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Dopo l’ETA: il Paese Basco alla prova del voto

Le elezioni anticipate che si terranno il 21 ottobre nella Comunità Autonoma Basca potrebbero segnare una grande novità per la mappa politica della zona con conseguenze notevoli anche per il Governo popolare di Madrid. 

* Il Corsaro – 3 ottobre 2012 

La fine della lotta armata

La prima cosa che ti vorremmo chiedere, per inquadrare bene il contesto in cui si svolgono queste elezioni, riguarda la rinuncia alla lotta armata da parte dell’ETA. Quali sono state secondo te le ragioni principali di questa scelta? Quanto c’è di volontario e quanto dovuto alla propria debolezza militare?

Nella scelta di abbandonare la lotta armata intervengono sempre diversi fattori. Nelle ricerche politologiche sulla violenza politica, e nello specifico sui processi che portano al suo superamento, emerge come in questi casi siano attivi fattori micro (interni alle organizzazioni armate), meso (nel contesto sociopolitico locale in cui agiscono le organizzazioni armate), e macro (a livello più ampio, ad esempio nella sfera internazionale). Anche nel caso basco si possono individuare diversi fattori che hanno portato alla scelta di ETA di dichiarare la fine della sua attività armata. 

Se ci soffermiamo alla fase più recente, un passaggio fondamentale è stato il profondo dibattito e riflessione che si è realizzato nella sinistra indipendentista dopo il fallimento del processo di pace del 2006-2007. Per diversi mesi, nonostante il clima politico non facile dopo il ritorno all’attività armata di ETA e l’acuirsi della repressione del governo spagnolo contro diverse organizzazioni politiche e sociali di area indipendentista, si sono svolte diverse assemblee e riunioni, nelle grandi città così come nei piccoli paesi, in cui i militanti della sinistra abertzale hanno analizzato e discusso i principali problemi tattici e strategici del movimento. Dal dibattito è emersa la consapevolezza della necessità di un maggiore ruolo dell’azione politica rispetto a quella militare per superare lo stallo del movimento. La base militante, pur non delegittimando la lotta armata, ne ha riconosciuto l’inefficacia politica, chiedendo di fatto ad ETA di fare un passo indietro. Il risultato di questo processo di riflessione interno è stato il documento Zutik Euskal Herria (“Sollevati Paese basco”), reso pubblico nel febbraio 2010 in cui Batasuna, e l’izquierda abertzale nel suo complesso, opta chiaramente per un nuovo scenario di assenza di ogni forma di violenza. Questo ha permesso l’apertura di un nuovo dibattito tra la sinistra indipendentista e altre organizzazioni politiche e sociali da cui è emerso l’accordo di Gernika in cui, tra le altre cose, si chiedeva esplicitamente ad ETA ed ai governi di compiere i passi necessari per permettere l’effettivo superamento della violenza in tutte le sue forme. Richieste sottoscritte anche dai partecipanti alla conferenze di pace celebrata nel palazzo di Aiete di San Sebastián il 17 ottobre 2011 (tra cui l’’ex segretario generale dell’ONU Kofi Annan). Sono questi passaggi che sostanzialmente hanno portato alla dichiarazione di ETA di fine della lotta armata dell’ottobre 2011.

Se osserviamo questi avvenimenti in prospettiva, il recente dibattito interno al variegato mondo della sinistra indipendentista non si è generato dal nulla. La storia della lotta armata di ETA e il suo rapporto con le organizzazioni politiche e sociali che, più o meno direttamente, la hanno sostenuta, è caratterizzato da alcuni cambiamenti di strategia piuttosto rilevanti. Pur caratterizzandosi per l’uso della violenza, il ruolo e il significato della violenza nella strategia indipendentista è cambiato nel corso del tempo. In particolare, a partire dagli anni ’90, dopo il fallimento dei negoziati di Algeri tra ETA e i rappresentanti del governo spagnolo della fine degli ’80, si è prodotto un crescente protagonismo dei “politici” rispetto ai “militari” all’interno del movimento. Il dibattito avvenuto tra il 2008 e il 2010 è anche il risultato di quel lungo e altalenante processo. Altri fattori intervenenti hanno sicuramente favorito un’accelerazione del processo che ha portato poi alla fine della lotta armata. Tra questi c’è sicuramente uno stallo, o comunque una difficoltà di ETA sul piano militare, ma anche altri elementi come un intervento importante di facilitatori internazionali (tra cui spicca l’avvocato sudafricano Brian Currin) che hanno “oliato la macchina”.
 

