“I poveri hanno fatto strada”, si potrebbe dire. Ma solo nel senso che la cosiddetta dieta mediterranea è diventata il cardine della dieta che aiuta nel miglior modo la nostra salute, il nostro benessere. Ora invece la dieta mediterranea è per i più ricchi, che cercano sempre più farine (ricordo bene la farina saragolla proteica, molto digeribile, contenente poco glutine) e cibi integrali, verdure e frutta. Quasi mettono al bando la carne (pensate agli animali allevati con farmaci, in pratica “dopati”).
I “poveri”, i meno abbienti, le classi sociali più deboli, sono invece costrette a ingozzarsi di cibi e farine artefatte, di alimenti malsani. E’ bene sapere che l’alimentazione, le verdure, la frutta sono un elemento molto importante per la nostra salute, sia come prevenzione sia come cura per numerose malattie.
La Scuola Medica Salernitana, ancora nel Medioevo, affermava “la dieta è poi metà del medicar, e chi di lei non apprezza, quando sano, mal regge, e infermo poi non ben si cura”; consiglio assai valido anche oggi, ponendo anche l’accento sul valore e sulla quantità dei cibi o delle bevande.
“Dieta Mediterranea” è una terminologia nata negli anni cinquanta-sessanta e venne creata per indicare il regime alimentare tipico delle popolazioni del sud Italia.
Il fisiologo americano Ancel Keys, che aveva una enorme esperienza per tutto quanto riguarda l’alimentazione, fu molto impressionato dalle abitudini alimentari delle popolazioni del Cilento, popolazioni che lui conobbe durante la seconda guerra mondiale. Quando tornò in Cilento, questo medico si trasferì a Pollica e studiò il cibo, l’alimentazione della gente del sud Italia; in particolare, fece riferimento all’influenza di tale regime alimentare sulle malattie cardiovascolari, sul diabete, sulla pressione alta e, ovviamente, sull’arteriosclerosi.
In questa regola, dettata una volta dalla esiguità dei mezzi di sostentamento, vi era poco formaggio, pochi salumi -quasi solo la domenica o nelle feste comandate – alcuni dolci e molto movimento, anche solo camminando. Oggi diremmo “ attività fisica”.
Il dodici aprile di quest’anno, nella trasmissione “Di martedì”, su La7, è stata fatta un’intervista sull’alimentazione al professor Silvio Garattini che, tra le diverse cose, ha affermato: “La dieta mediterranea ci protegge da alcuni tumori, e questo probabilmente perché c’è ricchezza di vegetali e frutti; una delle caratteristiche dei vegetali è quella di assorbire e eliminare materiali che possono essere cancerogeni.”
Non è proprio così e occorre fare alcune importanti precisazioni scientifiche.
Se pensiamo alla dieta mediterranea, alla dieta dei poveri, pensiamo all’olio di oliva, al condimento con grasso animale (sugna o strutto) alla farina e al pane, al vino, alle verdure -anche aquelle spontanee – alla poca carne, al pesce, al peperoncino, al rafano e ad altri alimenti vegetali.
I componenti chimici che conferiscono alle spezie quel tipico sapore pungente potrebbero rappresentare il punto di partenza per la formulazione di nuovi, ed efficaci, farmaci antitumorali, senza significativi effetti collaterali per l’ammalato. L’affermazione è di un gruppo di scienziati dell’Università di Nottingham, Gran Bretagna, i quali hanno pubblicato abbastanza recentemente (Journal Biochemical and Biophysical Research Communication) uno studio scientifico in cui, per la prima volta, si dimostra che la capasaicina, principio pungente del peperoncino, potrebbe uccidere le cellule tumorali attraverso la diretta eliminazione della loro fonte energetica.
La ricerca scientifica ha dimostrato, infatti, che la famiglia dei componenti a cui appartiene la capsaicina – i vanilloidi – possono uccidere i tumori attaccando i mitocondri: degli organuli presenti nelle cellule. Il mitocondrio viene considerato come una “centrale energetica”, dove viene prodotta l’energia necessaria per lo svolgimento di molte funzioni cellulari.
Il dottor Timothy Bates, una delle massime autorità internazionali nello studio delle funzioni dei mitocondri, membro del Medical Research Council of Expert, ha diretto lo studio che – a suo parere – può spiegare la bassa incidenza di patologie tumorali in tutte quelle popolazioni che consumano, con l’alimentazione, molte spezie.
La capsaicina è stata sperimentata, in laboratorio, sulle cellule umane H460 del tumore del polmone, e su quelle del carcinoma del pancreas con risultati giudicati, dagli scienziati, molto soddisfacenti. “Questi composti portano un attacco al cuore delle cellule tumorali” ha dichiarato il dottor Bates che, assieme ai ricercatori, è convinto di aver trovato uno “dei talloni d’achille” dei tumori. Lo sviluppo di farmaci anti-mitocondriali per la chemioterapia dei tumori, infatti, potrebbe essere una nuova strada farmacologica.
