Wasteland
Le rivoluzioni conservatrici vincono quando interpretano verità progressiste. Durante la campagna elettorale del 1979, il partito conservatore di Margareth Thatcher letteralmente sfondò nei ceti popolari con un manifesto destinato a fare epoca del marketing politico. E’ quello che riproduciamo come immagine dell’articolo e significava, con un semplice quanto abile gioco di parole, che il Labour (il partito del lavoro) non produceva posti di lavoro. La rivoluzione conservatrice di Margareth Thachter, la cui importanza per la formazione della globalizzazione che conosciamo non è seconda al reaganismo a lei contemporaneo, emergeva trovando consenso di massa. Interpretando una verità già conosciuta alle miriadi e differenti scuole di pensiero progressiste, di sinistra e comuniste dell’epoca. Ovvero che i partiti del lavoro, nelle diverse coniugazioni, non erano più in grado di produrre occupazione. Si trattava dell’assunzione, da destra, del fatto che in occidente si imponeva il corso storico, frutto di una lenta degradazione del saggio di profitto come dell’evoluzione tecnologica, del declino della società del lavoro. Intesa soprattuto come una società dove il lavoro mette a produzione capitalistica, e quindi a valore, l’intera popolazione.
Si trattava quindi di una doppia crisi, quella della società industriale a base lavorativa di massa e di quella disciplinare classica (che esisteva nella funzione fondamentale di mettere a produzione lavorativa corpi, menti e comportamenti di una intera società). Doppia crisi riassumibile appunto nel declino della società del lavoro. La rivoluzione conservatrice rappresentava, e rappresenta nelle sue attuali interpretazioni rintracciabili nell’economia neoclassica, la risposta capitalistica, e da destra, a questo declino. Lungi dall’accettare l’ineluttabilità del socialismo come conseguenza stessa del ripetersi delle innovazioni intese come soluzioni alle crisi cicliche del capitalismo, posizione che si trovava anche in Schumpeter, la rivoluzione conservatrice thachteriana assumeva l’aggressione alla società del lavoro di massa in declino come presupposto per un nuovo ciclo di accumulazione capitalistica.
Quello che è avvenuto in Inghilterra, con le dovute proporzioni storiche e geopolitiche, dovrebbe far riflettere in Italia. Perchè quando si sentono frasi come “i sacrifici pagheranno nel lungo periodo”, come affermato da Mario Monti, diviene piuttosto chiaro il percorso di rigenerazione dei profitti prefigurato dalla governance europea per il nostro ed altri paesi Piigs. Perchè, dal punto di vista della crescita dei salari e dei profitti da lavoro la rivoluzione conservatrice di Margareth Thatcher, cominciata negli anni ’80, ha veramente pagato solo negli anni ‘90 dopo le sue dimissioni a favore di John Maior e poi nel periodio blairiano.
Si è trattato quindi di una rivoluzione conservatrice che ha privilegiato subito la valorizzazione di capitale finanziario, perchè non solo produce profitti immediati ma anche perchè è il processo che comanda lavoro e capitale produttivo, e e molto dopo quello da profitti per l’allargamento della base produttiva diciamo nell’arco di due-tre lustri. Nel frattempo l’Inghiliterra era diventata una wasteland sociale ed urbanistica. All’inizio degli anni ’90 la Gran Bretagna era quindi un paese irriconoscibile rispetto all’inizio dell’era thatcheriana: le impressionanti rivoluzioni tecnologiche, amministrative, logistiche le privatizzazioni, le esternalizzazioni diffuse e la governance urbana capitalistica avevano completamente stravolto la forma diffusa del lavoro degli anni ’70. Forma del lavoro che era diventata come è oggi: ad alta instabilità di processo e di radicamento, alta produttività potenziale, forte iniezione tecnologica dove necessario, contratti flessibili e bassi salari.
Dalla società del lavoro capillare, diffusa, stabile (che si voleva compensata nei suoi squilibri da un welfare che redistribuiva reddito) si è passati quindi una società dove il lavoro è instabile, mobile, ad alta produttività tecnologica potenziale e dove il welfare subisce continui processi di privatizzazione ed esternalizzazione (anche nella sanità e persino nel sistema penale). Il declino della società del lavoro presuppone infatti che quest’ultimo sia, a causa della lenta erosione del saggio di profitto e della impetuosa accumulazione finanziaria del capitalismo, una forma di valorizzazione del capitale immediatamente eliminabile quando necessario. Proprio perchè è la stabilità del lavoro, legata al fatto di erogare salari fissi e di condizionare la produttività, che doveva essere messa in discussione in quanto economicamente e finanziariamente insostenibile per il nuovo capitalismo.
La rivoluzione conservatrice thatcheriana, come da letteratura scientifica consolidata, aggrediva la società del lavoro di massa in declino, così come si sera sviluppata dagli anni ’50 fino alla fine dei ’70, ristrutturando completamente la forma del lavoro. Altamente flessibile, instabile e produttivo per una parte della società, fino ad allargare a dismisura la giornata lavorativa, e bene del tutto irraggiungibile per un’altra significativa parte del corpo sociale. Senza possibilità, sociale, economica e cognitiva di ricomporre le parti destrutturate. Al declino del lavoro la rivoluzione conservatrice britannica rispondeva, innovando processi e privatizzando, accelerando il declino della società come insieme. Estraendo profitti e ponendo le condizioni per l’irricomponibilità di una società precedente unificata, anche nei conflitti, dal lavoro. E che oggi pone la base materiale della propria complessità polimorfa proprio nel fatto che, essendo irricomponibile la società tramite il lavoro, il lavoro ristrutturato tende continuamente a separare porzioni, anche ampie, di società come precondizione del processo di valorizzazione economico
Dovrebbe aiutare a capire meglio il destino del nostro paese, in caso di nuova aggressione conservatrice all’assetto del declino della società del lavoro, che la Gran Bretagna, oggi di nuovo in crisi, ha costruito questo nuovo assetto del lavoro, nella piena assunzione del declino di una complessiva labour society, avendo i servizi finanziari come contributo alla metà del Pil. In Italia questa composizione del Pil è semplicemente impossibile mentre la governance dell’euro, versione continentale e contemporanea della rivoluzione conservatrice della Thatcher, prevede continue ristrutturazioni al lavoro puntando su nuove generazioni di tipologie di flessibilità, produttività e bassi salari. Una nuova aggressione da destra del declino della società del lavoro, irriproponibile sul piano tecnologico e sociale, che pone l’urgenza di una uscita da questo genere di società in senso inverso rispetto al dettato delle rivoluzioni conservatrici.
