sopracciglia perplessi e da spalancare gli occhi dalla meraviglia per la “liquidità” dell’argomentare baumaniano davanti alla misera fine del “comunismo”, una sorta di Messia venuto a salvare il capitalismo dall’abisso cui pareva condannato. Non va, però, molto meglio neppure al “socialismo”, spogliato della possibilità d’essere un “modello alternativo di società” e degradato a “coltello affilato”, a “voce della coscienza”.
Per quale motivo Bauman abbia voluto intorbidare a tal punto le acque della riflessione teorica marxiana resterà così uno dei misteri della fede marxista, o meglio della fede nel socialismo in salsa baumaniana.
Ecco una seconda considerazione baumaniana
- «L'Europa è a un crocevia. Non è la prima e non sarà l'ultima volta. La sua intera storia è un'avventura infinita. Giovedì sono stati fatti verso una sorta di integrazione finanziaria, attraverso la creazione di una . , ma ci sono grossi punti interrogativi: il diavolo si nasconde . E questo è solo l'aspetto economico, che in fondo è quello affrontato con più attenzione. Ma la che l'integrazione politica seguirà quella economica è infondata, potrà farlo come potrà non farlo. Gli interessi delle diverse aree d'Europa sono troppo contrastanti». «. Dobbiamo ripensare le istituzioni europee in modo completamente nuovo. Dovranno avere l'abilità a condensare e unificare un volere popolare europeo altrimenti sparso e diversificato. . , che e. ». (20 ottobre 2012 – Corriere della Sera)
Naturalmente è legittimo auspicare e sognare, come anticamera del socialismo, un capitalismo dal volto umano (anche se … anche se l’auspicio, ad annusarlo bene, puzzerebbe di truffa lontano un miglio). Lo hanno auspicato – sognato in tanti, figure nobili e meno nobili, da Calamandrei giù, giù, fino in fondo, sino a raschiare il fondo, con Bertinotti. Bauman però forse ha voluto strafare, ed è giunto sino al punto d’affermare nell’ottobre 2012 che: “l’Europa è a un crocevia … e … sono stati fatti piccoli passi verso una sorta di integrazione finanziaria, attraverso la creazione di una vigilanza bancaria comune. È promettente, ma ci sono grossi punti interrogativi …”. Ma chissà di quale vigilanza bancaria parlava Bauman? La vigilanza di chi su chi e per ottenere che cosa?
Insomma Bauman è stato l’affermato teorico, con decine di saggi, della società liquida, non è male ricordare però che congedarsi dall’ortodossia marxista (sterminato bazar dove si può trovare un po’ di tutto) non è proprio la stessa cosa che congedarsi dall’ortodossia marxiana.
Ora, sia beninteso, ciascuno è libero di congedarsi sia da Marx, sia dall’ortodossia marxista, possibilmente senza confonderli, anche perché chissà quale mai sarà l’ortodossia marxista (ed … ed anche quella marxiana). A dare retta al barbone di Treviri dovrebbe essere quasi impossibile colmare i deficit democratici nel m.d.p.c., deficit che nascerebbero invece, secondo il sociologo della “liquidazione di Marx”, dal fatto che le “attuali istituzioni politiche non godono più della fiducia popolare”. Basterebbe cioè invertire e sostituire le cause con gli effetti e, oplà, il gioco sarebbe fatto: è la sfiducia popolare, secondo Bauman, a causare i deficit democratici (se qui non si è frainteso l’argomentare di Bauman)! Potrebbe anche essere una geniale invenzione, liquida, s’intende! Cari cittadini, state bene a sentire, sempre secondo Bauman, se date fiducia alle vostre istituzioni ogni problema sarà risolto. Ma perché mai i cittadini avrebbero perso la fiducia nelle loro istituzioni? Boh? Quanto alla democrazia, beh, occorrerebbe, invero, accordarsi su che cosa si intende per “democrazia”, accordo per niente semplice. Poi, da un’indagine seria, potrebbe perfino risultare che la democrazia, sia o meno in salsa liberale, risulti incompatibile con il modo di produzione capitalistico, dalla sua alba fino ad oggi. Ma questa è una conclusione che non pare aver mai interessato troppo Bauman, “onorevolmente congedatosi dall’ortodossia marxista” (così dice lui).
In ogni caso nessuno ha chiesto a Bauman quale sarebbe la misura dello scarto esistente tra la natura generale dei nostri problemi e quella individuale delle nostre soluzioni, nessuno gli ha chiesto a quali individui alludeva quando ha parlato di “natura individuale delle nostre soluzioni”, e soprattutto nessuno gli ha chiesto notizie di quel mostro strano del Capitale in quanto rapporto sociale. E nessuno ormai potrà più chiederglielo.
Ma da dove ha parlato la parola di Bauman?
Ecco una terza considerazione di Bauman
- «In una società di venivano generati dall’ tra il e il , e in un certo senso il capitalismo era un fattore di risentimento collettivo. Nella società dei produttori, i profitti vengono dall’incontro tra la merce e il cliente; , che promuove l’interesse personale che la e . Formati socialmente innanzitutto come consumatori e solo in secondo luogo come produttori, siamo addestrati a modellare le relazioni interumane sul modello della relazione del consumatore con i beni di consumo. Ciò porta alla fragilità e alla temporaneità dei legami interumani. . Per finire, segue la fascinazione per il (che misura soprattutto le attività di consumo): la società dei non conosce altro modo per “risolvere i problemi” e affrontare i problemi sociali che incoraggiare la “crescita economica”, ingrandendo all’infinito la pagnotta da affettare piuttosto che dividerla giudiziosamente ed equamente». (…) In ogni caso, se i due giovincelli di Rhineland, Marx ed Engels, si sedessero ora a redigere il loro ormai bicentenario Manifesto, potrebbero inaugurarlo con l’osservazione che “: ”». (Intervista di G. Battiston a- L’Unità – 30 ottobre 2011)
In questa considerazione sui "produttori–consumatori", Bauman assiste, si presume sgomento, al prevalere dell’interesse personale sulla solidarietà e l’unione. Ma, di grazia, dove mai sarebbe la novità nel m.d.p.c.? Un modo di produzione (all'Est come all'Ovest), dove, ieri come oggi, siamo tutti “merce”, ovvero tutti quelli che non hanno nient’altro da offrire che la propria forza lavoro per sbarcare il lunario e non morire di fame.
