Il terremoto in Giappone e il conseguente tsunami hanno tra le altre cose, oltre naturalmente il dramma del popolo giapponese e dei suoi migliaia di morti, riportato al centro dell’attenzione il dibattito sul nucleare.
Infatti, come è noto dalle cronache, il terremo ha danneggiato in maniera altamente pericolosa alcune centrali nucleari giapponesi, con gravi rischi per la popolazione, che potrebbero diventare ancora più gravi nei prossimi giorni. In queste ore si susseguono notizie di un molto preoccupante aumento della radioattività nella zona della Centrale di Fukushima, dopo le esplosioni del reattore 1 e del reattore 3 e i gravi problemi al reattore 2, ed un aumento progressivo del numero delle persone contaminate. Il Governo giapponese e la Tokyo Electric Power (Tepco), la società che gestisce l’impianto, continuano a dare notizie rassicuranti. Queste però non convincono, sembrano più una incapacità ad assumersi responsabilità e ad ammettere la vulnerabilità delle centrali, molti analisti infatti temono la possibile fusione del nucleo che potrebbe avvenire nelle prossime ore.
Non vogliamo certo cavalcare l’onda con facile demagogia, per alimentare in modo semplicistico l’opposizione all’energia nucleare, ma sicuramente l’evento tragico pone con forza dirompente una riflessione approfondita sull’uso di questa fonte di energia, sulla sua reintroduzione in Italia e più in generale sulla crisi energetica.
Nel 1987 si è svolto in Italia un referendum sul nucleare. I tre questi referendari furono i seguenti:
- Volete che venga abrogata la norma che consente al Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) di decidere sulla localizzazione delle centrali nel caso in cui gli enti locali non decidono entro tempi stabiliti? (la norma a cui si riferisce la domanda è quella riguardante “la procedura per la localizzazione delle centrali elettronucleari, la determinazione delle aree suscettibili di insediamento”, previste dal 13° comma dell’articolo unico legge 10/1/1983 n.8)
- Volete che venga abrogato il compenso ai comuni che ospitano centrali nucleari o a carbone? (la norma a cui si riferisce la domanda è quella riguardante “l’erogazione di contributi a favore dei comuni e delle regioni sedi di centrali alimentate con combustibili diversi dagli idrocarburi”, previsti dai commi 1,2,3,4,5,6,7,8,9,10,11,12 della citata legge)
- Volete che venga abrogata la norma che consente all’ENEL (Ente Nazionale Energia Elettrica) di partecipare ad accordi internazionali per la costruzione e la gestione di centrali nucleari all’estero? (questa norma è contenuta in una legge molto più vecchia, e precisamente la N.856 del 1973, che modificava l’articolo 1 della legge istitutiva dell’ENEL).
La vittoria dei tre “SI”, a larghissima maggioranza(l’80,6% dei SI al primo, il 79,7% al secondo, il 71,9% al terzo), interruppe di fatto la produzione di energia nucleare nel nostro paese.
Ad un risultato così schiacciante sicuramente contribuì l’onda emotiva del disastro di Cernobyl, il quale però mise tutti di fronte, con chiara evidenza, alla pericolosità, per la salute e per la vita, della produzione di energia nucleare.
Il Governo Berlusconi, con Decreto legge n° 112 del 25 giugno 2008 “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria”, e in particolare con l’articolo 7, ridà avvio alla produzione di energia nucleare in Italia.
Infatti all’articolo 7, intitolato “Strategia energetica nazionale e stipula di accordi per ridurre le emissioni di CO2” si legge:
1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, definisce la «Strategia energetica nazionale», che indica le priorità per il breve ed il lungo periodo e reca la determinazione delle misure necessarie per conseguire, anche attraverso meccanismi di mercato, i seguenti obiettivi: (…) d) realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare; (…).
A seguito di questa legge, il 24 febbraio 2010 è stato firmato l’accordo di cooperazione Italia-Francia nel campo dell’energia nucleare con il coinvolgimento di ENEL e EDF. L’intesa prevede tra l’altro la collaborazione tra le due aziende (aperta alla partecipazione di altri operatori), per la realizzazione di quattro centrali nucleari in Italia a partire dal 2020.
Vogliamo porci alcune domande.
La produzione di energia nucleare può risolvere i problemi energetici? E’ veramente conveniente sul lato economico? Si può stabilire a priori la sua sicurezza? A chi giova la produzione di energia nucleare e la costruzione delle centrali in Italia?
Vogliamo tralasciare la sciocchezza nuclearista che visto che abbiamo decine di centrali ai nostri confini, tanto vale riaverle nel nostro territorio. E’ come dire che visto che si aggira un ladro attorno a casa mia, tanto vale invitarlo ad entrare lasciandogli la cassaforte aperta.