In molti si sono sorpresi del fatto che la scelta dell’ETA non ha indebolito la sinistra aberzale, ma l’ha, al contrario, rafforzata. Come te lo spieghi?

Il successo di consensi elettorali, e non solo, per gli indipendentisti risulta meno sorprendente se si considera il dibattito interno alla sinistra indipendentista a cui ho fatto riferimento in precedenza. Sono le organizzazioni politiche del movimento che hanno deciso di porre l’accento sulle armi della politica, e di mettere da parte la politica delle armi. Una scelta che ha sbloccato alcune importanti divisioni che caratterizzavano la società basca. Negli ultimi anni, infatti, diversi settori politici e sociali baschi hanno condiviso in maniera sostanziale alcuni degli obiettivi politici della sinistra abertzale “storica”, ma le divisioni sulla questione dell’uso della violenza non permettevano la sinergia tra le diverse forze “sovraniste”. La fine della lotta armata ha facilitato una riarticolazione dei campi politici, e il rafforzamento della coalizione indipendentista, di cui l’izquierda abertzale è solo una delle componenti.

LA LEGALIZZAZIONE DEI PARTITI DI SINISTRA

Dopo anni in cui alle forze politiche vicine all’ETA era stato proibito candidarsi vediamo oggi la presentazione di coalizioni aberzale. La legalizzazione di Sortu, nonostante enormi pressioni in senso opposto, è un segnale distensivo? Credi che da parte dei giudici ci sia stata l’intenzione di dare un segnale di apertura? Come giudichi in generale la politica dello stato spagnolo dopo l’abbandono delle armi dell’ETA?

Nel sistema istituzionale spagnolo il potere giudiziario è fortemente influenzato da quello politico, e dall’esecutivo in particolare. Un’influenza che risulta particolarmente evidente nei giudizi e decisioni relativi al conflitto basco, sottoposti a legislazione di eccezione, che favorisce la pratica della tortura, e alla giurisdizione della Audiencia Nacional, tribunale speciale erede diretto del Tribunal del Orden Público dei tempi del franchismo. Come ho detto in precedenza, il cambiamento del quadro politico basco è iniziato ben prima della dichiarazione di ETA dell’ottobre 2011. Nella società basca tutti gli attori politici e sociali erano consapevoli del fatto che si stava procedendo verso la fine della lotta armata. Al di là delle dichiarazioni ufficiali dei leader socialisti e popolari, tanto a livello basco quanto a livello generale spagnolo, il cambiamento di fase e di scenario era evidente e di fatto, nel retroscena della politica, riconosciuto anche dal campo “costituzionalista/spagnolista”. Ad esempio il governo basco a guida socialista ha rapidamente ridimensionato i programmi di scorta destinati alle categorie minacciate da ETA. La decisione del Tribunale Costituzionale del giugno 2012 sulla legalizzazione di Sortu(preceduta dall’ammissione “in zona Cesarini” della coalizione Bildu alle elezioni amministrative del maggio 2011) va inserita in questo contesto.

Il problema è che da parte del potere centrale c’è un atteggiamento “schizofrenico” rispetto alla nuova fase politica. Non sono stati computi da parte di Madrid altri passi importanti per far procedere con decisione il processo di pace. Ad esempio alcuni giudizi su militanti indipendentisti (non di ETA) sono finiti con l’archiviazione del caso o l’assoluzione, mentre in altri casi si è proceduto con il giudizio sulla base della linea accusativa del “tutto è ETA” come se nulla fosse successo. La questione su cui emerge più nitidamente l’immobilismo (non disinteressato) del potere centrale è quella dei detenuti. A fronte di una popolazione complessiva di circa tre milioni di abitanti, considerando tutte e 7 le province basche sui due versanti dei Pirenei, ci sono attualmente circa 700 detenuti politici baschi. Non si tratta solo di militanti di ETA ma anche di attivisti di diverse organizzazioni politiche e sociali indipendentiste non coinvolte nella lotta armata, colpiti dalla campagna di criminalizzazione del potere centrale. Contravvenendo alla stessa legislazione spagnola che prevede di far scontare la pena in carceri vicine al territorio di origine del condannato, i detenuti baschi sono sottoposti al regime di dispersione, venendo reclusi in carceri distanti centinaia di chilometri da casa. In questo modo si esercita una pressione psicologica, che di fatto è una pena aggiuntiva, sulla rete sociale di parenti e conoscenti. Così come non vengono scarcerati, pur avendone diritto, i detenuti baschi malati e in fase terminale. La richiesta di fine della dispersione è particolarmente sentita presso la società basca, e le mobilitazioni su questo tema vedono coinvolti anche gruppi e individui che magari non condividono la scelta della militanza, armata o meno, del parente o amico detenuto, ma che comunque rifiutano la pena aggiuntiva della dispersione. Il 7 dicembre 2011 si è svolta a Bilbao una storica manifestazione per i diritti dei detenuti e contro la dispersione a cui hanno partecipato ben 150.000 persone. In tutti i casi di superamento di conflitti armati simili a quello basco, la questione della progressiva scarcerazione dei membri delle organizzazioni armate è stato un passaggio cruciale. Tutti gli osservatori concordano nel ritenere la fine della dispersione il gesto necessario per contribuire al consolidamento del processo di pace. Ma da Madrid i passi in questa direzione sono stati nulli, o quanto meno impercettibili.
 

