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Attenti al “Chalabi libico”

E’ ormai evidente che il colonnello Gheddafi ed i suoi fedelissimi sono intenzionati a rimanere al potere ed hanno cominciato a riacquistare un po’ di fiducia in se stessi. Essi minacciano una sanguinosa guerra civile facendo affidamento sui loro arsenali pieni di armi di ogni tipo e sui mercenari.

Chi abbia letto il testo letterale dell’incontro avuto dal colonnello Gheddafi con un gruppo di giornalisti stranieri, in un ristorante di Tripoli alcuni giorni fa, sa che l’uomo è apparso più tranquillo, scegliendo con cura le proprie parole ed evitando il linguaggio delle promesse e delle minacce, e le parole inopportune che aveva utilizzato nel suo precedente discorso dominato dall’emozione. Egli ha tuttavia fatto ricorso alla stessa strategia che aveva utilizzato suo figlio Saif al-Islam, quella di corteggiare l’Occidente ed allo stesso tempo di utilizzare la carta di al-Qaeda per intimidirlo. Era come se stesse dicendo a Obama che lui e il presidente americano si trovano nella stessa trincea contro il nemico comune.

E’ tuttavia da escludere che l’Occidente accolga questo corteggiamento. Esso ha infatti utilizzato con il colonnello libico lo stesso scenario che aveva utilizzato con il presidente iracheno Saddam Hussein, con alcune necessarie modifiche che sono il risultato delle mutate condizioni e della differente personalità di Gheddafi.

La cosa più sorprendente che il leader libico ha detto ai giornalisti stranieri è stata la sua lamentela per il fatto di essere stato abbandonato dall’Occidente, e di non aver ricevuto alcun soccorso di fronte ai ribelli. Egli ha dimenticato di essere l’ultimo arrivato nel club degli alleati dell’America, un novellino accettato a malincuore, e che stava ancora completando il suo periodo di prova. Se l’alleanza occidentale era stata costretta a sbarazzarsi di un alleato obbediente come il presidente egiziano Hosni Mubarak, sarebbe invece accorsa a sostenere Gheddafi?

Americani e britannici avevano attirato il colonnello libico nella loro trappola attentamente predisposta, attraverso lo spiraglio offerto da suo figlio Saif al-Islam e da alcuni responsabili libici che ritenevano che l’alleanza occidentale avrebbe potuto perdonare a Gheddafi tutte le sue colpe se egli avesse accolto le sue richieste.

Washington e Londra hanno utilizzato l’esca della “normalizzazione” e della riabilitazione del regime libico, che avrebbe aperto la strada al suo ritorno nella comunità internazionale in cambio della sua rinuncia alle armi di distruzione di massa. Ciò avvenne nel 2003, cosicché americani e britannici poterono dire che la loro guerra in Iraq aveva cominciato a dare i suoi frutti.

Dopo averlo spogliato delle sue armi di distruzione di massa, essi lo hanno adescato spingendolo a porre le sue riserve di denaro nelle banche americane e ad aprire nuovamente il territorio libico alle compagnie petrolifere britanniche ed americane, anche più che in passato.

Ora gli Stati Uniti mobilitano la loro flotta nel Mediterraneo per prepararsi a un intervento militare, mentre i ministri della NATO si apprestano a tenere una riunione a Bruxelles la settimana prossima per studiare il modo di gestire la questione libica, sia rafforzando l’assedio sia imponendo un’eventuale no-fly zone sotto il pretesto di proteggere i ribelli e la rivoluzione.

Il colonnello Gheddafi ha commesso numerosi errori nella gestione del suo regime sopravvissuto per più di quarant’anni, fra cui quello di sostenere due leader ormai vacillanti a causa delle rivolte popolari nei loro rispettivi paesi: il presidente tunisino Zine El Abidine Ben Ali, ed il presidente egiziano Hosni Mubarak. Ma l’errore più grave che egli ha commesso è stato quello di fare all’Occidente tutte le concessioni che quest’ultimo gli chiedeva, e di non fare invece alcuna concessione al suo popolo che gli chiedeva libertà, democrazia, e una vita dignitosa.