L’energia nucleare può produrre esclusivamente energia elettrica, che attualmente in Italia è circa il 40% dell’intero fabbisogno energetico. A livello mondiale la produzione di energia nucleare copre il 17% del fabbisogno di energia elettrica, pari al 7% circa di energia complessiva. Se anche in Italia volessimo arrivare a tale percentuale, dovremmo istallare 8-10 reattori nucleari di nuova generazione, che coprirebbero appunto questa percentuali degli attuali consumi di energia elettrica. E il restante 83% di energia elettrica necessaria? E il restante 93% di energia complessiva?
Attualmente costruire una centrale nucleare EPR da 1600 Mw, è stato stimato attorno a un costo di circa 3 miliardi di euro, ma mettendo in relazione i consuntivi della costruzione delle precedenti centrali nel mondo di “vecchia generazione” con i preventivi di quelli di nuova generazione, il costo reale prevedibile non scende sotto i 4-5 miliardi di euro. Questo se viene costruita nei tempi previsti, che sono circa 5 anni, ma normalmente slittano al doppio o quasi, con un notevole aggravio di costi, come sta avvenendo ad esempio nella finlandese Olkiluoto 3, la più avanzata in costruzione e che sarà pronta, forse, nel 2012. In forte ritardo nella consegna (la fine lavori doveva avvenire nel 2009) per i tanti problemi incontrati, ha già fatto arrivare i costi a 6 miliardi di euro, a fronte di un costo preventivato di 3,2 miliardi.
Enormi sono anche i costi di gestione relativi alla sicurezza, manutenzione e smaltimento delle scorie, dismissione dell’impianto. Cifre esorbitanti, enormemente al di sopra di qualunque altra centrale elettrica, che non possono in nessun modo giustificare il potenziale risparmio energetico in esercizio, visto anche la durata di un una centrale nucleare che si aggira attorno ai 30-35 anni.
Come non lo può giustificare la relativa diminuzione di immissione di CO2 con l’utilizzo di questa fonte energetica. Infatti ad un presunto contributo alla soluzione di un problema ambientale e sociale (immissione di CO2) che si verificherebbe solo e comunque nella fase di produzione dell’energia, se ne creerebbero altri non meno importanti del primo. Basta considerare i problemi relativi allo smaltimento delle scorie radioattive, a quello della dismissione della centrale e fine attività, oltre ai problemi di carattere politico-economico relativi alla dipendenza dai paesi possessori di uranio o agli scenari internazionali che si potrebbero aprire per il controllo dei giacimenti, o quelli legati agli sviluppi bellici nucleari, visto lo stretto legame tra nucleare civile e quello militare, generati da un’accelerazione nella costruzione di armamenti di questo tipo.
A questi vanno sommati quelli dei possibili incidenti, anche se i sostenitori del nucleare ci rassicurano sulla sicurezza degli impianti di nuova generazione. In Giappone le centrali erano state progettate per sostenere terremoti di intensità 8,5 della scala Richter, con un margine quindi che sembrava tenere tutti al sicuro. Venerdì scorso è avvenuto un terremoto di 8,9. Questo non dipende a quale generazione appartengono le centrali, ma dal dato di sicurezza della progettazione. In Italia ci dicono che le centrali saranno progettate per terremoti di 7,1. Ammesso che questo avvenga veramente, chi ci assicura che non ci saranno mai terremoti di magnitudo superiore?
Questo quadro rende esattamente l’idea del perché nessuna azienda privata si addossa l’onere della costruzione di nuove centrali senza un massiccio intervento di denaro pubblico, sopratutto in fase di sforamento dei tempi di costruzione previsti, come accaduto in tutte o quasi le opere di costruzione nel passato, o del perché gli investitori privati pretendono altissimi tassi di interesse sui capitali impiegati.
Negli Stati Uniti non si costruisce più una centrale nucleare dal 1979 e in Germania dal 1989, sempre in Germania sono in funzione attualmente 17 reattori nucleari e nel 1989 ne erano 26. Anche la Francia, il maggior produttore al mondo di energia nucleare, in questi ultimi 10 anni non sta aumentando il numero di reattori, attualmente ne ha in uso 58 e per uno dismesso nel 2010 ne prevede l’allacciamento di un altro nel 2015 (attualmente in costruzione). Sempre la Francia sta destinando progressivamente meno energia nucleare al proprio fabbisogno energetico, infatti la domanda di energia elettrica interna aumenta e non viene potenziata l’energia nucleare.
ENEL ed EDF (Électricité de France) realizzeranno, e nascondono dietro di loro in vario modo Alstom, Ansaldo, Areva, Suez, Techint, in base all’accordo sopra accennato tra Italia e Francia, almeno quattro centrali di tipo EPR (European Pressurized Water Reactor) nel territorio italiano. L’EPR è un progetto franco-tedesco in sviluppo da Siemens e Framatome-ANP (gruppo Areva). La potenza di ogni reattore sarà maggiore che in quelli del passato (intorno ai 1600 MW rispetto agli 800 MW dei precedenti), con tutti i problemi che ne derivano soprattutto relativi agli impianti di raffreddamento e allo smaltimento delle scorie che saranno molto più radioattive. Infatti le scorie che si produrranno, pur essendo in minor quantità, sono molto più pericolose poiché il combustibile nucleare rimane molto più a lungo nel reattore con maggiore utilizzo e quindi una radio-tossicità molto più elevata.