Che cosa differenzia Amaiur, Sortu e Bildu dalla vecchia Batasuna?

C’è da fare una fondamentale distinzione tra Sortu e le coalizioni elettorali (Bildu, Amaiur ed EH Bildu). La prima, Sortu (che in basco significa costruire/creare) è espressione del nucleo della izquerda abertzale “storica”, e in un certo si può considerare l’erede di Batasuna, o meglio la sua ridefinizione alla nuova fase incentrata sulla strategia politica indipendentista.

Bisogna sottolineare che l’izquierda abertzale è stata sempre una realtà politica complessa, magmatica, plurale ed estremamente variegata, risultato della sintesi della rivendicazione indipendentista con altre istanze di trasformazione sociale (movimenti sociali, controculturali, ecc.). La definizione di Herri Batasuna prima e di Batasuna poi come “braccio politico di ETA”, così come definire Sortu l’erede politico dell’organizzazione armata, è riduttivo e poco rappresentativo di una realtà ben più complessa. Bildu, Amaiur ed EH Bildu sono delle coalizioni tra l’izquierda abertzale “storica” e altri gruppi sociali e politici. Nello specifico Aralar, una gruppo guidato dall’avvocato navarro Patxi Zabaleta che aveva abbandonato Batasuna soprattutto per le divergenze sulla lotta armata, Eusko Alkartasuna, una formazione socialdemocratica frutto di una scissione dai moderati del PNV della metà degli anni ’80, e Alternatiba, una scissione dell’ala più “sovranista” di Ezker Batua, la federazione basca di Izquierda Unida. A questi gruppi politici, inoltre, si sono aggiunte diverse personalità indipendenti che si sono riattivate politicamente dopo la fine della strategia armata di ETA. Si tratta pertanto di una riarticolazione completa dell’intero campo indipendentista resa possibile dalla fine della lotta armata. Una sintesi di forze che provengono da pratiche e culture politiche anche sostanzialmente diverse. I mesi successivi faranno capire se e come questa sintesi sarà in grado di gestire le possibili contraddizioni interne. Un passaggio importante, soprattutto alla luce dei risultati delle prossime elezioni basche, sarà il processo costituente di Sortu, previsto per la prossima primavera.

 

LE ELEZIONI DEL 21 OTTOBRE

Il 21 ottobre si terranno le elezioni nella Comunità Autonoma Basca. Che cosa è in ballo in queste elezioni? Quali sono le forze politiche in campo e i temi più importanti della campagna elettorale?

Queste elezioni si preannunciano storiche per la profonda riconfigurazione degli equilibri politici, e non solo da un punto di vista elettorale. Oltretutto avvengono nel contesto di crisi multilivello che sta affrontando lo stato spagnolo.

