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L’Aquila, dieci anni dopo il sisma, è una città del tutto periferica

A 10 anni dal terremoto che ha devastato un intera città e la vita di migliaia di persone facciamo un bilancio sulla tanto sbandierata ‘ricostruzione’. Per quanto riguarda ricostruzione materiale, quella edilizia, la città di L’Aquila è ancora il più grande cantiere d’Europa, poiché si continua a lavorare, soprattutto in centro storico mentre gli abitanti della periferia sono quasi tutti rientrati nella propria casa.

Diverso è il discorso per i piccoli centri, piccoli per modo di dire poiché ci sono frazioni,come Paganica, che fanno anche 5000 abitanti, questa frazione insieme a molte altre: Tempera, Camarda, Coppito, Sassa… per citarne alcune delle 66, sono ancora così, ferme al 2009, con i palazzi storici fatiscenti, i puntellamenti ormai ‘scaduti, i luoghi di ritrovo del centro abbandonati.

In questo ritrovano un destino simile al centro storico della propria città, tutti i centri storici di L’Aquila da quello principale a quelli periferici, sono vuoti. Quelli delle frazioni ancora da ricostruire e quello principale della città, quello di corso Federico II per capirci, che stenta a ripartire con i pochi negozianti che coraggiosamente hanno deciso di riaprire la loro attività in mezzo ai cantieri e a palazzine seicentesche bellissime ma vuote. Con una vita sociale che si riduce allo struscio del fine settimana o agli annoiati aperitivi serali. Una visione cieca, disordinata e disorganica della città che unisce le due amministrazioni, sia quella passata a guida PD che l’attuale a guida Fd.I, ci restituisce una città uscita da un romanzo di Italo Calvino.

L’Aquila 2019 è tutta una città periferica: 19 progetti c.a.s.e piantati in zone prive di ogni servizio, niente bar, alimentari, piazze o puniti di ritrovo, solo casermoni dormitorio. Le scuole? Nessuna ricostruita. Bambini, studenti e studentesse e i/le loro insegnati sono ancora tutti nei nei M.U.S.P. (moduli uso scolastico provvisorio), nonostante i soldi in cassa Invece i grandi centri commerciali, costruiti in tempi record, sono un po’ ovunque (sempre situati in zone periferiche) e costituiscono la principale fonte di approvvigionamento raggiungibile solo in auto o con i pochi mezzi pubblici, e anche rappresentano un surrogato inquietante al campetto sotto casa, intere generazioni millenial stanno crescendo all’Aquilone.

E’ recente la notizia dell’autorizzazione che l’amministrazione comunale ha accordato per la costruzione dell’ennesima area commerciale di 3000mq. Vista da fuori questa ci sembra l’unica cosa che sappiano fare bene oltre che occuparsi di questioni di vitale importanza come le misure anti-accattonaggio fuori dai supermercati o il presepe in tutti i luoghi istituzionali.

Le poche fabbriche e aziende già in crisi nel pre sisma hanno approfittato della situazione per chiudere e la vita lavorativa della comunità si fa ogni giorno più difficile.

Riconosciamo la responsabilità di questo quadro disastroso nelle scelte e nelle non scelte di entrambe le amministrazioni perfettamente intercambiabili se si tratta di inadeguatezza delle risposte alle necessità degli abitanti, gli unici che ci hanno guadagnato sono i costruttori delle finanziamenti statali per 6miliard, e tutti i vari commissari speciali alla ricostruzione.

L’unico bilancio positivo che possiamo fare del terremoto è la reazione carica di forza creativa che ha portato la cittadinanza e tanti ragazz* ad autodeterminarsi attraverso processi di ricostruzione sociale dal basso.

* Potere al Popolo Abruzzo

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