Costruirebbe le centrali una società in subappalto dalla francese Areva, che collabora con EDF, specializzata nel settore dell’arricchimento dell’uranio e che sta attraversando un lungo periodo di crisi, in parte sostenuto da finanziamenti del Governo francese attraverso la EDF. Areva, per uscire dalla sua crisi, oltre a ricevere i contributi statali, spinge per aumentare la collaborazione con la TOTAL, confermando quell’intreccio ormai consolidato nel mondo che non distingue più tra multinazionali del petrolio e del nucleare.
Vista l’attuale fase di “picco” del petrolio, la “discussione” sull’energia riemerge, e potrebbero aprire nuovi scenari internazionali, anche di tipo bellico, come stiamo assistendo in Libia, alimentati dai poli imperialisti USA e dell’Unione Europea.
In Italia abbiamo assistito in questi ultimi 20 anni alla privatizzazione di tutti i settori produttivi strategici, compresi quelli energetici con in particolare la svendita ai privati di ENEL e ENI, mistificando il valore salvifico del privato. Il privato, assecondando il suo naturale fine di valorizzazione del capitale, ha solo saputo applicare il criterio di massimizzazione del profitto: servizi sempre più scadenti e tariffe crescenti, con nessuna apertura né agli investimenti in produttività interna, né alla ricerca né agli approvvigionamenti tattici e strategici. Ha delocalizzato la produzione, partecipando da protagonista alla mondializzazione del capitale e alla egemonia imperialista.
E’ la stessa ENEL che ora si dovrebbe occupare della ripartenza del nucleare in Italia. Insieme alla EDF, la maggiore azienda produttrice e distributrice di energia in Francia, uno dei più grandi produttori di elettricità al mondo, soprattutto di tipo nucleare. E’ presente anche in Italia con una partecipazione diretta del 19% in Edison e una del 50% in Transalpina di Energia Srl, la società che controlla circa il 63% di Edison. La EDF è in crisi (come da bilancio 2010, nell’anno appena concluso ha perso circa 582 milioni di dollari per i progetti di nuovi reattori), ed ha già allungato la mano al Governo USA per chiedergli una serie di aiuti: dall’acquisto dell’elettricità garantito alla possibilità di trasferire in bolletta sui consumatori i costi di costruzione di nuove centrali sul territorio nord americano. Anche in Gran Bretagna sta facendo lo stesso, ha chiesto esplicitamente, insieme alle altre aziende che dovrebbero costruire le prossime centrali su suolo britannico, un sostegno pubblico come condizione per impegnarsi nell’avventura. Il Governo di Cameron secondo le rivelazioni del Guardian, non confermate né smentite dal governo, fa capire che questo avverrà, anche se in maniera indiretta: si agirà cioè sul prezzo della CO2 che, se alto abbastanza, rende competitivo l’atomo nei confronti delle altre fonti “sporche”. L’Office of Nuclear Development (OND), dipendente dal ministero delle Attività Produttive di Lord Mandelson, avrebbe infatti assicurato agli operatori del nucleare che lo Stato si impegnerà a non fare scendere il prezzo dell’anidride carbonica sotto i 30 euro a tonnellata.
La borghesia italiana, come al solito, svolge così il suo ruolo subalterno al grande capitale europeo, in questo caso francese, mettendo in mano il proprio territorio e i propri consumatori, alle multinazionali transalpine.
Cosa succederà dunque in Italia? Ammesso, e sarà comunque tutto da vedere, che non si impiegherà inizialmente denaro pubblico per la costruzione delle centrali, chi metterà il denaro per sostener l’aumento dei costi previste dovuto al probabilissimo sforamento dei tempi di costruzione? E quali “garanzie” chiederanno (o hanno già chiesto) ENEL e EDF al Governo italiano? E quali vantaggi avrà ENEL nel mercato dei “certificati verdi” della legge Bersani? Quali saranno i danni e i rischi alla salute pubblica e all’ambiente?
A fronte di questo nessun investimento serio viene fatto nelle fonti rinnovabili, anzi si introduce sempre di più la privatizzazione e il mercato della ricerca, e i tagli agli incentivi.
Questo è il quadro che si sta aprendo in casa nostra con la ripartenza del nucleare.
Saremo presto (si spera a giugno) chiamati a votare ad un referendum, insieme a quelli contro la privatizzazione dell’acqua, per l’abrogazione dell’articolo 7 lettera d) del DL 112/2008 sul programma nucleare del Governo, visto che la Corte Costituzionale ha dichiarato l’ammissibilità. Possiamo concludere con una battuta, visti anche i recenti drammatici eventi giapponesi: i filo nuclearisti in Italia non godono comunque di molta fortuna.
* Rete dei Comunisti
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