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In guerra contro i poveri

Siamo in guerra da decenni ormai: non solo in Afghanistan o in Iraq ma qui, a casa. È una guerra contro i poveri, ma se non ve ne siete accorti non stupitevi. I giornali e i tg della sera qui non riferiscono spesso il bilancio dei caduti di questo conflitto. Per quanto devastante, la guerra contro i poveri è passata inosservata – finora.
Il movimento Occupy Wall Street (OWS) ha posto al centro della politica la concentrazione di ricchezza al vertice della società. Ora promette di fare altrettanto con la povertà in America.
Rendendo Wall Street un bersaglio simbolico, e definendosi un movimento del 99% della società, OWS ha puntato l’attenzione pubblica sulle diseguaglianze estreme, che ha presentato come un problema fondamentalmente morale. Fino a poco fa, per «morale» nella politica s’intendeva la liceità delle preferenze sessuali o i comportamenti personali del presidente. La politica economica, tra cui i tagli fiscali per i ricchi, le sovvenzioni e protezioni statali per le assicurazioni e le aziende farmaceutiche, la deregulation finanziaria, erano avvolte da una nuvola di propaganda o considerate troppo complesse per gli americani comuni.
Ora, d’incanto, la nebbia si è dissipata e la questione della moralità del capitalismo finanziario contemporaneo è divenuta centrale. I dimostranti sono riusciti in questo grazie soprattutto al potere simbolico delle loro azioni, scegliendo come nemico Wall Street, cuore del capitalismo finanziario, e accogliendo gli homeless e gli esclusi nelle loro occupazioni. Lo slogan «noi siamo il 99%» ha ribadito il messaggio che quasi tutti stiamo soffrendo delle smodate speculazioni di pochissimi profittatori (e non è lontano dalla realtà: l’aumento del reddito dell’1% più ricco negli Usa negli ultimi trent’anni è quasi pari alla perdita di reddito dell’80% più povero).
Soglie da fame
Alcuni fatti: all’inizio del 2011, il Us Bureau of Census (l’Istat americano) ha riferito che il 14,3% della popolazione Usa – cioè 47 milioni di persone (un americano su 6) – vive sotto la soglia ufficiale di povertà, fissata a 22.400 dollari annui per una famiglia di 4 persone. Circa 19 milioni vivono in «estrema povertà», cioè il loro reddito familiare è meno della metà della soglia di povertà. Oltre un terzo degli estremamente poveri sono bambini. Anzi: oltre la metà dei bambini sotto i 6 anni con una madre single sono poveri. Estrapolando da questi dati, Emily Monea e Isabel Sawhill della Brookings Istitution stimano che nel nostro futuro americano c’è un ulteriore, drastico aumento dei tassi di povertà e di povertà infantile.
Alcuni esperti contestano queste cifre dicendo che non tengono conto dell’assistenza che i poveri ricevono, soprattutto attraverso il programma di coupon alimentari (food stamps), né nelle variazioni regionali del costo della vita. In effetti è vero che le statistiche ufficiali non dicono le cose come stanno: i poveri se la passano molto peggio. La soglia di povertà ufficiale fu introdotta nel 1959 come il triplo del fabbisogno minimo per nutrire una famiglia, e poi è stata aggiornata sul tasso d’inflazione dei generi alimentari. Perciò non tiene conto del costo di casa, carburante, trasporti, assistenza medica – tutte voci rincarate molto più degli alimentari di base. Insomma, la misura della povertà è grossolanamente sottostimata.
Inoltre, dati del 2006, il pagamento degli interessi sul debito dei consumatori ha già spinto sotto quella soglia oltre 4 milioni di persone non ufficialmente povere, facendone dei «poveri indebitati».
Né si può dire che questo livello catastrofico di povertà sia la temporanea conseguenza dell’aumento dei tassi di disoccupazione o del calo delle retribuzioni seguiti al crollo del 2008: la povertà era in ascesa ben prima che la grande recessione colpisse. Per la prima volta durante un periodo di crescita economica, tra il 2001 e il 2007 la povertà ufficiale è aumentata dal 11,7% (2001) al 12,5% (2007). Nel 2007 il tasso di povertà per le madri single era del 49% più alto negli Stati uniti che in 15 altri paesi ricchi. L’occupazione e il reddito dei neri erano in calo prima della recessione.
In parte è l’inevitabile conseguenza di decenni di campagna padronale per ridurre il costo del lavoro indebolendo i sindacati, e modificando le politiche pubbliche che proteggevano i lavoratori. Il risultato è che le decisioni del National Labor Board sono divenute molto meno favorevoli per i lavoratori e per i sindacati, le norme di tutela del lavoro non sono state fatte rispettare, e il salario minimo è rimasto molto indietro rispetto all’inflazione. È inevitabile: la campagna per ridurre la parte di reddito nazionale spettante al lavoro ha significato che un numero crescente di americani non riesce a guadagnare neppure un reddito da soglia di povertà.
La retorica del nero inetto e miserabile
I poveri, e i programmi sociali a loro favore, sono stati oggetto di un violento attacco cominciato già negli anni ’60, quando il movimento dei neri per i diritti civili era al culmine. La corsa presidenziale di Richard Nixon nel 1968 prese in pieno questo tema. La sua trionfante campagna elettorale fece leva sulle crescenti animosità razziali, non solo dei bianchi del sud ma anche della classe operaia bianca del nord che d’improvviso si era trovata in competizione per il lavoro, i servizi pubblici e la casa – o sulla scuola desegregata – con un nuovo strato di afroamericani urbanizzati. La questione razziale è presto diventata l’obiettivo reale dell’attacco ai poveri e ai programmi di assistenza: nella politica americana i termini «povertà», e poi «welfare», «madri non sposate» e «criminalità» sono diventati parole in codice per dire «neri».
