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Diario de un combatiente

IL CHE: SIERRA E LLANO

 

Chi leggerà le pagine di questo libro, noterà che l’eroismo e la redenzione universale dell’uomo sono, nel Che, due aspetti strettamente legati all’eccezionale capacità intellettuale, al talento e alla grazie nel descrivere dettagliatamente ciò che altri uomini tralasciano, dimenticano o conservano in un luogo recondito della memoria. Però il Che, nella sua sincerità senza limiti, comparabile solo alla generosità e alla solidarietà infinita proprie degli uomini che si fanno carico della verità e della giustizia in modo radicale, metteva tutto per iscritto, per lo meno la maggior parte delle cose che nascevano dalla sua intelligenza caustica e raffinata.

Dobbiamo ringraziare l’argentino-cubano per aver vissuto la sua vita guerrigliera in modo tale che, nel futuro di cui siamo parte e nell’avvenire più lontano di coloro che vivranno il XXI secolo, sia possibile conoscere e apprezzare gli avvenimenti accaduti nelle montagne dell’Oriente durante gli anni che hanno forgiato la nuova Cuba che emergeva dalle viscere di una vecchia storia: quella delle glorie bolivariane e martiane.

Molti hanno scritto pagine sul Che analizzando la sua persona in modo parziale, e altri, quasi in forma capricciosa, occultando o semplicemente tralasciando i punti centrali del suo pensiero, offrendoci così una immagine caricaturale di un passato a cui è doveroso fare appello con intelligenza e amore. Quando non si ha né intelligenza e né amore si tralascia l’essenziale e quindi si perde il privilegio e la possibilità di esaltare la parte più nobile e trascendente di questa storia.

Ho vissuto in pieno la Rivoluzione, la stessa rivoluzione che il Che descriveva dalla trincea guerrigliera. Ho fatto miei gli impegni più intimi, contraddittori e vitali, li ho resi parte della mia vita, facendoli entrare nel profondo del mio cuore. Noi che abbiamo vissuto in questo modo, amando questa storia, abbiamo una visione della Rivoluzione che non si perde nel labirinto dei fatti, né si presta alle interpretazioni tendenziose. Vogliamo far luce sugli aspetti essenziali, rilevanti.

In questo testo, che riprende la visione del Che d’allora, è possibile ritrovare alcune polemiche tra i combattenti della Sierra e quelli del Llano[1]; proprio nel Llano ho avuto l’onore di partecipare alle attività delle trincee clandestine delle nostre città. Questo ci obbliga a trattare degli aspetti le cui radici sono immerse nel processo di gestazione della Rivoluzione Cubana, di cui il Che è stato uno dei massimi artefici. Il Che ha avuto un ruolo importantissimo insieme a Fidel e Raúl.

È un onore che il Centro Studi Che Guevara mi abbia chiesto di scrivere delle note per questi testi, poiché in molti conoscono la mia vicinanza ai fatti storici e alle valutazioni del comandante guerrigliero. È grande e complicato lo sforzo intellettuale che devo intraprendere per esporre, in modo più che adeguato e utile, ciò che è ben articolato e saldo nel mio cuore. Però non posso, né devo evitare l’impegno, poiché mi sento depositario di verità che è necessario far conoscere per comprendere meglio la grandezza del Che, l’originalità di Fidel e alcuni aspetti essenziali della Rivoluzione Cubana.

Nel mio libro Aldabonazo cito un avvenimento chiave per capire ciò che sto dicendo. Così scrivevo:

“[…] Nonostante il principio di sicurezza raccomandasse che qualunque documento compromettente non dovesse arrivare ai combattenti, noi avevamo preziosissimi documenti e foto che vennero presi dalle guardie della tirannia, traendone così vantaggio.

Tra questi c’era la bozza manoscritta di una lettera che stavo preparando per il Che. L’avevo fatta leggere a Fidel, che mi aveva consigliato di non inviarla, ma io ho commesso l’imprudenza di metterla tra quei documenti. Mi sono sempre rimproverato di averla portata con me e che questa abbia recato problemi a Fidel e Raúl.

In quei fogli avevo scritto i miei punti di vista sui pensieri del Che rispetto ad alcuni dirigenti del Llano. Il dibattito era relativo alle idee socialiste che in lui già si erano cristallizzate e che in molti di noi, quelli del Llano appunto, erano ancora in processo di formazione, non esenti da contraddizioni e dubbi.

