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Un anno dopo le rivolte arabe

Pubblichiamo questo contributo di Hishama Bustani con l’intento dare continuità al lavoro di riflessione e approfondimento sulla “questione araba”, in riferimento alle rivolte che, a partire dalla Tunisia, hanno investito molti Paesi del mondo arabo. Un punto di vista diretto che si fa osservatorio utile sul campo, restituendo tratti e dimensioni dell’attuale presente che, in una lettura antimperialista che lega passaggio dopo passaggio il particolare al complessivo, attraversa natura, caratteristiche, composizioni delle rivolte nella dialettica con la crescita e lo sviluppo di una borghesia islamica interna al quadro di competizione imperialista.

Dopo quasi un anno di rivolte arabe che inizialmente sono esplose in Tunisia e si sono poi estese a macchia d’olio in molte regioni del mondo arabo, è diventato molto chiaro che l’esplosione che ha portato un enorme numero di persone nelle strade, con la conseguente destituzione di tre despoti, è spontanea. Ciò non significa che l’esplosione non avesse presupposti. Al contrario, il popolo era schiacciato sempre più fortemente ogni giorno che passava, ma quelle rivolte hanno chiaramente dimostrato che, anche in assenza di una formazione organizzata catalizzante (partito rivoluzionario, classe rivoluzionaria), un’esplosione ha realmente luogo quando è raggiunta una certa soglia, una massa critica.

Mentre le rivolte in Europa orientale e negli Stati dell’ex blocco sovietico sono avvenute per opera di gruppi e partiti organizzati di opposizione (come Solidarnosc in Polonia) e dopo decenni di calma segreta grazie al lavoro di erosione, infiltrazione e propaganda intraprese dall’Occidente (USA e in Europa ), la rivolta araba non è stata guidata da un’opposizione organizzata ed è sopraggiunta come una sorpresa per i circoli imperialisti che storicamente hanno sostenuto i loro protetti regimi oppressori (1,2).

Le massicce rivolte spontanee della gente nel mondo arabo evidenziano tre punti principali:

Il fallimento dello “Stato” arabo post-coloniale

Dopo il colonialismo anglo-franco-italiano nella regione araba, gli europei hanno lasciato un’area che hanno volutamente diviso in “Stati” progettati in modo da non avere alcuna possibilità di diventare indipendenti e sovrani. Hanno anche lasciato un cane da guardia e una soluzione facile per placare la loro coscienza anti-semita: i colonizzatori hanno lasciato “Israele”, uno stato coloniale di coloni che avrebbe dovuto mantenere successivamente le cose come al momento del ritiro fisico dei suoi padroni.

A causa della natura della classe dirigente che ha seguito il colonialismo, della progettazione e della loro innata natura, gli Stati post-coloniali erano soggetti ad essere divisi e incompleti. È stato frantumato il collettivo omogeneo [homogonous nel testo originale] di popoli che comprendeva molte religioni, sette ed etnie. Il colonialismo ha alimentato i conflitti interni e i successivi regimi arabi hanno mantenuto tale tradizione, e sono rimasti in stretta alleanza con gli ex colonizzatori. Parlare di alleanze qui è un’esagerazione. Una struttura subordinata non è in grado di costruire alleanze. È solo subordinata.

Così, lo “Stato” post-coloniale arabo era tutto tranne che uno Stato. Concetti come “stato di diritto” o “istituzioni di governo” o “diritti di cittadinanza” non si applicano. I paesi si sono sviluppati con una mentalità da gangster. Non ci sono state “tradizioni” o insiemi di regole chiare che si applichino a tutti. A differenza del modello di democrazia borghese in cui regole, leggi e tradizioni mantengono e preservano il sistema capitalista e si applicano a tutti i suoi componenti, questa forma non era presente nello “Stato” arabo post-coloniale. La classe dirigente si è sentita libera di emanare, revocare o non applicare le leggi, di non progettare o modificare le costituzioni, di organizzare elezioni fraudolente, malversazioni, torture, massacri, abolire i diritti fondamentali, indulgere nella corruzione palese, fabbricare identità e trasmettere la presidenza di padre in figlio.

