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LA CRISI BALCANICA : UN APPROCCIO MARXISTA

L’esperienza dell’ autogestione jugoslava è stato un momento importante dell’avventura del movimento operaio e delle forze politiche che, in maniera sincera o meno, a questo movimento si riferivano : Alcuni interpreti di Marx considerano l’autogestione lo sbocco logico del pensiero di Marx ;  L’autogestione stessa è stata inoltre al centro delle discussioni nelle fabbriche di Varsavia e di Budapest, durante la rivoluzione ungherese.  Tuttavia la realizzazione dell’autogestione in Jugoslavia ha scontato molti errori, da molti è stata considerata insufficiente se non addirittura fasulla : si pensi che, dopo gli iniziali successi economici dei primi anni ’50, l’irrigidimento ideologico dovuto al caso Gilas portò ad uno svuotamento dei poteri dei lavoratori all’interno delle singole fabbriche a favore dell’autorità del “Quintetto dirigente” composto dal direttore, dal segretario della Lega, e dai presidenti del Consiglio operaio, del Comitato di gestione e dell’organizzazione sindacale. Comunque, quand’anche si fosse dispiegata al meglio, l’autogestione si sarebbe imbattuta in quei problemi propri di ogni versione del marxismo che si sia limitata all’analisi dei rapporti di produzione all’interno delle fabbriche, senza cioè estendere l’analisi al problema dei rapporti  tra unità produttive in un contesto economico articolato e differenziato ;  a tal proposito la  teoria  leninista sull’imperialismo è una opportuna estensione del marxismo su questa linea di ricerca e costituisce una risposta teorica e pratica alle opzioni in auge nella Seconda Internazionale, opzioni che, rimanendo teoricamente indifferenti ai suddetti problemi di gestione dei rapporti tra unità economiche su diversa scala e riducendo conseguentemente i luoghi della transizione e della costruzione del socialismo ai sistemi-paese ed alle realtà locali individuate in base ad ideologie nazionalistiche ed etnocentriche, ebbero alla fine come conseguenza il disastro della Prima Guerra Mondiale e del voto a favore dei crediti di guerra.

Nell’esperienza jugoslava il decentramento economico incompleto e difettoso (e quindi incapace di consentire ai lavoratori di gestire direttamente i processi di produzione) tuttavia ha dispiegato la parte negativa dei suoi effetti : esso appunto ha prodotto una territorializzazione dell’economia dove la sovrapposizione di interessi politici locali e degli interessi economici della popolazione ha portato ogni entità territoriale a curare solo i propri interessi e bilanci ; la conseguente segmentazione del mercato ha accelerato i processi di differenziazione economica e sociale tra varie entità territoriali, anche per quel che riguarda i redditi dei lavoratori con successiva catastrofica scomposizione della già problematica unità della classe lavoratrice (di tali processi di differenziazione economica in altro contesto si è occupato Gunnar Myrdal con la teoria degli squilibri cumulativi) : si è arrivati poi a forti scompensi geoeconomici regionali con conseguente situazione conflittuale tra le Repubbliche della Federazione jugoslava, situazione prevista già da Kardelij e che si evidenzia sin dagli anni ’70, con il contenzioso sloveno sulla questione delle autostrade e con fermenti in Croazia (cresce in questi anni l’associazione culturale nazionalistica Matica Hrvatska) e tra le minoranze musulmane.   Emergono in questa fase ceti manageriali, vasti settori della burocrazia repubblicana, esponenti politici locali che sfruttano per il loro tornaconto personale e/o di gruppo  la tradizione nazionalistica preesistente che, più che essere originata da estese sacche residuali di pre-modernità (negli anni  ’70 l’urbanizzazione era stata forte, la popolazione contadina era scesa al 38,2 % del totale  e il mondo rurale aveva perso la sua  centralità, la scolarizzazione nelle medie inferiori registrò un incremento del 42 % rispetto al triennio precedente, mentre quella superiore segnò un + 31 %), trova alimento nella suddetta territorializzazione dell’economia e nel disagio sociale causato da un processo di modernizzazione vorticoso ed imposto dall’alto, senza essere cioè accompagnato da un protagonismo sociale e democratico ( le proteste studentesche di quegli anni non furono interpretate come si doveva). In questa fase la mancanza di una valorizzazione politica del processo auto-gestionario e l’assenza di pluralismo politico rende più facile incorporare l’identità nazionale nel sistema di rappresentanza politica e così il pluralismo etnico diventa il canale più accessibile per l’organizzazione e la trasmissione della domanda politica (ad es. tramite Matica Hrvatska e la sua battaglia per la purezza della lingua croata, Franjo Tudjman comincia a costruire la sua fortuna politica).