Allo stesso tempo, non poteva non influire il fatto che, per valutare una rivoluzione nazionale di liberazione, la provenienza e le posizioni dei suoi quadri si fondavano sul pensiero socialista su scala internazionale, concetti che non si commisuravano alla realtà dei nostri paesi e della nostra storia.

L’aspetto trascendente è che grazie al genio di Fidel, la Rivoluzione Cubana, di cui il Che fu uno dei massimi artefici, era già stata messa in pratica senza tenere in conto quelle discussioni. Mentre discutevamo il processo rivoluzionario che tutti insieme portavamo avanti, le radici di queste controversie perdevano importanza.

A pochi mesi dal trionfo di gennaio, il Che, con il suo talento eccezionale, capì molto meglio di qualsiasi altro di noi, i problemi che attraversava il movimento comunista internazionale; capì il modo in cui affrontarlo e arricchirlo teoricamente con l’esperienza terzomondista e latinoamericana.

Dal 1959, tra i più grandi collaboratori del Che ci furono dei compagni che avevano grandi responsabilità nel Llano.

Queste differenze non hanno mai intaccato il rispetto che ciascuno di noi aveva per il Che; al contrario, il suo prestigio cresceva negli anni, fino a che divenne uno dei simboli più importanti della lotta rivoluzionaria nel mondo.

Ricordo che quando un funzionario del consolato statunitense a Santiago de Cuba, con cui il Movimiento 26 de Julio aveva dei rapporti, lesse i passaggi della lettera a cui facevo riferimento prima – e che venne pubblicata dall’Esercito –, si recò subito da Haydée, dicendo: ‘María, perché Jacinto ha scritto queste cose?’. Per farlo calmare, rispose: ‘Ma se attacca Stalin…’. A quel punto, lo statunitense affermò: ‘Non è questo il punto del discorso, fai attenzione…’ […]”[2].

 

Ora voglio riportare alcuni passaggi della lettera che all’epoca pubblicò l’Esercito di Batista:

 

            S. Maestra 25-dic 57

            Mio stimato Che:

            Ti scrivo questa seconda lettera dopo aver ricevuto la copia che hai inviato a Daniel e la sua risposta. Mi è dispiaciuto come non mai non essere venuto a trovarti giorni fa, credimi, abbiamo avuto molte cose da sbrigare qui e la mia presenza era indispensabile.

Sono sicuro che conversando noi due possiamo risolvere molti problemi, perfino le tue legittime preoccupazioni dottrinali nei nostri confronti.

Devo dirti che oltre ad essere stato rude, sei stato ingiusto. Cosa credi che noi siamo di destra, oppure che proveniamo dalla piccola borghesia creola o che la rappresentiamo? È ovvio che non mi sembri strano, né può farmi male poiché è in tono con la tua interpretazione del processo storico della Rivoluzione Russa. In fin dei conti, a noi non è rimasto altro che fare questa piccola rivoluzione nazionale, perché i leaders del proletariato mondiale hanno fatto diventare il formidabile evento del 1917 una Rivoluzione Nazionalista che è sfociata prima di ogni altra cosa – e in modo legittimo per i russi – in un movimento di liberazione contro il feudalesimo zarista, però noi siamo stati tagliati fuori, senza l’opportunità di far scatenare una rivoluzione universale che forse oggi arriva da percorsi insospettabili…

La fatalità è che Stalin non era francese, inglese o tedesco e quindi non ha superato i limiti di un governante russo. Se fosse nato a Parigi forse avrebbe guardato il mondo da una prospettiva più ampia.

Ti ripeto, non ne abbiamo colpa, la colpa sta nell’incapacità politica nel giudicarlo che hanno avuti i veri geni della Rivoluzione di Ottobre.

Ciò che mi rende un po’ arrabbiato è la tua incomprensione per il nostro atteggiamento di fronte ad un patto che ogni volta abbiamo dovuto rifiutare. Quando arriverò a Santiago ti manderò tutti i documenti a proposito. Voglio dirti, caro Che, che se esistono discrepanze nell’aspetto internazionale della politica rivoluzionaria, io mi trovo tra i più radicali per quanto riguarda il pensiero della politica della nostra Rivoluzione.

Abbiamo rifiutato il patto e pretendiamo che si compiano i nostri obiettivi, non lo abbiamo reso pubblico perché in quel momento avrebbe potuto generare confusione nel Popolo, ma aspettiamo che le nostre ragioni vengano accettate per discutere con Fidel la necessità di un rifiuto palese. È stata grande la soddisfazione quando abbiamo visto che Fidel ragionava pubblicamente utilizzando le nostre stesse convinzioni. Ed è stata immensa la soddisfazione quando abbiamo saputo che a Miami uno dei firmatari della lettera della Sierra, Raúl Chibás, ha detto che i nostri pensieri erano i suoi; quanta soddisfazione nel vedere che c’era una totale identificazione tra il “leader della sinistra della piccola borghesia” e la stessa piccola borghesia che tu dici che noi incarniamo.