L’esempio più vicino del moderno stato arabo post-coloniale è il Libero Stato del Congo (1885-1908), proprietà privata del re belga Leopoldo II, con tutte le sue persone, risorse, territorio e 2,3 milioni di chilometri quadrati (3). Lo stato arabo post-coloniale non è altro che una feudalità espansa, con la testa che risponde alle potenze imperialiste che pagano una certa quantità di “aiuti esteri” e finanziano ed addestrano eserciti e polizie, tutto per tenere la gente oltre il punto di esplosione attraverso una combinazione di paura e soddisfacimento dei bisogni di base che vengono dipinti come concessioni e conquiste da parte dei governanti. Le stesse potenze imperialiste che hanno pagato le loro tangenti in “aiuto”, hanno lavorato aspramente con gli schemi di ristrutturazione economica del FMI e con i prestiti della Banca Mondiale a smantellare ogni possibile crescita interna indipendente e hanno lavorato duramente per privatizzare il settore pubblico.

I regimi arabi che regnano su uno spazio ulteriormente suddiviso, distrutto economicamente e politicamente, hanno tratto la loro autorità dal mandato esterno e dal terrore interno e si sono trasformati in sbarramento, un garante per tutti i segmenti divisi e sono riusciti ad assorbire quasi tutte le forme di opposizione nella loro struttura e hanno prodotto istituzioni di governo senz’anima (parlamenti irregolari, la magistratura fuori norma… ecc), dando così loro stessi a tale sistema una durata di vita molto più lunga di quanto ci si aspetti.

Il fallimento dell’opposizione araba “organizzata”

Proprio come i centri imperialisti e i regimi arabi non sono riusciti a prevedere il tempo di insorgenza e l’ampiezza dei moti arabi, così hanno fatto le organizzazioni di opposizione. Queste ultime non ne facevano parte. Né si sono adoperate per essi. Né vi hanno aggiunto alcun valore dopo la loro comparsa.

Con poche eccezioni (come il movimento Kifaya in Egitto, il Partito Islamico al-Nahda e il Partito Comunista dei Lavoratori in Tunisia ed alcuni intellettuali in Siria), l’opposizione organizzata araba (partiti politici, sindacati e altre organizzazioni) non hanno mai contestato il regime Arabo e il suo sistema. Nei fatti è successo il contrario. L’opposizione ha cercato regolarmente il riconoscimento e la legittimità da parte dei regimi arabi. L’opposizione voleva essere “legale” e ha seguito le “regole” fissate dai regimi e accettato il loro regno.

In questo modo, l’opposizione araba organizzata è diventata in realtà un fattore di stabilità per i regimi arabi, accrescendone la longevità. La situazione ha iniziato a muoversi solo quando la gente ha preso le cose nelle proprie mani e opinioni, respingendo la legittimità dei regimi arabi e ha agito autonomamente, estranea a tale opposizione, attraverso le forme più creative.

Una rapida analisi di come l’opposizione organizzata abbia agito seguendo le rivolte può fornire un indizio di come essa fosse durante le rivolte e nel periodo culminante che le ha generate. Fratellanza Musulmana in Egitto non ha mai contestato il regime di Mubarak. Al contrario, essa ha periodicamente inviato segnali confortanti che gradivano la prosecuzione del suo regime (4). Fratellanza Musulmana in Egitto non ha partecipato nei primi giorni della rivolta, e dopo la rivolta, ha sostenuto il Consiglio Militare (5) e la sua repressione delle manifestazioni di gennaio 2012 (6,7). Molte delle cosiddette organizzazioni nazionaliste e di sinistra in Giordania, Palestina e Libano stanno attualmente sostenendo il regime di Bashar al-Asad e il suo massacro in Siria.

