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Brescia: dopo le manganellate, le bugie e le denunce

L’altro ieri era finita a botte contro studenti, precari e lavoratori ma manifestazione convocata a Brescia per celebrare degnamente le vittime della strage fascista che il 28 maggio del 1974 si portò via 8 persone. Ad una piazza preconfezionata e blindata alcune realtà giovanili e studentesche della città avevano risposto organizzando un corteo, che per un certo tempo è riuscito a sfilare senza problemi per le vie del centro di Brescia. Dietro due striscioni che chiarivano intenti e obiettivi dei manifestanti: “28 Maggio 1974 – 2012. La memoria è viva solo nelle lotte del presente. Cancellieri go home” e “Fermiamo la strage, contro la crisi basta vittime: lotta sociale!”.

Ad un certo punto, visto che gli studenti hanno accelerato il passo per arrivare in Piazza della Loggia prima che si svuotasse, le autorità di pubblica sicurezza hanno pensato bene di bloccarli in Corso Matteotti. Di fronte alle proteste dei manifestanti – increduli, visto che il corteo era stato regolarmente autorizzato fino alla piazza – i Celerini in assetto antisommossa hanno caricato. A freddo. E poi, dopo che il corteo aveva resistito e si era ricompattato, riprendendo a sfilare fino alla piazza, di nuovo altre cariche, che hanno coinvolto questa volta anche molti dei lavoratori che partecipavano alla celebrazione ufficiale e che avevano pensato di unirsi al corteo. Nel frattempo in Piazza della Loggia la segretaria della Cgil continuava imperterrita il suo intervento, nonostante gli echi delle cariche e nonostante un Giorgio Cremaschi che da sotto al palco le gridava di fermarsi e di permettere ai giovani di entrare in piazza. Alla fine il corteo è riuscito a farcela, e i manifestanti sono riusciti ad arrivare fin sotto la lapide che ricorda i nomi degli 8 uccisi di 38 anni fa. Sembrava finita lì, ma invece no.

Perché poche ore dopo su alcuni manifestanti sono piovute le denunce. Per l’esattezza undici, e anche per reati molto gravi, descritti nel pittoresco comunicato della Questura di Brescia: “resistenza a pubblico ufficiale aggravata, lesioni, accensioni pericolose (almeno tre i razzi colorati accesi)”.

E poi le bugie: secondo la Questura “mentre gli studenti percorrevano corso Matteotti una ventina di manifestanti (circa 300 i presenti) hanno divelto le recinzioni di un cantiere edile tentando di prendere materiale di risulta per sfondare il cordone di sicurezza e raggiungere Piazza della Loggia per impedire lo svolgimento delle celebrazioni ufficiali”.

Peccato che ci siano numerosi video e testimoni che documentano che è andata molto, ma molto diversamente. E a spiegare com’è andata ci hanno pensato direttamente gli organizzatori della manifestazione – Kollettivo studenti in lotta, Magazzino 47, Radio onda d’urto e Associazione Diritti per tutti  -che ieri pomeriggio hanno tenuto una conferenza stampa durante la quale hanno smontato parola per parola la ricostruzione dei fatti operata strumentalmente dai responsabili della Questura che hanno parlato di un assalto a un cantiere allo scopo di rifornirsi di armi improprie da usare contro i poliziotti e poi in piazza.

Ma dalle immagini video diffuse durante la conferenza stampa si vede chiaramente che in Corso Matteotti il cordone di celerini in assetto antisommossa blocca il corteo lungo il percorso autorizzato. “Alle prime proteste per questo arbitrario ed illegittimo blocco della manifestazione, partivano le manganellate – hanno spiegato ai giornalisti i manifestanti – ricominciate quando i manifestanti hanno cercato di frapporre una rete tra loro e i poliziotti”.

Qui uno dei video:

http://www.youtube.com/watch?v=d2Gpf9iLIr0

 

Intanto a smentire il quadretto idilliaco di una piazza bresciana stretta attorno alle autorità ci pensa una cronaca del quotidiano “la Stampa” di Torino (a patto di concentrarsi sulle dichiarazioni dei parenti delle vittime e non sul giudizio sul corteo…).

 

“Dallo Stato parole di circostanza Non crediamo più a nessuno”

Michele Brambilla – La Stampa 29 maggio 2012

 

Piazza della Loggia a Brescia, ore 9 di ieri mattina. Sopra il cestino dei rifiuti in cui misero quella maledetta bomba c’è uno striscione: «28 maggio 1974, 28 maggio 2012: noi non dimentichiamo». A fianco, la riproduzione del manifesto di convocazione del comizio di allora: annunciava «una manifestazione antifascista». Qualcuno non gradì e volle interrompere il discorso del sindacalista Franco Castrezzati uccidendo otto persone e ferendone altre centodue.