Intanto la sovrapposizione delle decisioni locali di erogazione a quelle a livello politico centrale provoca nel decennio seguente un aumento della spesa  complessiva (nel 1986 il debito interno era di 12-14 mld di $),  un forte indebitamento con l’estero (dai 6 mld di $ del 1976 ai 21 mld di $ del 1988), svalutazione monetaria e stagflazione (l’inflazione passa dal 39 % del 1981 al 168 % del 1987) : l’impoverimento sociale che ne consegue (la quota dei consumi diffusi sul prodotto sociale scende dal 53,7 % del 1978 al 48,5 % del 1985, mentre in quest’ultimo anno ciascun addetto riceve sostanzialmente il 30-40 % in meno di quanto ricevesse nel 1979)  porta alla perdita di legittimità delle istituzioni centrali federali verso le quali vengono convogliate, da parte dei  burocrati locali in ascesa, le proteste popolari.

Le premesse per la rottura di circuiti fiscali e di redistribuzione e per la successiva deflagrazione erano così poste. Ma la causa efficiente di tali eventi deve essere cercata nel contesto internazionale e nei processi che lo caratterizzano : già la nascita del Mercato Comune Europeo era ben analizzata da studiosi marxisti come un momento della internazionalizzazione del capitale e della sua concentrazione su scala sovranazionale, con l’abbattimento correlato di settori a bassa produttività sinora protetti da barriere doganali. Questo processo era fortemente collegato con il riavvio dell’economia capitalistica tedesca la quale alla fine ha vinto quella guerra che aveva perso sul terreno militare (si vedano a tal proposito le tesi di Hoshea Jaffe, e l’invettiva di Michael Lichtwark al Forum  mondiale dei comunisti tenutosi a Roma l’1-2 Luglio del 1995).

L’accelerazione vorticosa dell’unificazione delle Germanie costringe ad una speculare accelerazione anche il processo di unificazione europeo (dove andrebbe l’Europa senza la Germania ?). Si costituisce una sorta di polo di attrazione geopolitico e geoeconomico che ridisegna tutta la cartina europea, tutte le divisioni tra ed all’interno degli Stati-nazione : l’Europa dalla divisione in due blocchi si struttura secondo un modello centro/ semiperiferia / periferia.

Tale processo causato, come abbiamo detto, dall’esigenza di accumulo del capitale a livello sovranazionale, provoca una serie di destabilizzazioni geopolitiche nel nostro continente. I territori più ricchi all’interno dei singoli Stati-nazione, attratti dal polo europeo ed aspirando a correre al “centro” verso una conferma ed un rafforzamento della propria egemonia economica, si torcono le mani per il fatto di dover sopportare la zavorra costituita dalle parti meno sviluppate dei loro rispettivi paesi (un esponente della corrente nazionalista del Forum praghese, Ludvik Vakulik ad es. nel 1990 afferma che se Praga abbandonasse gli Slovacchi scaricherebbe “un grande peso economico”), ed alla fine scalpitano per liberarsi di queste zavorre per volare, liberi, verso l’Europa (naturalmente il rapporto con le rispettive periferie verrà rinegoziato da posizioni di maggior forza quando il processo si sarà in qualche modo consolidato).

Gli effetti di questi processi in tutt’Europa ? A livello sovrastrutturale e di costume vediamo la rivalutazione della lingua catalana, il neo-giuramento di Pontida, la Madonna di Medjugorie (molti cattolici croati appoggeranno poi non a caso Tudjman), la letteratura mitteleuropea, il revival dei Celti, la paura del fondamentalismo islamico (su questa forma di razzismo si vedano  gli studi di Maxime Rodinson prima e di Etienne Balibar poi) ed altre sciocchezze.

A livello invece di storia concreta, le Repubbliche baltiche nel 1991 si separano dall’Urss iniziandone il processo di disgregazione, Repubblica Ceca e Slovacchia si separano (per fortuna consensualmente) nel 1993, nasce la Lega Lombarda (poi Lega Nord) in Italia , ed in Jugoslavia Slovenia e Croazia nel 1991 si ritirano dalla federazione dando inizio a quella che Nicole Janigro ha definito “l’esplosione delle nazioni”. Attenzione a non farsi ingannare dalle cadenze politiche di questi processi : si potrebbe credere che l’innesco di essi sia causato dalla parte economicamente debole dello Stato-nazione considerato (si pensi al nazionalismo serbo ed all’istanza di separazione da parte slovacca nel caso sopracitato). Se però si studiano con attenzione le tabelle economiche, gli indicatori sociali, gli umori dell’opinione pubblica, i processi di liberalizzazione economica degli anni precedenti gli atti politici considerati, si vede chiaramente che la separazione era già in corso ( soprattutto se risultano allentati i circuiti fiscali di redistribuzione che sono l’ossatura dello Stato-nazione ) e che la revanche nazionalistica o etnica della parte debole è solo la febbre politicista e spesso militarista conseguente ad una patologia sociale in stato già avanzato e che serve alla fine solo all’individuazione di capri espiatori : il bombardamento di Belgrado è in tal senso un’amara lezione.          

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