L’opposizione organizzata che ha spesso so-gnato un momento in cui il popolo si sarebbe sollevato contro i suoi oppressori e ha giustamente identificato i regimi arabi come strumenti di intervento imperialista e i principali ostacoli a qualsiasi progetto di liberazione, ora si allea con i regimi contro il popolo. Lo fa perché è vuota. Nel corso degli anni non è riuscita ad avanzare qualsivoglia alternativa, né in teoria né in pratica. È vuota e teme un futuro fuori dalla sua capacità di controllo, comprensione e contribuito. Come “Israele”, “conosce” gli attuali regimi (8), ciò che accadrà in seguito è qualcosa che non conosce e non ha la capacità di influenzarlo, quindi – proprio come “Israele” – sono propensi ad andargli contro.

L’unità degli oppressi nel mondo arabo

Il Pan-arabismo ha spesso sognato una patria araba unificata, ma oltre i colpi di stato militari che alla fine trasformano in regimi locali oppressivi, non ha mai posseduto gli strumenti per realizzare quel sogno. Alcuni marxisti arabi indipendenti hanno scritto e lavorato per una sorta di “unione degli oppressi.” I popoli del mondo arabo sono diversi e sono stati smembrati da diversi fattori, insieme alle divisioni di setta, religiose ed etniche. È stato solo quando gli oppressi si sono resi conto di essere uniti dalla loro condizione miserabile (l’essere oppressi) che le persone hanno cominciato a mobilitarsi in massa e a raggiungere i loro obiettivi comuni. Questo è stato più di quanto sia realmente accaduto.

La mobilitazione in Tunisia, Egitto e Yemen ha concretizzato tale esigenza, quindi è stato un successo parziale. Al contrario, la mobilitazione in Giordania è stata compiuta lungo lo spartiacque patogeno locale (quelli di origine palestinese contro quelli di origine giordano-orientale), così era destinata al fallimento e poteva essere percepita come un movimento interno al regime, piuttosto che esterno (9,10).

Un’altra lezione chiave qui si è riscontrata col contagio immediato dei fenomeni di tumulto in tutto il mondo arabo. Quanto iniziato in Tunisia ha fatto la eco, con diversi livelli di volume dal Marocco a ovest fino al Bahrain a est. C’è una integrazione materiale degli interessi del popolo, per esempio: c’è una continuità che si nota nelle manifestazioni quasi automatiche che spazzano il mondo arabo contro “Israele”, quando attacca i palestinesi regolarmente e sanguinosamente. Ciò è stato ulteriormente sottolineato dalla stessa continuità nell’affrontare i regimi arabi. I popoli del mondo arabo hanno trovato la profondità, il sostegno e il potere gli uni negli altri e tendono ad ispirarsi a vicenda, ed essi pensano ancora che la loro causa sia una sola. Non c’è da stupirsi, quindi, che le potenze coloniali e i regimi arabi dipendenti a loro succeduti, lottino duramente per mantenere la divisione isolazionista degli Stati post-coloniali.

La natura di classe delle rivolte arabe

Come accennato in precedenza, lo “stato” arabo post-coloniale è generalmente un’area di disastro politico ed economico in cui vi è una produzione scarsa o nulla e poche fabbriche. Il tessuto sociale è stato deformato da divisioni imposte e/o decantate e dalla disgregazione. Pertanto, non vi è stata vera formazione di classe nelle moderne società arabe che hanno trasformato collaborativi gruppi autosufficienti – economicamente basati sull’agricoltura e pascolo nelle zone rurali; razzie e pascolo in zone desertiche; commercio, artigianato e un po’ di produzione (tessile, sapone, ecc) nelle città, in cui ogni gruppo sociale ha tradizioni proprie e regole applicate a tutti i membri – in inadeguate formazioni sociali consumistiche. Queste formazioni vivono nella periferia di un settore di servizi globalizzati e sono dominate da un gruppo che ha distrutto le economie locali in cambio di un modello basato sugli aiuti stranieri, multinazionale-dipendente, mercificato, basato su un modello di servizi, dove la classe dominante è la rappresentante di imprese globali: una formazione compradora con interessi contrapposti all’industrializzazione e alla produzione locali.

