In Italia 62 bimbi stanno trascorrendo i primi 3 anni di vita nelle fatiscenti, sovraffollate e malsane prigioni italiane. Alcuni sono nati in prigione, altri sono stati portati dietro le sbarre per consentire l’accudimento da parte delle madri. Al compimento del terzo anno vengono affidati a parenti, ai padri o ai nonni. Oppure vengono collocati in istituti.
Tanto l’esperienza del carcere quanto la separazione dalle proprie madri saranno una ferita psichica indelebile per questi bambini, come purtroppo viene immancabilmente confermato dalle psicologhe e dalle assistenti sociali che cercano faticosamente di occuparsene.
Eppure la legge di riforma dell’ordinamento penitenziario che il governo giallo-verde non ha voluto approvare prevedeva la «revisione delle norme vigenti in materia di misure alternative alla detenzione al fine di assicurare la tutela del rapporto tra detenute e figli minori e di garantire anche all’imputata sottoposta a misura cautelare la possibilità che la detenzione sia sospesa fino al momento in cui la prole abbia compiuto il primo anno di età». In particolare la riforma avrebbe permesso la tanto attesa ” detenzione domiciliare speciale”.
Invece, senza la riforma, la possibilità di accedere a misure alternative alla detenzione in carcere, è concessa alle detenute-madri soltanto “...ove ciò non comporti un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti”. In tal caso le stesse possono essere ammesse ad espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e alla assistenza dei figli, dopo l’espiazione di almeno un terzo della pena ovvero dopo l’espiazione di almeno quindici anni nel caso di condanna all’ergastolo.
Pertanto si continuano ad applicare le norme precedenti. La prima, dell’ 8 marzo 2011, prevede “…che le donne con figli piccoli possano godere di benefici come la possibilità di assistere e curare la prole che ha meno di dieci anni con la detenzione domiciliare speciale e il differimento dell’esecuzione della pena fino all’anno di vita del neonato per poterlo allattare.”. Ma ciò non vale per le donne recidive che sono il numero più cospicuo. La seconda, del gennaio 2014, prevede che “...le mamme incinte o con bambini fino a sei anni, se imputate, non possano essere sottoposte a custodia cautelare in carcere, salvo esigenze di eccezionale rilevanza. Per le condannate è prevista la possibilità di scontare un terzo della pena ai domiciliari o in istituti di cura o a custodia attenuata, purché non abbiano compiuto particolari delitti.”.
Intanto l’unico spazio in Italia in cui le madri-detenute con figli piccoli possono attualmente scontare la pena fuori dal carcere è l’ICAM, ovvero, l’Istituto a custodia attenuata di Milano. A causa, però, dei ripetuti tagli operati dai vari governi che si sono succeduti nell’ultimo decennio, l’ICAM, di Milano è rimasto un caso isolato. Tagli che hanno penalizzato gravemente anche gli altri servizi sparsi nelle carceri italiane e rivolti ai bambini rinchiusi con le loro madri in prigione. Ad esempio proprio nel carcere Rebibbia, ove nei giorni scorsi un detenuta ha ucciso i suoi due figli, per anni aveva funzionato un servizio che permetteva ai piccoli di frequentare l’asilo nido comunale esterno. Quel servizio è stato interrotto cinque anni fa perché sono stati tagliati i fondi per il pulmino.
Il Ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede(M5S), subito dopo il gravissimo episodio di Rebibbia ha sospeso la vicedirettrice di Rebibbia. Ma a che serve? Bastava approvare quella benedetta riforma firmata dal precedente ministro della giustizia, Andrea Orlando(PD), che pure non aveva certo brillato per sensibilità nei confronti dei diritti dei soggetti più deboli avendo sottoscritto anche il famigerato decreto “Minniti-Orlando”.
Secondo Rita Bernardini (Partito Radicale), battutasi strenuamente fino all’ultimo giorno del governo Gentiloni per l’approvazione della riforma Orlando «la mancata riforma dell’ordinamento penitenziario conteneva un capitolo intero sull’affettività in carcere, che comprende anche questo odiosissimo problema della detenzione dei bambini»
Sessantadue bambini, si tratta di sessantadue bambini rinchiusi nelle orride e brutali carceri italiane. Sarebbe da criminali continuare a tenerli in questa condizione.
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