Bauman ha provato a (avrebbe voluto) sostituire (per il tramite degli indignati) allo “spettro del comunismo” “lo spettro dell’indignazione”. E avrebbe voluto che la sostituzione la facessero proprio i due “giovincelli, Marx ed Engels”, riscrivendo oggi l’incipit del Manifesto del Partito Comunista. Forse perché lo spettro dell’indignazione ha spaventato Bauman molto meno dello spettro del comunismo? Forse perché il primo è uno spettro educato che conosce e rispetta le regole della buona educazione del regime capitalistico, la sua grammatica delle merci e i suoi precetti del consumo?
Può darsi che sia stato il bisogno di rimozione a guidare il sociologo per viottoli impervi che girano in tondo, ovvero come si passa dalla vecchia società dei produttori a quella dei consumatori. Il tutto per tentare magari una rilegittimazione del m.d.p.c. con interventi di chirurgia estetica. Così Bauman ha dimenticato, o ha fatto finta di dimenticare, che da sempre la religione del Capitale nella sua sostanza non è mai cambiata, che da sempre il materiale umano viene sfruttato due volte, prima come produttore, poi come consumatore; così Bauman ha dimenticato che da sempre la crescita economica è un imperativo categorico del Capitale, e che il produrre e il consumare sono da sempre dogmi della religione del Capitale, e sono sin dalla nascita in rissa genetica tra di loro per diversi motivi. Ma è davvero possibile credere alle dimenticanze di Bauman?
Così, congedatosi onorevolmente dall’ortodossia marxista, Bauman ha tirato fuori la sua geremiade sulla società dei consumatori, nella quale saremmo sprofondati. E ha addossato a ciascuno di noi la colpa di “trattare se stesso come una merce vendibile”, e dunque la colpa della “continua frammentazione e atomizzazione della società”.
Ma l’indignazione è forse quel robusto filo d’Arianna che può farci uscire dalla frammentazione e dall’atomizzazione della nostra società?
Una quarta considerazione di Bauman
- “(…) Ah, io sono da quanto Francesco (Bauman pronuncia il nome in italiano, sorridendo) va facendo: credo che il suo pontificato costituisca una chance, non solo per la Chiesa cattolica, ma per l'umanità intera. Che il leader di una grande confessione religiosa richiami l’attenzione del Nord del mondo sulla sorte dei più miseri già è di enorme importanza. (…) Ecco, il rifiuto del legalismo e la capacità di Jorge Mario Bergoglio di toccare il cuore delle persone ricordano l’analogo atteggiamento di Giovanni XXIII. L’attuale Papa è intrepido, direi, nel suo modo di procedere: penso ai gesti che ha compiuto a Lampedusa, ai discorsi dedicati ai “fuori casta” del mondo globalizzato.” (Zygmunt Bauman “L’illusione di una felicità solubile” – in L’Osservatore Romano 20.10.13).
Con la quarta considerazione ecco arrivare papa Francesco I. Il popolo degli ammaliati da papa Bergoglio è sicuramente assai numeroso. Che papa Francesco possa costituire una chance per la Chiesa cattolica è cosa assai probabile, ma che possa esserlo per l’umanità intera potrebbe anche dipendere dal fatto che Bauman sia stato posseduto da un’incantazione lunatica (dannunziana) per papa Francesco. Se davvero papa Bergoglio avesse praticato e praticasse il gran rifiuto del “legalismo”, beh, allora non avrebbe dovuto fermarsi davanti agli ostacoli di consegna legati all’embargo su Cuba. Il Vaticano non è forse uno Stato riconosciuto a livello mondiale? Perché non ha osato sfidare le pretese degli Stati Uniti che decidono di volta in volta quando concedere un minimo allentamento dell’embargo? Tra l’altro il dono (un vecchio bus ormai dismesso!) era diretto alle suore che gestiscono un asilo a Cuba. Altro che l’intrepidezza che avrebbe incantato Bauman! Il dono è infine giunto a destinazione, ma, come si dice, giusto per un pelo! Conclusioni provvisorie È probabile che le quattro considerazioni di Bauman qui sopra riportate, siano state trattate con eccessiva, immeritata, supponente ironia. Ma almeno qualche domanda forse sarebbe il caso di porsela. Queste 4 considerazioni di uno dei più affermati intellettuali della cultura di sinistra (qui si sorvola sulla natura inservibile o meno della categoria tradizionale di “sinistra”) sono o meno di un qualche aiuto per i “dannati della terra” nella ricerca del filo d’Arianna per uscire dal ginepraio di caverne allestito dai dominanti? Sono utili per guardare, vedere e imparare a camminare fuori dalle caverne, e continuare così la lunga lotta per la liberazione dal giogo dei dominanti? Un giogo che non è soltanto espressione d’una subordinazione culturale, ma è altresì il segno-risultato della violenza d’una forza brutale e spesso sanguinaria, una forza con tanto di nomi e cognomi. Chissà, forse indignarsi soltanto non basta. |
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