Il fascismo aveva vietato gli scioperi. La Costituzione repubblicana ne ha fatto un diritto individuale (non delle organizzazioni sindacali), riconoscendo che i rapporti di forza sul luogo di lavoro sono troppo sproporzionati e che il avoratore, in qualche modo si deve poter difendere.
Il governo Renzi punta a ripristinare la situazione fascista, con lo sciopero vietato nei fatti ma formalmente – solo formalmente – ancora possibile.
La quadratura del cerchio – cancellare un diritto individuale facendo finta di mantenerlo – è affidata a due esperti del contro-diritto del lavoro. Due che hanno fatto dello smantellamento delle tutele una missione – ben retribuita, bisogna dire – e possono vantare una comune militanza giovanile nelle fila della Cgil: Maurizio Sacconi, ex socialista craxiano ed ex ministro del lavoro berlusconiano, e Pietro Ichino, giuslavorista per vent’anni punta di lancia dell’abolizione dell’art. 18.
Coordinatore dell’offensiva per conto del governo è Graziano Delrio, peraltro ministro delle infrastrutture e quindi senza delega specifica. Ma chi se ne frega delle forme, l’importante è arrivare al punto.
E il punto è che di scioperi non se ne devono più fare.
Un obiettivo del genere, bisogna ricordare, diventa raggiungibile quando di scioperi se ne fanno pochi, il movimento dei lavoratori è debole e frammentato, i sindacati principali sono “complici” e autodisciplinati, i conflitti che comunque si verificano mancano sia di prospettiva di capacità di collegamento.
Naturalmente l’impressione che il governo e la stampa padronale vogliono dare è l’opposto: un’assemblea sindacale decisa dalla Cisl a Pompei (e qui la complicità sembra davvero “da complotto” anti-sciopero) e un più serio e normale sciopero dei piloto Alitalia. Ma ci sono le vacanze, i turisti che portano soldi… e così si scopre che c’è un diritto contrastante quello di sciopero: il diritto di circolazione.
Ragionamoci su: gli stessi che stanno da anni smantellando il diritto di circolazione di cittadini e turisti, prima con i tagli al trasporto pubblico, poi con quelli al trasporto ferroviario per i pendolari (si investe solo sui Frecciarossa, si tagliano i collegamenti locali), poi con il consegnare volontariamente allo sfacelo la mobilità cittadina (vedi il video dell’autista Atac di Roma)… “scoprono” che esiste il diritto di circolazione solo per frenare quello di sciopero.
In pratica stanno dicendo che solo i consumatori hanno diritti, mentre chi lavora non ne ha. A qualche fesso potrebbe anche sembrare che le due cose si compensino (in fondo siamo tutti consumatori, anche se non tutti lavoratori), ma non è affatto così. Quando lavori sotto comando se non hai diritti sei uno schiavo, salariato poco e in alcuni casi per niente.
Vediamo le prime mosse dell’attacco. Il ministro Delrio, seguendo Renzi che aveva strepitato su Pompei e l’Alitalia, ha deciso che: “Una cosa è chiedere un contratto collettivo che non venga rinnovato ogni dieci anni senza dover aspettare la Corte costituzionale, un’altra è timbrare il cartellino e poi non lavorare come il contratto impone. Chi non rispetta le regole non sta protestando ma sta facendo un atto di sabotaggio, di spregio verso il bene pubblico. Con loro si deve essere molto duri, nessuna timidezza”. Licenziarli, insomma, per aver seguito il regolamento di lavoro.
Non solo. Sta meditando di rendere obbligatorio il referendum tra i dipendenti per poter indire uno sciopero nei “servizi pubblici essenziali”. Naturalmente occorrerà anche una definizione molto larga di quali servizi siano essenziali, in modo da allargare al massimo la platea dei settori in cui – di fatto – lo sciopero diventerà una eventualità alquanto improbabile.
Per delineare una normativa ad hoc sono stati fatti i nomi dei due “super esperti” di cui sopra.
E Sacconi esordisce subito con una vera e propria capriola “culturale”, arrivando a definire beni comuni una serie potenzialmente infinita di “servizi”, compresi quelli museali, archeologici, ecc. Del resto, andando di questo passo, il turismo culturale sarà una delle poche “industrie” ancora attive in questo paese; dunque va tutelato rendendo schiavetti obbedienti tutti quelli che ci lavorano, come anche quelli debbono trasportare i “clienti” sui siti.
I due campioni del padronato hanno presentato in parlamento due proposte leggermente diverse ma ampiamente sintetizzabili. Una parte dall’idea secca di referendum tra i dipendenti: si può indire uno sciopero solo se dà il proprio consenso il 50% più uno dei lavoratori.
L’altra è un tantinello più corporativo-fascista: può indire uno sciopero solo l’insieme dei sindacati che superi il 50% in azienda. In pratica, il diritto di sciopero – individuale, per Costituzione – verrebbe sequestrato e affidato a Cgil-Cisl-Uil. Che be farebbero certamente un utilizzo intensivo…
Come con l’accordo del 10 gennaio 2014, insomma, si punta a ripristinare il patto di Palazzo Vidoni, con cui il fascismo eliminò in un colpo solo il sindacato, il diritto di sciopero e la contrattazione.
Per chi ne ignora il contenuto, eccone qui il testo risalente al 2 ottobre 1925:
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