È difficile identificare una divisione di classe sulla base di interessi o contraddizioni. Ciò che troviamo è una ben definita classe dirigente in genere composta da capo di stato, aiuti e parenti stretti, uomini d’affari che rappresentano società straniere, oltre ai funzionari di alta sicurezza (di solito tutte intrecciate nella stessa radice di corruzione); una classe media genericamente definita composta da professionisti e lavoratori del settore dei servizi; e uno strato impoverito composto da lavoratori giornalieri, artigiani, lavoratori non qualificati e dai disoccupati, fortemente influenzati da reverenze tribali, religiose, etniche e confessionali.

La privatizzazione del settore pubblico e l’apertura del mercato agli investitori esteri hanno ulteriormente soffocato la piccola produzione locale che è stata abbandonata. Non avendo, con lo “stato”, altro con cui vivere oltre ad una tassazione sempre crescente delle materie prime, servizi e reddito, sempre più componenti della classe media sono precipitati nella povertà in diversi paesi arabi.

Il rimedio principale di questa situazione è stato l’immissione nelle sacche di impoverimento e possibile protesta di piccole quantità di agevolazioni e soldi appena sufficienti per mantenerle al di sotto della soglia di esplosione. Ciò è stato fatto distribuendo un po’ dei soldi del petrolio (in paesi produttori di petrolio) o una parte degli aiuti monetari esteri e delle agevolazioni (attraverso “progetti”). Questo meccanismo si è dimostrato efficace per un lungo periodo di tempo ed è riuscito a neutralizzare la protesta popolare, fino a quando è successo qualcosa: il crollo dell’economia mondiale e il crollo dell’economia neoliberista.

Se un unico catalizzatore diretto delle rivolte arabe è esistito, esso è stato a mio avviso il crollo globale dei mercati monetari e le conseguenti onde d’urto in tutto il mondo.

Nel mondo arabo, dove la popolazione è composta principalmente da giovani istruiti, le onde d’urto hanno via via spinto per le strade sempre più giovani, come disoccupati, nuovi poveri [lett.: impoveriti] e disperati. In aggiunta a questo, la privazione dei diritti politici (e quindi la privazione del futuro), la terribile umiliazione della dignità, abbinata a mezzi di comunicazione relativamente liberi e senza censure, erano gli ingredienti completi di una sommossa, che ha ben presto raggiunto una massa critica.

In Tunisia, Mohammad Bu-Azizi, la figura iconica che ha avviato la reazione a catena, aveva tutti gli elementi sopra menzionati: era un giovane impoverito, abbastanza istruito (scuola superiore e account su Facebook), insultato da un poliziotto che voleva confiscare il suo carretto senza licenza da cui vendeva verdura, poiché era disoccupato e non aveva trovato altro lavoro. La sua auto-immolazione ha fatto divampare l’erba secca della Tunisia e del mondo arabo. I poveri, disperati giovani appartenenti alla classe media egiziana sono stati i promotori della rivolta del 25 gennaio, mentre sono state le zone rurali povere che hanno avviato la rivolta in Siria.

Rivolta o rivoluzione?

Se volessimo esaminare rapidamente i modelli della rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione russa del 1917, troveremmo tre caratteristici pilastri su cui si basano.

Primo: le rivoluzioni portano a compimento un cambiamento economico/sociale completo e muovono la società da un’epoca all’altra (da feudale a borghese in Francia, da feudale a socialista in Russia).

Secondo: le rivoluzioni sono precedute da ragionamenti teorici e filosofici generati da filosofi d’avanguardia e pensatori che riflettono gli interessi della classe o del gruppo in ascesa. Quei discorsi prospettano visioni futuristiche, soluzioni, percezioni, previsioni, strutture, valori e così via. Le rivoluzioni sono, più tardi, basate su di essi, o sul tentativo di realizzarli (le visioni di Rousseau, Montesquieu, Voltaire e altri in Francia, le visioni di Marx, Engels, Lenin in Russia).