C’è la possibilità concreta che la sinistra indipendentista diventi la principale forza politica nella Comunità Autonoma Basca. Nelle recenti tornate elettorali che si sono svolte a cavallo della decisione di ETA di abbandonare le armi (le amministrative di maggio e le elezioni generali spagnole del novembre 2011), si è prodotto un vero e proprio terremoto politico-elettorale. Gli osservatori hanno usato l’immagine del “tavolo a 4 gambe” per descrivere questo nuovo scenario. Dalle elezioni infatti è emersa un sostanziale equilibrio tra 4 aree politiche: gli indipendentisti, i nazionalisti moderati del Pnv, i socialisti e i popolari. Una di queste gambe, quella dei popolari, sembra destinata a ridimensionarsi in seguito alla crescente opposizione sociale da parte dell’opinione pubblica basca contro la politica di austerity del governo centrale di Madrid guidato da Rajoy. Per quanto riguarda le restanti gambe sui cui regge lo scacchiere politico basco, dipenderà molto dalla politica di alleanze che si realizzerà dopo la chiusura delle urne. Per le peculiarità del sistema elettorale difficilmente emergerà una forza egemonica in grado di governare da sola, e non è chiaro quali saranno le possibili alleanze. Lo scenario è apertissimo, e ogni previsione è azzardata.

Indipendentemente dai risultati, i temi che diventeranno centrali nella prossima legislatura della Comunità Autonoma Basca sono facilmente individuabili: in primo luogo la normalizzazione politica e il consolidamento del processo di pace, poi la ridefinizione dello status dell’autogoverno basco e in particolare i rapporti tra la CAB e la Navarra (vale a dire la questione della divisione amministrativa dei territori baschi) e, infine, la gestione della crisi economica che riguarda anche le province basche, anche se con un impatto minore rispetto al resto dello stato spagnolo.

 

EH Bildu è data seconda nei sondaggi. Quali sono il suo programma e il suo messaggio? Credi che sia possibile una coalizione nazionalista PNV-EH Bildu? E quale sarà la reazione del Governo in caso di vittoria degli aberzale?

EH Bildu (Bildu significa riunire, EH è la sigla di Euskal Herria, vale a dire Paesi baschi) si presenta alle elezioni con un messaggio incentrato su due assi portanti: la normalizzazione politica e la necessità di politiche sociali marcatamente di sinistra per contrastare la crisi. Per normalizzazione politica si intende sia l’avanzamento sostanziale del processo di pace sia la legittimazione politica dell’opzione indipendentista, attualmente criminalizzata da Francia e Spagna, e lo sviluppo di una discussione complessiva e democratica sulla ridefinizione dell’autogoverno e dei rapporti tra le diverse province basche divise tra i due stati. La dichiarazione di indipendenza non è all’ordine del giorno in queste elezioni, a meno che non si registri un notevole aggravarsi della crisi sociale e politica spagnola. EH Bildu si dichiara esplicitamente indipendentista, ma l’indipendenza è un obiettivo strategico di medio-lungo periodo. La nuova strategia della izquierda abertzale punta a conquistare consensi attorno al progetto indipendentista di sinistra e renderlo socialmente egemonico.

Per quanto riguarda la questione sociale, invece, EH Bildu afferma chiaramente di voler difendere un modello di stato sociale forte, affermando di volere utilizzare le risorse istituzionali dell’autonomia basca in senso opposto alla politica di austerity e di tagli sociali portata avanti dal governo di Madrid.

Volendo sintetizzare, sia sulla questione nazionale, sia per quanto riguarda la questione economico-sociale, la sinistra indipendentista è orientata ad un uso anti-sistema delle istituzioni orientato a una profonda trasformazione politica e sociale. Le principali incognite in questo senso riguardano, da un lato i rapporti interni tra le diverse componenti dell’universo indipendentista, dato che non tutte provengono da una tradizione di critica anti-sistema, e dall’altro dalla politica delle alleanze che si genererà alla chiusura delle urne, con la conseguente forte ristrutturazione del sistema partitico e politico.

L’alleanza EH Bildu-PNV sembrerebbe quella più naturale, ma non è scontata. Mentre la base sociale del PNV è in grande maggioranza disponibile alla creazione di un fronte nazionalista, la dirigenza del nazionalismo moderato si distanzia in maniera rilevante sia dal messaggio apertamente indipendentista, sia dal programma sociale di sinistra di EH Bildu. Bisogna ricordare che una componente importante del PNV è espressione della borghesia industriale e finanziaria basca che vede come una minaccia il successo degli indipendentist “rossi”. La partita per l’egemonia all’interno del campo nazionalista è tutta da giocare, ed è sicuramente una delle incognite più interessanti dello scenario post elettorale.