Voglio dirti che sono molto contento di essere considerato un piccolo borghese, perché ho la coscienza pulita e so bene che questi clichés non mi toccano. […] mi sono impegnato ad organizzare gli operai, loro sono la forza determinante della nostra Rivoluzione. Se abbiamo sbagliato percorso ti prego di indicarmi quello più corretto […].

Con rispetto

Jacinto

 

Come affermo nel testo appena menzionato, molti di noi si stavano ancora formando, non senza “pregiudizi” sul socialismo. La cosa tragica è che proprio questi pregiudizi venivano confermati da fatti ufficialmente denunciati in quel periodo dalle informazioni critiche formulate dal Partito Comunista dell’URSS nel suo 20mo Congresso (1956). Comunque, quelle critiche non erano l’aspetto principale del problema; infatti in quegli anni ebbero luogo i famosi fatti dei carri armati in Ungheria.

Non dimenticherò mai che Fidel mi consigliò nella Sierra di non inviare quella lettera al comandante Guevara. Era il più unitario. Però visto che l’Esercito la pubblicò e che il Che faceva riferimento nel suo Diario a problemi di questo carattere, ho ripreso questo testo per dimostrare che, nonostante tali difficoltà, la nostra ammirazione per l’argentino – che si unì a Fidel in Messico, sbarcò dal Granma e divenne uno degli eroi più importanti della storia di Cuba – non è mai       svanita.

Oggi posso assicurare alle persone che leggono questo Diario che noi compagni ritenuti dal Che non comunisti – e in parte aveva ragione – siamo sempre stati al fianco della rivoluzione socialista e di Fidel. Alcuni di questi compagni sono morti in combattimento e sono convinto che avrebbero condiviso con me queste righe[3].

Tra questi c’è René Ramos Latour (Daniel) uno dei più fedeli e leali dirigenti del Llano. Per questo emoziona la descrizione che il Che fa in queste memorie, a proposito della sua morte in combattimento il 30 luglio del 1958:

 

“[…] Profonde divergenze ideologiche mi separavano da René Ramos, eravamo nemici politici, però è morto compiendo il suo dovere in prima linea e chi muore così è perché sente un impulso interiore che io non negherò mai e che ora voglio rettificare […][4]”.

 

            Questo impulso interiore ha reso grandi il Che e Daniel. Uomini così sono uniti dalla storia al di là delle differenze congiunturali della politica.

           A Cuba – anche tra chi come noi si muoveva all’interno di queste discussioni –, abbracciamo le idee socialiste e amiamo il Che come una delle più grandi glorie dell’umanità del XX secolo. Queste analisi sono necessarie per collocare nella sua vera dimensione l’originalità dell’opera di Fidel e il fatto che le differenze di opinioni tra rivoluzionari, quelli della Sierra e quelli del Llano, non hanno danneggiato l’unità indistruttibile della prima rivoluzione socialista d’America. È un esempio che speriamo serva come insegnamento.

C’è un altro aspetto molto più importante che ha accelerato il processo di radicalizzazione della generazione del secolo: l’imperialismo. Dal 1931 al dicembre del 1959 l’imperialismo aveva a Cuba il suo “uomo forte”, Batista; lo ha protetto nonostante i gravi crimini nelle strade, nelle carceri e nei campi di Cuba degli anni ‘50. Era la sua garanzia per difendere gli interessi statunitensi. Ha appoggiato con tutta la sua forza il tiranno del 10 marzo, il quale agiva in modo criminale e illegale contro il nostro popolo.

Il Che allora non conosceva da vicino il nostro paese, né era logico che avesse una visione immediata della sua storia, così come la ebbe pochi mesi dopo. Il Che stava cominciando a conoscere Cuba e noi il pensiero socialista, a cui siamo arrivati grazie alla cultura, al senso di giustizia ereditato dai nostri genitori e dai nostri antenati.

Quando è stato pubblicato il Diario del Che mi sono sentito in dovere – con la serenità che donano gli anni e in omaggio ai guerriglieri cubani – di segnalare che queste non sono state le uniche discrepanze tra i combattenti della Sierra e quelli del Llano.