Terzo: c’è una classe rivoluzionaria o un gruppo (o partito) rivoluzionario che si occupa di raggiungere gli interessi di classe, o di realizzare un discorso ideologico/filosofico che richieda un’esistenza materiale socialmente espressa da interessi di classe.

Così, abbiamo interessi di classe non realizzati che producono un discorso filosofi-co/ideologico che eleva la classe al compimento di un cambiamento rivoluzionario.

Oppure, abbiamo interessi di classe non realizzati che producono un discorso filosofico/ideologico che produce un gruppo/ partito rivoluzionario che porta o spinge la classe verso il cambiamento rivoluzionario.

Queste caratteristiche non si intravedono nelle rivolte arabe. Forse il futuro potrebbe dimostrare che ho sbagliato sul primo punto, ma il secondo e il terzo punto di certo non si applicano.

Inoltre: una rivoluzione è alimentata da interessi di classe o dall’ideologia di un partito rivoluzionario; una rivolta è alimentata dalla rabbia e dalla frustrazione. Una rivoluzione avanza un ampio programma sociale/ economico/politico per il cambiamento, prestabilito e basato su enunciati filosofici/ideologici; una rivolta non ha un simile programma e non ha enunciati filosofici/ideologici. Una rivoluzione ha una classe dirigente o un partito dirigente, una rivolta non ha una leadership ben definita.

Da tutto ciò, possiamo ravvisare chiaramente che quanto stiamo vivendo nel mondo arabo è una serie di rivolte generalizzate. Esse possono maturare ed evolvere in rivoluzioni, possono regredire e possono sperimentare battute d’arresto, ma non dobbiamo avere aspettative eccessive. Il passo in avanti primario (ed è un enorme passo in avanti) è stato fatto: i popoli del mondo arabo sono insorti contro i propri regimi corrotti e subordinati. La loro ribellione è stata scritta nel sangue. Non si può più tornare indietro. Questa rivolta è incisa in profondità nella coscienza generale dei popoli ed essi non chineranno più la testa ai futuri oppressori, chiunque essi siano.

Il punto debole della rivolta araba e l’ascesa degli islamisti

Poiché le rivolte arabe non sono di classe, non hanno spina dorsale filosofico/ideologica e non hanno un’organizzazione rivoluzionaria/partito leader che guidino il movimento verso uno specifico, definito cambiamento sociale/economico/politico, si è predisposto il terreno per la crescita delle correnti opportuniste istituzionalizzate come i Fratellanza Musulmana ed altre fazioni islamiste.

Storicamente, l’Islam politico è stato un alleato molto vicino ai regimi arabi, soprattutto negli anni 1950 e 1960 quando veniva utilizzato come strumento per affrontare l’espansione delle correnti nazionaliste e di sinistra. In Giordania, ad esempio, gli islamisti erano autorizzati a restare legalmente attivi durante il periodo delle leggi marziali (1957-1989), mentre tutti gli altri partiti erano interdetti. Avevano il permesso di creare istituzioni, associazioni, banche, ospedali, scuole, università e un’enorme rete di organizzazioni di sostegno sociale, oltre alla loro leadership nelle preghiere degli Imam del Venerdì e alla loro partecipazione in posizioni chiave del governo come il Ministero dell’Istruzione. Il movimento salafita è stato interamente alimentato e sostenuto dagli Stati Uniti e dal suo fedele alleato Arabia Saudita durante la Guerra Fredda. Esso è stato utilizzato in primo luogo in Afghanistan contro i sovietici e poi in tutto il mondo.