Quale sarà la risposta del governo centrale, e più in generale dei poderes fácticos spagnoli (forze armate, oligarchie finanziarie, apparati di sicurezza, ecc.) è difficile da prevedere. Ad ogni modo, se si dovesse verificare una maggioranza “sovranista”, sarà il risultato della volontà democratica della cittadinanza della CAB, e questo sarà un aspetto importante da tenere in considerazione. Nelle ultime settimane, con l’aggravarsi della crisi multilivello che sta riguardando lo stato spagnolo, le voci provenienti dai rappresentanti dei partiti statali (popolari, ma anche i socialisti) e i “tintinnii di sciabole” di importanti esponenti delle Forze Armate (a cui l’articolo 8 della costituzione attribuisce il ruolo di difensori dell’unità nazionale) purtroppo richiamano le tendenze più centraliste e autoritarie della storia politica spagnola.

La fine della lotta armata di ETA è un addio alle armi, ma non al conflitto, che rimane estremamente vivo e vivace, se non addirittura acuito dalla riattivazione della frattura centro-periferia anche ad altri territori che fino ad ora erano stati sostanzialmente più “tranquilli”, come la Catalogna o la Galizia.
 

LA CRISI SPAGNOLA E L’INDIPENDENTISMO

Lo stato spagnolo è in crisi. Crisi non solo economica ma anche nazionale. Le manifestazioni in n Catalogna e il voto nei Paesi Baschi e in Galizia avvengono curiosamente nello stesso momento. Credi che sia possibile una riforma in senso federale dello stato? E le istanze indipendentiste credi che possano avere un margine di successo?

La crisi che sta attraversando la Spagna è multilivello, coinvolgendo diversi ambiti. L’accelerarsi della crisi finanziaria ha scosso profondamente l’intera struttura politica, istituzionale e sociale emersa dalla transizione post-franchista. I movimenti sociali che si sono formati in questi mesi contro le politiche di austerity, come gli indignados, usano parole d’ordine che fino a poco tempo fa erano caratteristiche solo dei movimenti più radicali, tra cui le sinistre indipendentiste basche e catalane. Ad esempio richiedono la convocazione di un’assemblea costituente per cambiare sostanzialmente l’assetto istituzionale delineato dalla costituzione del 1978. Fino ad oggi praticamente solo i nazionalismi periferici e alcuni gruppi repubblicani radicali osavano contestare la costituzione post-franchista, il sistema bipartitico e la monarchia.

Per uscire da questa situazione di stallo sarebbe necessaria una nuova transizione in cui affrontare le questioni lasciate irrisolte dal patto di 35 anni fa tra “democratici” e “franchisti”. Una di queste questioni è sicuramente il fallimento del modello dello stato delle autonomie e dell’autogoverno delle nazioni periferiche. Al momento però le classi dirigenti di Madrid non sembrano esprimere la volontà di voler andare verso una seria riforma basata sul federalismo asimmetrico, così come, allo stesso tempo, continuano a reprimere duramente i diversi movimenti sociali che si oppongono alle politiche di austerity dettate dalla troika europea. Sembrano andare più verso il centralismo e l’autoritarismo, che verso la riattivazione e l’estensione della democrazia e della sovranità popolare, in tutti i suoi sensi.

Ti chiediamo, infine, una riflessione sul modo in cui gli italiani osservano questo tipo di fenomeni. Molti nostri connazionali sono propensi a paragonare le istanze secessioniste o anche solo autonomiste di Euskal Herria e della Catalogna a quelle del nord Italia. Cosa rispoderesti a questo tipo di posizione? E, per concludere davvero, che spazio possono avere nuovi piccoli stati nell’Europa che va a picco mentre ad acquisire potere nel panorama globale sono stati sempre più grandi (Brasile, Cina, Russia etc.)? Non vedi il rischio di una balcanizazzione?