Quest’anno la celebrazione della ricorrenza è speciale: viene inaugurato un percorso che dal punto dell’esplosione arriva fino al Castello di Brescia. Per terra, a indicare la strada, 490 formelle, ciascuna delle quali porterà il nome di una vittima degli anni di piombo. Tante risultano infatti, per la statistica, le vittime di quella stagione di odio e di trame: 490.

Ma in realtà sono molte di più. C’è chi è morto dentro: «Da quel giorno la nostra vita è cambiata per sempre», mi dicono Daniela e Silvio Bardini, con cui arrivo in piazza Loggia (a Brescia la chiamano così, piazza Loggia, senza il «della») dalla stazione ferroviaria. Vengono dal Mantovano, dicono che anche questa notte hanno sentito il terremoto. «Quel giorno nostra sorella Ada perse il marito, Luigi Pinto. Avevano 25 anni ed erano sposati da otto mesi. Nostra sorella è morta sette anni fa, di cancro, senza avere giustizia. Solo chi è stato toccato personalmente può capire».

Che cosa possono dire oggi i rappresentanti delle istituzioni? «Parole di circostanza, ormai non crediamo più a nessuno», dice la signora Daniela in un momento di sconforto. Come darle torto? Le parole di chi rappresenta lo Stato in casi come questi appaiono sempre di circostanza anche se chi le pronuncia è in buona fede. Chi infatti doveva rendere giustizia a quei poveri morti, se non lo Stato? Eppure non l’ha resa. Per incapacità, o peggio per cattiva volontà: l’unico punto fermo dopo tanti processi per le stragi sono le condanne di uomini dei servizi segreti che hanno depistato le indagini e coperto gli assassini. Gli Anni Settanta sono stati difficili in tutto il mondo, ma uno schifo del genere s’è visto solo in Italia.

Sono le nove e mezza quando il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri incontra in Comune i familiari delle vittime. Ci sono anche parenti dei morti di piazza Fontana, di Ustica, della stazione di Bologna. «Siamo qui a ricordare una giornata che ha ferito Brescia in modo terribile», dice il ministro, «e siamo costernati di doverlo fare senza una verità. Ma una verità arriverà. È solo questione di tempo». Manlio Milani, il presidente di «Casa memoria» che quel 28 maggio 1974 perse la moglie, parla dell’apertura degli archivi, delle vittime, delle formelle che ricorderanno che «ogni persona rappresenta un mondo e che la vita è il valore più grande». Saluta i figli, venuti dal Brasile, di uno dei morti di trentotto anni fa. Milani si commuove, la voce è incrinata da un pianto trattenuto a fatica. «In tanti anni non mi era mai successo», mi dice poco dopo quasi scusandosi. Com’è vero che «solo chi è stato toccato personalmente può capire».

Piazza Loggia intanto è piena di gente. Moltissimi giovani, anche piccolini delle elementari e materne perché tutti devono sapere. Cammino a fianco di Cristina Caprioli, di Verona: «Mio fratello Davide», mi racconta, «è morto il 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna. L’esplosione gli aprì la testa in due. Aveva vent’anni». La signora che ascolta al nostro fianco si chiama Sonia Zanotti e quel giorno a Bologna rimase ferita. Aveva undici anni, dovettero tenerla al centro grandi ustionati per otto mesi.

Com’è possibile che esistano mostri tanto feroci? E che nemmeno uno di essi sappia che cosa significa la parola rimorso? Che cosa c’era e che cosa c’è ancor oggi nella testa e nel cuore di quegli uomini? Sotto la lapide che ricorda gli otto morti di piazza Loggia ci sono tanti fiori e i cartelli lasciati dai bambini. Su uno è scritto: «Cari grandi, se volete costruire la pace fate come noi. Giocate, seminate, guardate la natura, imparate le lingue, usate più fantasia e meno tristezza».

Alle 10,10 le campane suonano a morto. Poi compare sul palco una ragazza che si chiama Martina Carpani: viene da Brindisi per ricordaci che la stagione dell’orrore può sempre riprendere. È la presidente della consulta degli studenti brindisini, conosceva Melissa. Veste una t-shirt con scritto: «Io non ho paura». «Vi chiediamo», dice, «di starci vicini. Dobbiamo restare uniti».

Parla un altro ragazzo di Brescia, parla Susanna Camusso che dice «sul nostro Paese soffia di nuovo un’aria che non ci piace». Ci sono pure anche certi elementi più democratici degli altri, quelli che pensano che la libertà sia la mancanza di regole: con delle reti metalliche prese in un cantiere cercano di forzare il blocco e di entrare in piazza prima dell’ora concordata. Prendono qualche manganellata e parlano di repressione, poi arrivano in piazza e sparano un razzo sotto i portici del municipio. Scene di un film già visto.

Finisce all’auditorium San Barnaba con il ministro Cancellieri che risponde alle domande degli studenti. Viene letto il messaggio di Napolitano, che ricorda il dovere di continuare gli accertamenti. E solo se le istituzioni ascolteranno davvero l’appello del loro Presidente, in giornate come queste lo Stato diventerà credibile.

 

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