I regimi si sono mossi senza successo contro gli islamisti solo quando questi sono diventati troppo forti per le manipolazioni del governo e si sono rivelati una possibile minaccia. Troppo tardi. Gli islamisti avevano già aperto canali con l’Amministrazione degli Stati Uniti e hanno cominciato a presentarsi come un possibile sostituto dei regimi arabi, più efficiente e più popolare.

Fratellanza Musulmana in Iraq (il Partito islamico) faceva parte del Consiglio Direttivo dell’occupazione statunitense guidata da Paul Bremer, ha continuato a partecipare al governo fantoccio iracheno eretto sotto l’occupazione, con il suo leader Tareq al-Hashimi che ha assunto la posizione di Vice Presidente. Fratellanza Musulmana in Siria è entrata in una coalizione con Abdel-Halim Khaddam, un ufficiale filo-occidentale siriano rinnegato. Ancora, il leader di Fratellanza Musulmana egiziana Abdel-Mun’em Abu el-Futooh (ora in corsa per la presidenza nell’Egitto post-Mubarak) non ha avuto alcun problema nel dichiarare che la Fratellanza rispetterà tutti gli accordi internazionali firmati dai governi egiziani e che accetta il diritto di esistere di Israele (11). Hamas (la Fratellanza Musulmana della Palestina) è passata attraverso il processo elettorale in Cisgiordania e Gaza che si basa sugli accordi di Oslo, e dopo aver vinto ed aver assunto il potere a Gaza, ha dichiarato più volte di voler accettare uno Stato palestinese nei confini del 1967, riconoscendo così la legittimità di “Israele”.

Ho ampiamente scritto in arabo nel lontano 2007 (12) che il giro di vite del regime arabo sugli islamisti è il risultato della percezione del regime che gli islamisti stavano diventando sempre più potenti e si presentavano a Stati Uniti ed Europa come un’alternativa possibile più efficiente. I regimi arabi temevano che il fattore esterno avrebbe potuto giocare un ruolo decisivo, così hanno lanciato continuamente campagne propagandistiche [lett: pubbliche relazioni] circa l’estremismo, l’intolleranza, il terrorismo islamici e così via. I regimi arabi avevano paura del giorno in cui gli islamisti avrebbero potuto prendere il loro posto con la benedizione americana/europea. Quel giorno è venuto, ma il fattore esterno ha avuto poco a che fare con esso.

Dopo le rivolte: l’ascesa islamista al potere

La schiacciante vittoria islamista nelle elezioni post-sommosse non era il risultato atteso per i moti arabi, ma quello logico.

Quando un regime cade, in assenza di un’alternativa rivoluzionaria le forze politiche che salgono al potere sono quelle più organizzate, più opportuniste, più accettate dai poteri globali.

La decennale sponsorizzazione da parte di Stati Uniti e regimi arabi dell’Islam politico, è uno dei principali fattori che gli a permesso di crescere e creare un solido terreno, mentre altre correnti progressiste venivano schiacciate sotto la bandiera della “lotta contro il comunismo,” sono uno dei principali fattori di crescita islamista. Anche la “guerra contro il terrorismo” e il suo sottostante terreno teorico (“scontro di civiltà”), ha ulteriormente potenziato le correnti islamiste e ha approfondito la loro penetrazione sociale creando una crisi di identità basata sulla propaganda che ha trovato la sua soluzione attraverso un meccanismo difensivo di reazione di ritorno alle radici (13).

I risultati: un passo in avanti o indietro?

Dopo un anno dalle rivolte arabe, la percezione generale è che in Egitto il regime sia ancora fortemente nelle mani del Consiglio militare al potere. La catastrofica repressione delle manifestazioni del gennaio 2012 intorno al Ministero degli Interni è ancora un’altra prova di questo. I rivoluzionari egiziani continuano a dire che nessuno degli obiettivi dichiarati nel gennaio 2011 è stato raggiunto.