Fin qui, molto sinteticamente, le nuove acquisizioni sulla capsaicina, già nota per le sue virtù farmacologiche, ma ritengo opportuno ricordare quanto affermato dal dottor Bates: “Le persone che hanno un tumore, o quelle che sono a rischio di svilupparlo, dovrebbero essere avvisate che mangiare cibi ricchi in spezie (compreso il peperoncino) potrebbe essere d’aiuto a contrastare il male, o a prevenirlo”.
Josephine Querido, del Cancer Research del Regno Unito, però avverte: “Questo studio non suggerisce di mangiare una grande quantità di peperoncino per aiutare a prevenire o trattare le forme tumorali.” L’abuso, è risaputo, risulta nocivo e l’uso eccessivo è stato correlato al cancro dello stomaco in popolazioni dell’India e del Messico.
L’oleoresina del peperoncino (Capsicum annuum e frutescens) contiene capsacinoidi, e la capsaicina è il principale principio attivo pungente. I capsacinoidi attivano particolari recettori che hanno un ruolo fondamentale nella trasmissione del dolore: i recettori dei vanilloidi. Tra le altre sostanze vi sono i carotenoidi, i flavonoidi, le proteine, gli acidi organici e le vitamine B, PP, C, E, la provitamina A.
La capsaicina ha dimostrato una notevole azione “anti-proliferativa” nei confronti delle cellule del cancro della prostata ed è quindi in grado di rallentarne lo sviluppo. La capsaicina potrebbe dunque rappresentare una nuova base per lo sviluppo di famaci contro il tumore della prostata.
Se parliamo dei cavoli (Famiglia delle Brassicacee, o Crocifere), a esempio, il cavolo nero, o nero crespo di Toscana, di cui si conoscono numerose varietà, tra cui quella acephala (cavolo crespo), essi rappresentano un cibo funzionale (functional food): vale a dire che, oltre al valore nutritivo, può apportare grandi benefici alla salute riducendo il rischio di insorgenza di diverse malattie, tra cui quelle del sistema cardiovascolare e alcune forme tumorali.
Si ritiene infatti che i cavoli, e quindi anche il cavolo nero, siano antitumorali per il loro contenuto in polifenoli, ma anche per il contenuto di glucosinolati: gruppo di sostanze fitochimiche precursori naturali degli isotiocinati.
Inoltre, non bisogna dimenticare il sulforafano contenuto in cavoli, cavoletti di Brussel, broccoli e altri vegetali delle Crocifere; secondo uno studio, questa sostanza conosciuta perché in grado di contrastare alcuni tumori, potrebbe agire contro le cellule tumorali della leucemia linfoblastica acuta, il tumore delle cellule sanguigne più diffuso nell’età pediatrica.
Un altro studio indica una strada che potrebbe essere importante: il sulforafano potrebbe essere d’aiuto ai ragazzi con spettro autistico.
Quando mio padre aveva il raffreddore, su un piatto di pasta al sugo – magnifici fusilli fatti in casa, con la farina saragolla, che era tipica in Lucania – prendeva delle radici bianche fresche, dall’intensissimo odore acre e piccante, e le grattugiava sui fusilli provocando lacrimazione agli occhi e starnuti. Alla fine del pasto però stava meglio. Le radici erano il rafano rusticano, o Cren, della famiglia delle Crocifere, cui appartengono anche cavolo, cavolfiore, broccolo, rapa, verza, senape, rucola e il wasabi.
Componente del rafano, in grado di provocare una forte lacrimazione, è l’isotiocinato di allile contenuto nell’olio essenziale; e gli isotiocinati estratti dalla radice possono essere sostanze antimicrobiche, ottimi dunque contro i microrganismi del cavo orale. Nelle infezioni del tratto respiratorio da decenni, secondo uno studio pubblicato su Current Medical Research and Opinion, la radice del rafano, e il nasturzio, vengono utilizzati nel trattamento preventivo dei disturbi infettivi del tratto respiratorio.
Nello studio si sono esaminate trecentocinquantuno persone di entrambi i sessi, di età tra i 18 e i 75 anni; la combinazione di rafano e nasturzio ha dimostrato efficacia e sicurezza nei trattamenti profilattici delle infezioni del tratto respiratorio. Importantissima, nel rafano, è la ricchezza di isotiocinati che, oltre alle proprietà prima descritte, hanno azione anticancerosa che si esplica soprattutto a livello preventivo.
Va accennato che il 6-esil-isotiacinato può essere efficace nel carcinoma della mammella, nella leucemia, nel melanoma e nel tumore dei polmoni.
Sconsiglio in maniera netta, invece, il consumo di integratori che abbiano queste sostanze, e per completezza dovrò ancora parlare di pomodoro, aglio, cipolla, uva e altre piante, e frutti, di uso alimentare/medico; ma anche dello strutto che recentemente la medicina ha rivalutato considerandolo elemento sano.
I poveri hanno ripreso a camminare e stanno riprendendo possesso della propria alimentazione.
Prof. Roberto M. Suozzi
Medico e Farmacologo Clinico
suozziroberto.altervista.org
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