Analizzare i fenomeni politici attraverso la lente di quanto accade qui da noi non è sempre il modo migliore per capire come vanno le cose. Soprattutto per quanto riguarda un fenomeno così magmatico e variabile come le mobilitazioni e i conflitti etnoterritoriali. I diversi movimenti regionalisti, autonomisti o indipendentisti, esprimono discorsi, rivendicazioni e pratiche politiche estremamente diversificate tra di loro. La questione territoriale si intreccia con quella sociale dando vita a fenomeni diversi. In molti casi, come ad esempio in Catalogna o nei Paesi baschi, nel corso del tempo, si sono formati dei campi nazionalisti composti da diversi movimenti e organizzazioni differenziati ideologicamente. Ci sono la destra e la sinistra nazionalista, e anche le posizioni intermedie. Associare il nazionalismo solo a idee di destra, allaxenofobia, al razzismo è un errore piuttosto frequente, che in Italia trova le sue ragioni nel peso del fascismo nella storia politica del paese, ma che non aiuta a distinguere e comprendere. Il nazionalismo è una thin ideology, una ideologia sottile, che si associa facilmente con altri elementi ideologici accessori prendendo forme politiche molto diverse. Per rimanere all’esempio basco, il nazionalismo confessionale e razzista delle origini, creato da Sabino Arana alla fine del XIX secolo, è stato profondamente modificato, durante il franchismo, con la nascita di ETA e della sinistra abertzale. Si è così affermata una concezione aperta, inclusiva, non razzista di identità nazionale incentrata sulla lingua. Oggi il nazionalismo basco nel suo complesso ha ormai superato il razzismo delle origini. Ad esempio, alcuni giorni fa, durante un programma televisivo in vista delle prossime elezioni, la candidata di EH Bildu Laura Mintegi, ad alcune domande sulla questione immigrazione, ha espresso chiaramente che per lei e la coalizione indipendentista è da considerare basco, e quindi titolare di tutti i diritti, chiunque vive, lavora, o cerca lavoro nei Paesi baschi, indipendentemente dalla sua origine. In passato diversi sindaci indipendentisti hanno fornito il permesso di soggiorno a immigrati irregolari residenti nei loro municipi, sfidando direttamente le politiche di Madrid in materia di immigrazione. La concezione della cittadinanza degli indipendentisti baschi si basa sulla residenza e lo ius soli, ponendosi quindi agli antipodi della concezione razzista ed escludente della Lega Nord. Per quanto Borghezio si riempia la bocca di Euskadi, la realtà è che mentre lui va a “disinfestare” i treni dove viaggiano i lavoratori e le lavoratrici migranti, gli indipendentisti baschi sono attivamente coinvolti in programmi di integrazione interculturale con le comunità migranti presenti sul loro territorio. Questo non vuol dire che nella società basca non siano presenti tensioni e conflitti legati al fenomeno migratorio, ma che nel discorso e nella pratica delle organizzazioni indipendentiste emerge sicuramente una chiara posizione antirazzista e antixenofoba.

In Europa diversi movimenti regionalisti o indipendentisti sono caratterizzati per posizioni “di sinistra” più o meno radicale, o comunque nettamente democratiche e antirazziste. Così come, in altri casi, sono prevalenti movimenti molto più simili al populismo regionalista di destra della Lega Nord, come la Lega dei Ticinesi, o i partiti nazionalisti attualmente maggioritari nelle Fiandre. Se si tiene in considerazione questa realtà ambivalente e complessa dei movimenti etnoterritoriali, viene meno, almeno parzialmente, anche il timore sui rischi di balcanizzazione dell’Europa. Se è vero che movimenti come la Lega usano le paure e le incertezze della crisi per promuovere una concezione neocomunitarista, xenofoba ed escludente, altri casi, come gli indipendentisti baschi, catalani, scozzesi, sardi, ecc. rientrano nella più ampia battaglia per ridare valore alla democrazia e alla sovranità popolare in un’Europa svuotata di senso e significato dai tecnocrati e dallo strapotere della finanza.

Adriano Cirulli è dottore di ricerca in Sociologia della Cultura e dei Processi Politici, e ha ricevuto il titolo di ‘Experto en Estudios Vascos’ dalla Euzko Ikaskuntza-Sociedad de Estudios Vascos. Ha svolto periodi di ricerca presso le Università di San Sebastián, Edimburgo, Barcellona e Milano-Bicocca. Ha collaborato all’attività didattica del Master Euskal Nazionalismoa XXI. Mendean (Il nazionalismo basco nel XXI secolo) presso l’Euskal Herriko Unibertsitatea/Universidad del País Vasco, e dirige il Dipartimento di Lingua e Cultura Basca dell’Università Popolare Upter di Roma. È membrodell’Association for the Study of Ethnicity and Nationalism (ASEN). Ha curato, con Daniele Conversi il numero monografico 2/2010 della rivista di studi politici e sociali Partecipazione e Conflitto su “Movimenti e conflitti etnoterritoriali”. È in uscita per Datanews il suo libro “L’ascia e il serpente. L’ETA e il nazionalismo basco dopo la lotta armata”.

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