Forse l’aspetto più scioccante negli ultimi discorsi del colonnello libico è il fatto che egli abbia ripetuto che il suo popolo lo ama ed è pronto a morire per lui. Ci si potrebbe chiedere perché il popolo libico dovrebbe amarlo, e perché dovrebbe essere disposto a morire per lui. Cos’ha offerto Gheddafi al suo popolo per meritare una cosa del genere? Gli ha offerto la democrazia, il rispetto dei diritti dell’uomo, la trasparenza, una magistratura equa e indipendente, e la lotta alla corruzione?

Il leader libico è giunto in Libia dal cuore del deserto, e ha ridotto la Libia ad un deserto spogliato di tutti i significati della civiltà moderna. I suoi vicini in Egitto ed in Tunisia perlomeno hanno fondato una società civile, ed hanno creato le premesse per la nascita di una classe media, mentre egli introduceva in Libia la cultura della tenda e la riportava al Medio Evo.

Personalmente non sono contro la tenda e contro la cultura dei beduini, perché provengo da essa. Io sono nato in una tenda e sono stato nutrito a latte di capra. Ma questo non significa accettare di rimanere indietro rispetto all’era in cui viviamo, ai suoi strumenti ed ai suoi elementi di rinascita, che permettono di risvegliare l’apprendimento e di applicare scienze amministrative sviluppate per creare uno Stato moderno fondato su istituzioni democraticamente elette.

Ho sperato che il corrispondente della BBC Jeremy Bowen facesse al leader libico una domanda precisa: lei, Gheddafi, è pronto a morire per il suo popolo che, a quanto lei dice, l’ama ed è pronto a morire per lei? Ma purtroppo né Bowen né gli altri suoi colleghi hanno posto questa domanda al colonnello.

Nel frattempo l’Occidente si prepara ad avventurarsi in una grande follia in Libia, vale a dire a compiere un intervento militare contro il regime libico con il pretesto di proteggere il suo popolo, cosa che farà un grande servizio a Gheddafi, un servizio che egli si augura e per cui prega in ogni momento. Un intervento del genere, infatti, mobiliterà una grande quantità di libici e di arabi contro di esso, poiché ricorderà a tutti noi lo scandalo dell’intervento militare in Iraq ed i suoi risultati catastrofici, tra cui la morte di un milione di iracheni.

In questi giorni leggiamo sui giornali occidentali lunghi reportage che parlano delle tonnellate di armi chimiche che sarebbero in possesso di Gheddafi e che egli potrebbe utilizzare per sterminare i ribelli. Questo ci riporta alla mente analoghi reportage, apparsi su quegli stessi giornali, che riguardavano la menzogna delle armi di distruzione di massa irachene.

Il popolo libico rifiuta l’intervento militare straniero, proprio come fecero il popolo egiziano e quello tunisino quando rovesciarono i loro presidenti. La presenza delle navi da guerra americane nelle acque del Mediterraneo che fronteggiano le coste libiche è di cattivo auspicio, ed è una fonte di grave pericolo per la rivoluzione libica attuale, così come per qualsiasi futura rivoluzione araba che intenda rovesciare regimi dittatoriali repressivi e corrotti.

L’Occidente – lo ripetiamo per la milionesima volta – non vuole la democrazia o una vita dignitosa per gli arabi. Vuole invece il loro petrolio e le loro ricchezze, e cerca sempre di indebolirli militarmente affinché Israele rimanga forte e potente, e continui ad essere una forza di occupazione razzista. L’Occidente vuole che i regimi arabi siano al servizio dei suoi interessi e desiderosi di proteggere Israele.

Un ultimo punto è bene sottolineare in questo articolo, e cioè che l’Occidente vuole anche qualcosa di più importante del petrolio libico. Vuole chiudere le coste libiche – che si estendono per 1.800 chilometri lungo il Mediterraneo – all’immigrazione clandestina proveniente dall’Africa. E’ dunque necessario riflettere attentamente su questi piani e non lasciarsi ingannare dai discorsi melliflui dell’Occidente che parlano di sostegno alla rivoluzione libica e che vengono ripetuti da molti responsabili europei ed americani.

In poche parole, mettiamo in guardia il popolo libico, ed in primo luogo le sue avanguardie ribelli, dai rischi di un “Chalabi libico”, e ci auguriamo che questo popolo seguirà il modello egiziano e quello tunisino, esercitando il massimo grado di pazienza.

* Abd al-Bari Atwan è un giornalista palestinese residente in Gran Bretagna; è direttore del quotidiano panarabo “al-Quds al-Arabi”

 

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