I fascio-leghisti dagli elmi cornuti sono accusati di aver sollecitato per sé l’oro di Mosca. I liberal-fascisti dai grembiulini urlano che si tratta di un fatto “inquietante”. Questo perché non è solo in ballo la “cessione di denaro da uno stato sovrano estero a un partito italiano”, ma soprattutto perché, dicono i demo-reazionari di livella e filo a piombo, vi sarebbe correlata la volontà dei fascio-leghisti giussaniani “di cambiare l’Europa” e farla “essere molto più vicina alla Russia”.
Dunque, “bisogna chiarire subito in Parlamento”, gridano i social-patrioti, sperando che dal Pentagono e dalla NATO odano il grido di dolore e vengano in soccorso.
E al culmine dell’esaltazione lanciano la sfida: “Non si può tollerare il sospetto che il partito del ministro dell’Interno abbia bussato a quattrini al portone di una potenza nemica”, da sempre minacciosa dei “confini della Patria là dove già Dante aveva indicato” e per di più portatrice di un “programma che richiama alcuni degli obiettivi di fondo che l’Unione sovietica perseguiva negli anni della Guerra Fredda nei confronti delle democrazie liberali e del progetto comunitario europeo”.
Manca solo, a coronare cotanto afflato patriottico, che i demo-atlantici dal maglietto e scalpello intonino l’inno “il Piave mormorò”: anche allora si trattò, molto prosaicamente, di soldi di “una potenza nemica”: cento anni fa, per portare l’Italia in guerra, per farla passare dal Reno alla Senna (e alla Moscova); oggi, per spostarla “più vicina alla Russia”, per traghettarla dal Potomac al Volga.
Se non altro, i demo-interventisti da regolo e cazzuola, forse toccati da un timido impulso di pudore, hanno taciuto sul “non passa lo straniero!”: quello è già in casa, da settant’anni, da Aviano a Camp Derby, da Sigonella a Napoli, da Vicenza a La Maddalena a Comiso; rispondono ai suoi ordini, ligi e rispettosi, tanto i carrocci di Pontida, quanto i compassi con squadre di Rignano; quello, non risponde in nulla allo “stato sovrano” italiano.
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