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Ecuador. La candidata della sinistra è in testa e va al ballottaggio

Oltre 13 milioni di ecuadoriani si sono recati alle urne per eleggere il nuovo presidente della Repubblica. Elezioni anticipate dopo che lo scorso 17 maggio il presidente Lasso preferì sciogliere l’assemblea piuttosto che essere sfiduciato in parlamento per un processo politico che lo vedeva accusato di peculato.

I risultati delle urne riportano che la forza principale nel paese resta il movimento progressista di Revolución Ciudadana con Luisa Gonzales, prima candidata donna, che arriva al 33%, confermando il proprio zoccolo duro di voti che il movimento ha mantenuto negli anni. Non abbastanza però da garantirle direttamente la presidenza dato che andrà a ballottaggio con Daniel Noboa, che si attesta al 23%. Figlio di Alvaro Noboa, bananiere che negli ultimi decenni aveva tentato sei volte la poltrona presidenziale, lasciando poi il testimone al figlio. Oltre a essere rappresentante del latifondo impresariale del paese, che si regge sopra brutale sfruttamento dei lavoratori agrari (nel 2002 arrivò ad aprire il fuoco contro lavoratori in sciopero), è anche detentore della più grande ricchezza privata del paese superando il miliardo e mezzo di dollari. Intorno al 15% si trovano invece il movimento del Villavicencio, il candidato ucciso una decina di giorni fa, e di Jan Topic il mercenario imprenditore che prometteva “dottrina Bukele” e mano dura contro l’insicurezza del paese.

Il ballottaggio vedrà quindi fronteggiarsi i due candidati, con i sentimenti anticorreisti che potrebbero coagularsi nel voto verso Noboa e rendere difficile per Luisa Gonzales vincere. Risulterà fondamentale allargare la propria base elettorale di appoggio per evitare uno scenario come quello del 2021 che portò al governo l’ex-banchiere Lasso.

Il governo che uscirà dalle urne dovrà fronteggiare una situazione molto complessa all’interno del Paese. Gli ultimi sei anni di gestione neoliberale hanno fatto impennare gli indici di povertà e di disoccupazione, lasciando una gestione disastrata di economia e dello Stato. Il governo Lasso ha poi dimostrato non solo l’assenza dello Stato rispetto tematiche sociali e di sviluppo ma anche riguardo la sicurezza. I livelli di sicariato, omicidi e presenza di cartelli narcos hanno portato il paese, fino a dieci anni fa tra i più sicuri del continente, ai primi posti per numero di morti violente della regione.

Il voto per il Yasuní e il Choco Andino contro petrolio e miniere

Oltre all’elezione del presidente erano presenti due consulte referendarie, una nazionale e una locale. La prima riguardava lo storico dibattito presente nel paese rispetto a se sfruttare o meno i giacimenti di petrolio presenti all’interno del parco naturale Yasuní nell’Amazzonia centrale. Considerato a livello globale uno dei territori con il più alto grado di biodiversità mondiale era stato al centro di una campagna di raccolta fondi internazionale lanciata dal ex-presidente Correa nel 2009. In cambio di lasciare il crudo sotto terra l’Ecuador chiedeva alla comunità internazionale un aiuto per il proprio sviluppo pari ai possibili proventi derivanti dall’estrazione. La raccolta non andò a buon fine, aprendo le strade allo sfruttamento dei giacimenti e a un forte dibattito interno al paese.

Oggi il 60% dei votanti ha dichiarato di voler interrompere l’estrazione petrolifera all’interno dei giacimenti nel parco del Yasuní determinato quindi un voto storico che dovrà portare ad un blocco delle attività estrattive.

Il secondo referendum, questa volta solo all’interno della regione di Pichincha, ha visto il 68% de votanti dichiararsi per il divieto di dare concessioni per aprire miniere all’interno dell’area naturale del Choco Andino. Territorio caratterizzato da bosco umido tropicale vedeva l’ipotesi di vari progetti di concessione di miniere a cielo aperto con gravissimi rischi per l’ambiente.

Il voto rispetto miniere e petrolio riflette uno dei punti attualmente dirimenti nella politica e nelle strategie di sviluppo del paese. Un territorio dall’economia debole, con un sistema produttivo volto quasi unicamente all’esportazione di prodotti non lavorati e materie prime si trova a dover decidere se avviare vari megaprogetti minerari in differenti zone del paese. Dopo i cinquant’anni di estrazione petrolifera che hanno lasciato pesanti danni ambientali e alla salute umana con scarsi proventi per lo Stato, almeno fino alla sua nazionalizzazione da parte di Correa, i dubbi che l’estrattivismo possa aiutare il paese a raggiungere una forma stabile di benessere restano forti in molte componenti del Paese.

 

 

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