Gli islamisti sono saliti al potere attraverso elezioni sia in Tunisia che in Egitto e avrebbero probabilmente vinto le elezioni in Siria (se fosse stato rovesciato Bashar al-Asad e si fossero tenute elezioni), e in molti altri paesi arabi. Gli islamisti in Egitto hanno sostenuto il Consiglio militare contro i manifestanti, mentre sia gli islamisti egiziani e tunisini hanno iniziato a opprimere le libertà soprattutto quelle legate all’arte (14,15,16).

Ciò non significa che le rivolte rappresentino un passo indietro. Al contrario, rompere la maledizione della paura, affermare il potere del popolo, scendere senza paura per le strade e spodestare presidenti di lunga durata, pagare il prezzo di sangue per la liberazione, la dignità, i diritti fondamentali, la giustizia sociale e la partecipazione politica, tutto questo è un enorme passo in avanti. Sarà inciso nella coscienza collettiva del popolo per le generazioni a venire. Usare il potere collettivo del popolo ha avuto successo come sempre. L’esperienza è indelebile in una prospettiva storica e il popolo si solleverà ancora e ancora e ancora una volta di fronte a ogni possibile oppressore futuro: gli islamisti, la NATO, l’esercito, quale che sia il suo nome. La libertà ottenuta col sangue è dura ad arrendersi. Le sanguinose manifestazioni di gennaio 2012 in Egitto (un anno dopo la rivolta iniziale) sono una prova sufficiente di questa dialettica.

Se la seconda fase non è ancora giunta o è in ritardo, non significa che il primo passo fosse sbagliato, e ciò non significa che la seconda fase non verrà. Le rivoluzioni sono in genere precedute da turbolenze, e hanno bisogno di tempo per crescere e maturare.

I popoli del mondo arabo non hanno mai avuto la possibilità di maturare come struttura sociale, passando dal dominio ottomano alla dipendenza, alla divisione colonialista e al potere dei regimi arabi. I meccanismi sociali interni sono stati ostruiti e deformati. Ora è giunto il tempo dell’emersione sociale: l’ascesa degli islamisti sarà accompagnata dalla crescita di una tendenza secolare opposta che difenderà apertamente i propri diritti e convinzioni. Non ci sarà più un’alleanza tra islamisti e progressisti contro l’imperialismo e il sionismo. Gli islamisti hanno scelto il dialogo con l’imperialismo (17). Gli islamisti non hanno alcun problema nei confronti dell’economia capitalistica, infatti la cosiddetta “economia islamica” non è altro che una economia capitalistica dal sapore islamico (18). Gli islamisti ora sono tenuti a consegnare il paradiso sulla terra, non in cielo e poiché non hanno alcun programma alternativo, alla fine falliranno.

Quindi, perché no? Che gli islamisti governino e falliscano. Che esprimano le loro posizioni opportuniste su imperialismo e “Israele”. Che espongano i loro doppi discorsi sulle libertà eliminando le libertà sociali, l’arte e la letteratura. Lasciate che gli islamisti mettano in opera il modello capitalista che fallirà la prova della giustizia sociale. Tutto questo aiuterà la maturazione sociale. Tutto questo aiuterà la formazione di una vera e propria audace corrente laica, di una vera e propria corrente di sinistra, di una vera e propria corrente anticapitalista, in cui tutti sono costretti a presentare argomenti teorici, e costretti a confrontarsi con la realtà e presentare risposte e programmi.

La maturazione sociale richiederà tempo e non sarà senza costo, ma ora il popolo conosce la strada. Sa come si fa. E visti i fatti di cui sopra, il futuro sembra promettente per la sinistra.

Perché il popolo del mondo arabo ottenga la propria liberazione ha bisogno di: 1. un’unità transfrontaliera, trans-etnico, trans-religioso, trans-settoriale: l’unità degli oppressi, 2. giustizia sociale fuori e oltre il modello capitalista; 3. vera libertà di espressione, delle arti e della letteratura abbinati alle libertà sociali.

Solo la sinistra può offrire questo. Quindi è il momento di mettersi al lavoro.

