La realtà brutale degli interessi economici, come sempre mescolata con quelli mafiosi dietro la cascata di belle intenzioni sparate sui media (complici) da politici servi. L’Avvenire, giornale dei vescovi italiani, quindi “extraterritoriale”, si può permettere il giornalismo d’inchiesta che nessuna testata “democratica” fa più (a meno che l’inchiesta non serva a bastonare un avversario – politico o economico – del padrone della testata…).
Quel che comunque non può dire, per “educazione” politica (ci sono trattati da rispettare e 8×1000 da incassare…), proviamo ad aggiungerlo noi. La storia che Nello Scavo ha scoperto e racconta riguarda tutto – tutto! – l’establishment italiano ed europeo. Coinvolge infatti le compagnie petrolifere (il petrolio di contrabbando non può mica essere acquistato dal primo che passa…), tutti – tutti! – i governi che hanno firmato accordi con il frammento di Libia controllato dal Al Serraj (o più concretamente da Bija), e tutti i paesi che hanno fatto la stessa cosa, a partire da quei “democratici” governanti maltesi che fanno saltare in aria i veri giornalisti d’inchiesta (Dafne Caruana).
In questa commistione di marciume è inascoltabile chi pretende di distinguere tra “democratici” e destra sulla base del “rispetto dei diritti umani” o del “trattamento umanitario dei migranti”. Perché sia i Minniti che i Salvini hanno firmato accordi simili proprio con il capo dei trafficanti di esseri umani che è al tempo stesso il capo della “guardia costiera libica”, “legalmente riconosciuta” dall’Unione Europea ma con un capo ricercato dall’Onu. E non è difendibile neanche il contenuto di quegli accordi: mantenere persone in catene nei lager per evitare che arrivino in Europa.
Che poi il Bija di turno faccia loro pagare carissimo un “biglietto” per il barcone che li riporterà nel lager dopo un giro in mare, è solo un dettaglio d’infamia in più. Di cui sono responsabili tutti – tutti! – i “maggiorenti” d’Europa…
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Prima puntata sulle esportazioni illegali di petrolio dalla Libia: giro di affari di 750 milioni. Tripoli ridimensiona il peso delle «intese segrete» con Malta sui respingimenti dei migranti
Un patto segreto tra Malta e Libia grazie al quale le forze armate maltesi si coordinerebbero con la guardia costiera libica per intercettare i migranti e respingerli in Libia. Paese che «sulla base delle attuali condizioni non può essere considerato un porto sicuro», ha ribadito la portavoce della Commissione europea, Mina Andreeva.
La Valletta non smentisce il negoziato. Tripoli prova a ridimensionare, parlando semmai di «cooperazione trasparente» e tirando in ballo anche «Italia e gli altri Paesi Ue».
Un nuovo caso, mentre vanno emergendo altre indicibili intese: esseri umani da tenere in catene, in cambio della libera circolazione del petrolio di contrabbando.
Il giornale Times of Malta ha pubblicato alcune foto che mostrerebbero alcuni incontri riservati in vista di un accordo di «mutua cooperazione» siglato tra l’esercito de LaValletta e la cosiddetta Guardia costiera libica, con il funzionario governativo Neville Gafà, accusato in precedenza di comportamenti illeciti e controversi, tra cui, ricorda il giornale maltese, legami con un leader delle milizie libiche che gestisce estorsioni e centri di detenzione non ufficiali.
«Abbiamo raggiunto – ha detto al quotidiano una fonte maltese – quello che potreste chiamare un’intesa con i libici: quando c’è una nave diretta verso le nostre acque, le forze armate maltesi si coordinano con i libici che la prendono e la riportano in Libia prima che entri nelle nostre acque e diventi nostra responsabilità», ha dichiarato una fonte a Times of Malta.
Ma i misteri libici non si fermano al traffico di persone. Il capo della Noc, la compagnia nazionale petrolifera di Tripoli, continua a denunciare il furto di idrocarburi. Mustafa Sanalla, ha ripetutamente stimato in almeno 750 milioni di euro annuali il valore dei prodotti petroliferi trafugati ed esportati illegalmente all’estero. Furti che avvengono alla luce del sole. Solo nei dodici mesi tra giugno 2015 e 2016 sarebbero arrivati in Italia e poi immessi in Paesi come la Spagna oltre 82 milioni di chili di gasolio di contrabbando, per un valore d’acquisto pari a circa 27 milioni di euro, a fronte di un valore industriale di mercato pari a oltre 50 milioni.
Solo la punta dell’iceberg, grazie al gioco delle tre scimmiette praticato dai governi Ue che hanno abbandonato il mare lasciando campo libero ai trafficanti di esseri umani, che hanno allargato il giro d’affari trasformandosi anche nella principale multinazionale del contrabbando.
Il principale centro di approvigionamento è la ‘Azzawiya Oil Refinery Company’, la più grande raffineria statale controllata dalla Noc. A impedire i furti di petrolio dovrebbe pensarci la divisione di Zawyah della Petroleum facility guard (Pfg). Ma l’esercito privato incaricato di vigilare risponde agli ordini del clan guidato dai fratelli Koshlaf, i veri datori di lavoro di Abdurhaman al Milad, quel Bija che nel maggio del 2017 era in Italia durante quella che egli stesso ha definito «lunga trattativa» e che, nonostante i provvedimenti Onu, con le accuse di essere uno dei boss del traffico di esseri umani, è stato riconfermato alla guida dei guardacoste di Zawyah.
Nei giorni scorsi Euronews ha pubblicato, senza riceverne alcuna smentita, la notizia secondo cui sarebbero 236 i vascelli cisterna a disposizione dei ladri di gasolio. Un vero intrigo internazionale: a settembre il governo maltese ha chiesto a Mosca di non porre il veto alla richiesta di sanzioni proposte dal Consiglio di sicurezza Onu per bloccare ovunque nel mondo i beni dei membri dell’organizzazione di maltesi, libici e italiani indagati nel 2017 nell’operazione “Dirty Oil” della procura di Catania.
Tra questi alcuni mediatori considerati vicini al più potente clan mafioso della Sicilia orientale: la famiglia Santapaola-Ercolano.
* da Avvenire
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