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Allarme per il blocco alimentare della Transnistria

Mentre Vladimir Putin, nel corso di un incontro con il presidente della Guinea, Alpha Condé, ha dichiarato che la Russia ha cancellato 20 miliardi di dollari di debito di alcuni paesi africani e, nel 2016, ha stanziato 5 milioni di dollari per aiuti alimentari attraverso l’Organizzazione mondiale per l’alimentazione, anche gli abitanti di una regione europea rischiano la fame in seguito al blocco di forniture alimentari attuato dall’Ucraina.

Si tratta degli oltre cinquecentomila abitanti della Transnistria, la repubblica autonoma riconosciuta solo da Mosca. Lo ha dichiarato a Svobodnaja Pressa il vice direttore dell’Istituto per i paesi della CSI, Vladimir Evseev, sottolineando come, con l’accordo del luglio scorso tra Petro Porošenko e il premier moldavo Pavel Filip, guardie confinarie moldave controllino, in territorio ucraino, i varchi di frontiera tra Ucraina e Transnistria – il principale è quello di Kučurgan, nella regione di Odessa, cui corrisponde, sul territorio della Transnistria, Pervomajsk – impedendo il più delle volte, d’accordo coi colleghi ucraini, il transito di prodotti alimentari.

Se finora il blocco era praticato solo da parte moldava, da qualche mese anche l’Ucraina si è unita allo strangolamento della repubblica, così che Evseev, secondo il quale la situazione alimentare si sta facendo sempre più critica, chiede un intervento finanziario di Mosca a sostegno di Tiraspol, premendo nel contempo economicamente su Kišinëv, fino all’embargo sui prodotti agricoli moldavi, di cui Mosca è il principale acquirente.

La questione della Transnistria sta sempre più infuocando il confronto interno moldavo, oltre che i rapporti tra Mosca e Kišinëv; all’esterno, nel suo recente intervento all’ONU, Pavel Filip è tornato a richiedere il “pieno e incondizionato” ritiro delle forze di pace russe dalla Transnistria, in cui operano dal 1990; all’interno, mentre i sostenitori del presidente (quasi)filorusso, Igor Dodon, chiedono un referendum per il passaggio dalla repubblica parlamentare a quella presidenziale, i fautori del pro-occidentale Pavel Filip minacciano l’impeachment di Dodon (questi, invece di attendere che fosse raggiunto il numero di firme necessarie al referendum, lo ha indetto per decreto, mettendosi così nelle mani degli avversari) e una soluzione di forza della questione della Transnistria, che Kišinëv considera proprio territorio.

A parere di Evseev, più che Bruxelles in prima persona, principale sostegno all’attuale squadra di governo antirussa (divieti all’ingresso di giornalisti, proibizione al responsabile presidenziale russo per la Transnistria, Dmitrij Rogozin, di atterrare a Tiraspol, per la ricorrenza dell’accordo del 1992, richiesta di ritiro delle forze di pace russe, presenti dalla firma dell’accordo del 1992, funzionari dell’ambasciata russa a Kišinëv dichiarati “persona non grata”, insistenza sempre più marcata verso l’integrazione alla NATO, ecc.) sarebbero da un lato la Romania e, dall’altro, Kiev.

La prima, con le mire di uno stato unico assecondate dai Ministri di Filip e, la seconda, che, pur di danneggiare Mosca, arriva persino ad affamare non solo i 220mila russi, ma anche gli oltre 100mila ucraini di Transnistria, vale a dire oltre il 60% degli abitanti della repubblica che, 25 anni fa, conquistarono l’uscita dalla Moldavia, temendo l’assorbimento di questa nella Romania, un tema che, sempre più spesso, alti rappresentanti di Bucarest tornano a sollevare. 

Purtroppo, afferma a Svobodnaja Pressa il politologo Aleksandr Šatilov, il Cremlino non sembra a oggi aver messo a punto alcun piano preciso in caso di repentino inasprimento della situazione, nonostante questa enclave filorussa sia circondata da regimi apertamente antirussi. Secondo Šatilov, “uno scenario del tipo di quello adottato dall’occidente contro la Krajna Serba è oggi quello più verosimile, per la Transnistria che non per il Donbass” e, dato che Mosca ha pochissimi strumenti per influire su tale regione e visto che il presidente Dodon non ha reale peso politico, si dovrebbe cercare di operare nei confronti della élite moldava, per trovarvi forze più positivamente orientate verso la Russia.

Nei fatti, sembra che la forza dei circoli filorumeni e prooccidentali, unita agli ondeggiamenti e ai passi falsi di Igor Dodon, facciano prospettare soluzioni non troppo favorevoli per la Transnistria.

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