Tali differenze bisogna analizzarle nel contesto di un movimento di trasformazione e aggiustamenti pratici che si riflettono nella visione dei rivoluzionari alla ricerca di un cammino certo verso la lotta contro il nemico. Nella Sierra, la visione dei guerriglieri si è sviluppata in un modo che ha portato alla vittoria. Nelle città, noi, i quadri e i combattenti, abbiamo dato vita ad una lotta che ci ha condotto al risultato dello sciopero del 9 aprile[5].

Indipendentemente dall’enfasi che ciascuna delle condizioni citate dava all’azione – attraverso la quale avverrà la vittoria – era chiaro a tutti che erano l’insurrezione armata delle masse, lo sciopero generale rivoluzionario, il programma del Movimiento 26 de Julio e la leadership indiscutibile di Fidel i fondamenti della Rivoluzione.

Noi, popolazioni dell’America, di fronte all’impossibilità della politica di ottenere un obiettivo immediato, abbiamo sviluppato la coscienza storica insieme all’importanza esemplare della lotta e della morte – se fosse stato necessario – in difesa di quell’ideale. Noi – e in modo sublime il Che – sappiamo il valore storico del sacrificio nella lotta per una aspirazione politica e sociale.

Ernesto Che Guevara ha ricevuto e arricchito questa eredità spirituale e ha deciso di forgiare il suo carattere per assumere, con i fatti e con la consacrazione della sua vita, l’impegno irrinunciabile di difendere con il suo enorme talento, valore e virtù il diritto dei poveri d’America e l’aspirazione bolivariana e martiana dell’integrazione morale delle patrie latinoamericane.

Nel profondità spirituale della psicologia del patriota argentino-cubano e latinoamericano c’erano, in un modo o nell’altro, le stesse radici etiche e culturali del pensiero di Martí. E queste basi comuni – che il Che da bambino e adolescente non ha potuto conoscere nella sua espressione martiana – lo spingevano verso l’umanesimo dei poveri. Ha lavorato come medico nei lebbrosari di Nuestra América ed è entrato in contatto con le persone più indigenti in ogni angolo del nostro continente.

Questi sentimenti latinoamericani e universali, espressi in una cultura rivolta ai poveri, hanno unito Fidel e il Che. Se fosse stata semplice ribellione, questa alleanza sarebbe stata transitoria. È stata la ribellione colta che ha reso solida questa unione. I rapporti tra il Che e la patria di Martí si sono forgiati indissolubilmente grazie alla ricchezza spirituale e morale, figlia di Nuestra América, che era presente nei sentimenti di Guevara. Fidel e il Che condividono la stessa cultura; e questa condivisione collega la passione per la giustizia e per la libertà umana ad un sapere profondo che racchiude uno spirito nobile.

Da quei tempi lontani in cui Antonio Ñico López (195) mi parlò di un medico argentino che aveva conosciuto in Guatemala e che voleva presentare a Fidel, amo e ammiro il Che, e neanche per un secondo, nonostante quelle discussioni, ho smesso di sentire questa devozione per lui. Diversa, invece, è la storia di altri rivoluzionari che, di fronte a problemi simili a questi, hanno dato vita a dissensi dalle conseguenze fatali. Il fatto è che noi cubani possiamo contare su una rivoluzione diretta da Fidel che aveva fatto sua la tradizione democratica propria di Martí, una tradizione profonda, radicale e dai valori universali.

 

Dr. Armando Hart Dávalos        

* la Traduzione è di Violetta Nobili che ringraziamo        

    



[1] Per combattenti del Llano si intendono i rivoluzionari cubani che lottavano contro il regime di Batista nelle città [N.d.T.].

[2] Armando Hart Dávalos: Aldabonazo, Editorial Letras Cubanas, La Habana, 1997,

pp. 151-153.

[3] Con l’eccezione di Carlos Franqui che in quell’epoca era marxista.

[4] Ernesto Che Guevara: Diario de un combatiente, p. 196.

[5] Lo Sciopero Generale Rivoluzionario del 9 aprile 1958 era stato pensato per sostenere in modo decisivo la guerriglia nella Sierra Maestra. Le azioni preparatorie per lo sciopero furono organizzate da un gruppo di combattenti del Movimiento 26 de Julio; molti di loro erano giovani operai e umili lavoratori. Lo sciopero ha portato alla creazione di altre colonne guerrigliere come quella di Pepito Rey. Il regime di Batista però mise in moto una brutale repressione che causò la morte di centinaia di combattenti [N.d.T.].

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