In questo processo i risorti repubblicani hanno cercato di sconfiggere i democratici nelle urne elettorali associandoli ai neri e alle politiche intese ad alleviare la povertà. Uno dei risultati è stata la famigerata «guerra alla droga», che ha ampiamente ignorato i grandi trafficanti per prendersela con i piccoli spacciatori e consumatori delle inner cities, i quartieri più emarginati. Con questa è arrivato un programma di costruzione di prigioni e la popolazione carceraria si è gonfiata; poi è arrivata la «riforma» del principale programma di sovvenzioni sociali in denaro, l’Aiuto alle famiglie di bambini dipendenti. Ed era solo l’inizio.
Non è stata solo una guerra contro i poveri, ma vera e propria «guerra di classe» – espressione con cui i repubblicani ora etichettano ogni azione che non gradiscono. Che fosse guerra di classe è presto diventato evidente, con la massiccia redistribuzione del peso fiscale, la cannibalizzazione dei servizi pubblici attraverso le privatizzazioni, il taglio dei salari e l’indebolimento dei sindacati, e la deregulation di affari, banche, istituzioni finanziarie.
I poveri, e i neri, sono stati l’eterno espediente retorico, una distrazione propagandistica usata per vincere elezioni. E la retorica è importante. Una serie di nuovi think thanks, organizzazioni politiche e lobbisti a Washington hanno promosso il messaggio secondo cui i problemi del paese erano causati dai poveri, la cui inettitudine, inclinazione criminale e promiscuità sessuale erano alimentate da un sistema di welfare troppo generoso. I dolorosi effetti si sono fatti sentire presto con l’erosione dei programmi di assistenza. Farciti di propaganda, i tagli stessi hanno minato le reti sociali che proteggevano sia i poveri sia i lavoratori, soprattutto i salari più bassi che poi significa donne e minoranze. Quando Ronald Reagan entrò nell’Ufficio ovale nel 1980 la strada era ormai aperta ai tagli massicci nei programmi sociali rivolti ai poveri, e negli anni ’90 ormai i democratici, che cercavano nel grande business i finanziatori delle loro campagne elettorali per tornare al potere, hanno ripreso la bandiera. È stato Bill Clinton, dopotutto, a usare lo slogan «basta con il welfare come lo conosciamo».
La guerra contro i poveri a livello federale è stata presto seguita nei singoli stati con massicci tagli al welfare e con campagne di «legge e ordine» che hanno portato alla massiccia incarcerazione dei neri maschi.
Antiassistenzialismo: arma letale
La Grande recessione di questi anni ha peggiorato tutti questi trend. L’Economic Policy Institute riferisce che la famiglia media di lavoratori, che aveva già visto il proprio reddito calare di 2.300 dollari tra il 2000 e il 2006, ha perso altri 2.700 dollari tra il 2007 e il 2009. Quando la «ripresa» è arrivata, benché incerta, è stata soprattutto nei settori a basso salario, che contano per quasi metà della crescita registrata. Le manifatture hanno continuato a contrarsi, mentre il mercato del lavoro ha perso il 6,1% dei posti di lavoro fissi. Nuovi investimenti, quando ci sono stati, sono stati più in macchinari che in lavoratori, così che il livello della disoccupazione rimane alto. In altre parole, la recessione ha accelerato il trend di mercato verso salari bassi e occupazione sempre più precaria; e ha portato ulteriori tagli nei programmi di welfare. Poiché ottenere i sussidi in denaro è così difficile, grazie alle cosiddette riforme del welfare, e i programmi di sostegno collaterali sono stati azzoppati, il programma federale di food stamps, i tagliandi alimentari, è diventato il principale strumento di assistenza ai poveri. Rinominato «programma di assistenza nutrizionale supplementare», è stato rafforzato dai fondi della Recovery Act (la legge sullo stimolo all’economia varata nel 2008, ndt) e per qualche tempo sono aumentati sia il sussidio, sia i percipienti. Ma il congresso ha ripetutamente cercato di tagliare il finanziamento del programma, e di deviarne parte verso le sovvenzioni per gli agricoltori – c’è stato anche il tentativo, per ora fallito, di negare i tagliandi alimentari alle famiglie in cui c’è un lavoratore in sciopero.
La destra giustifica le sue politiche draconiane verso i poveri con argomenti morali. I think thanks e i blog della destra ad esempio discutono i dannosi effetti sui bambini disabili poveri del diventare «dipendenti» dall’assistenza governativa; osservano l’assistenza nutrizionale alle donne incinte e ai bambini, spiegando che non può avere effetti positivi. L’ignoranza e la crudeltà di tutto questo lascia senza fiato – e ormai boccheggiamo da decenni. Per questo avevamo disperatamente bisogno di un movimento per un nuovo tipo di economia morale. Occupy Wall Street, che ha già cambiato il tono del dibattito nazionale, può esserne l’inizio.
* Frances Fox Piven insegna nella Graduate school della City University of New York. È l’autrice, insieme a Richard Cliward, di «Regulating the poor» e di «Who’s Afraid of Frances Fox Piven? The essential writings of the professor Glenn Beck lovel to hate» (The New Press).

da “il manifesto”

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