Note:

1 Ministro degli Esteri della Francia Alain Juppé: “The Arab Spring took us by surprise”. Http://on.cfr.org/ynylCf

2 “Nessuno scienziato sociale o analista politico sia in Occidente che nel mondo arabo afferma di aver previsto queste rivolte, per quanto ne so. Né qualsiasi agenzia di intelligence occidentale o araba. In realtà, le stesse persone che hanno partecipato a queste rivolte, tra cui attivisti di lunga data, non sembrano averle previste. Siamo stati tutti colti di sorpresa”. Jeff Goodwin, Why We Were Surprised (Again) by the Arab Spring, Swiss Political Science Review 17(4): 452–456.

3 Per maggiori dettagli sul Congo Belga, vedere http://bit.ly/Al2X1

4 “Fratellanza Musulmana in Egitto eviterà il confronto sul tentativo di collocare il figlio del presidente Hosni Mubarak come presidente perché teme un giro di vite da parte delle autorità”. http://bit.ly/yurUdd

5 “Essam el-Erian, dirigente del partito politico fondato dal gruppo Fratellanza Musulmana, ha riferito che il partito aveva deciso di sostenerlo, mantenendo il Premier e il Gabinetto nominato dal consiglio militare al potere in carica per i prossimi sei anni mesi.” http://nyti.ms/x29R2v

6 “La potente Fratellanza Musulmana in Egitto, mercoledì ha diffuso una dura denuncia di attivisti liberali e laici, amplificando le accuse da parte delle autorità militari, secondo cui riceve fondi esteri per creare il caos in Egitto”. http://huff.to/z7oee8

7 “I dimostranti hanno continuato a gridare:” Svegliati rivoluzione e guarda con i tuoi occhi che i Fratelli Musulmani sono diventati le forze speciali di polizia (Central Security Forces, n.d.t.), con riferimento alle famigerate forze di polizia di Mubarak, che si sono abbattute sui manifestanti”. http://bit.ly/yd41Yo

8 “Già nel 2005, […] Ariel Sharon ha avvertito il presidente George W. Bush contro la caduta di Assad, sostenendo che il diavolo che conosciamo (Assad) è migliore di quello che sarebbe venuto (la Fratellanza Musulmana).” http://onforb.es/yI7rr8 

9 Hisham Bustani, The Alternative Opposition in Jordan and the Failure to Understand Lessons of Tunisian and Egyptian Revolutions, http://bit.ly/yIkex4

10 Hisham Bustani, Jordan’s New Opposition and the Traps of Identity and Ambiguity, http://bit.ly/xwhBoa

11 Abdel-Mun’em Abu el-Futooh, ha dichiarato in un video in lingua inglese: “Riconosco il diritto di Israele di esistere”; Abu el-Futooh appare a partire dal minuto 3:30 del video. http://bit.ly/ADnt8f

12 Hisham Butani, Arab regimes; Islamists; and American Decomcracy (in Arabic), al-Akhbar newspaper (Beirut), 23 ottobre 2007, http://bit.ly/wQHAwI

13 Hisham Bustani, The Delusion of the “Clash of Civilizations” and the “War on Islam,” http://bit.ly/zyLI9M

14 http://bit.ly/zAQFCV

15 http://bit.ly/w07Vfs

16 http://bit.ly/zvzJNc

17 http://bit.ly/xBKSog

18 Per maggiori dettagli su questo, vedere Maxime Rodinson, Islam e capitalismo, University of Texas Press, 1979.

*Hisham Bustani è uno scrittore e attivista dalla Giordania. Collabora con al-Quds al-Arabi (Londra), al-Akhbar (Beirut), al-Adab Review (Beirut), Monthly Review e Jadaliyya (USA) oltre altri giornali, riviste e siti web. Ha pubblicato tre volumi di narrativa breve in lingua araba. L’articolo è ancora inedito nella sua versione inglese, ma sta per essere rilasciato in arabo, tedesco e italiano.

Da Senza Censura, marzo 2012

 

 

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