Declino della società del lavoro, fine delle ideologie, ristrutturazione della politica. Tema classico, tema recente.
André Gorz nel celeberrimo Addio al proletariato (1980) è stato spesso interpretato come un autore che, nel momento in cui si licenziava dalla base sociale del marxismo classico, era in grado di parlare a nuove esigenze, del tutto post-ideologiche, sia comunitaristiche che di riscoperta del sè. Non dimentichiamo però che lo stesso Gorz in un testo uscito postumo, Ecologica (2009) precisava che in Addio al proletariato non era affatto in discussione la necessità di una radicale uscita a sinistra nelle società a lui contemporanee. Era un altro processo quello che si evidenziava: l’evoluzione tecnologica del lavoro aveva talmente scomposto il panorama sociale precedente, quello delle società fordiste classiche, da rendere impossibile in occidente la riproduzione di un proletariato così come era stato conosciuto fino a quel momento. Gorz si era quindi posto, e la sua produzione degli anni ’80 e ’90 lo testimonia, come un autore dell’uscita da sinistra della società del lavoro vista ormai in declino. Assieme alla base sociale storica del marxismo classico, il proletariato. Il punto che non si è mai veramente e capito, e lungo tutto un trentennio cominciato con gli anni ’80, e che il declino della base sociale storica del marxismo classico non manteneva solo ferma l’esigenza di una uscita dal capitalismo. Ma, con l’ascesa di una rivoluzione conservatrice, che cercava di risolvere da destra l’uscita dalla società del lavoro di massa, il superamento del capitalismo radicalizzava e rafforzava le proprie ragioni. Proprio a fronte di una società che si delineava come più feroce, diseguale e pericolosa rispetto al già turbolento recente passato.
Quello che è accaduto in questi decenni sul piano politico, a fronte dell’aggressione da destra della società del lavoro e della scomposizione del proletariato classico, rappresenta invece la paradossale riproposizione di un tema e di una prassi, la fine delle ideologie, ripescati dagli anni ‘60. La fine delle ideologie, ben rappresentata da Daniel Bell e con un ampio radicamento nel marketing politico, altro non era che una tattica politica del superamento dei conflitti presenti nel fordismo maturo facendo leva sul livello di “benessere” raggiunto nelle società occidentali. Ecco che questo tema del “benessere” delle società occidentali, spazzato via dal ’68 e dagli anni ’70, tornava in una nuova veste. Come fenomeno attorno al quale organizzare le forme politiche successive al fordismo, all’interno di una rivoluzione conservatrice matura, scomponendo destra e sinistra attorno ad un’idea condivisa di “benessere” coniugata nell’”utile”, nel “pratico” e nel “concreto”. Tutto questo pragmatismo altro non era che la forma sociale, comunicativa, produttiva del nuovo capitalismo attraversato dalla rivoluzione conservatrice. Producendo così un altro fenomeno paradossale: mentre con il declino della società del lavoro il capitale non ha mai mancato di direzione politica, innovandola in molte forme e innervandola nella governance, il lavoro ristrutturato nel declino della labour society non si è mai ricomposto come tale, in termini radicalmente antagonistici e simmetrici rispetto al livello dell’attacco subito. Dando vita o a movimenti solubili su singoli temi oppure a una instabile ricomposizione politica, nè di destra nè di sinistra, intesa come riflesso di una complessità sociale illeggibile agli stessi attori che la promuovevano. Restando completamente trappola di un assetto sociale governato dagli attori del capitale anche nel momento in cui, tramite il mondo digitale, emergeva un nuovo piano antropologico, su scala globale, di una società del dono immateriale non solo radicalmente nuova rispetto alle società del dono precapitalistiche. Ma anche rispetto alla circolazione della ricchezza prevista in quelle del lavoro ristrutturato tramite la rivoluzione conservatrice.
Per rimanere in Italia la ristrutturazione dei cartelli elettorali dell’ultimo ventennio, ancorati in modo differente alla dimensione post-ideologica, altro non è stata che l’assunzione, su scala nazionale, di questo genere di tecnologie politiche. Dove la ricomposizione del lavoro ristrutturato si confonde e si stempera in una complessità sociale irrisolvibile e dove la funzione di comando del capitale, anche quando completamente priva di senso anche dal punto di vista capitalistico, resta comunque sovrana. L’aggressione della rivoluzione conservatrice al declino della società del lavoro, per motivi di comando e di accumulazione, ha quindi comportato in Italia la nascita di instabili formazioni e tecnologie politiche che non hanno rappresentato il lavoro (a meno di prendere sul serio il simulacro di azione sindacale svolto dalla Cgil dal luglio ’92 in poi o gli appelli all’imprenditoria di Berlusconi) ma nemmeno la società coercitivamente o creativamente uscita dal lavoro. Si è raggruppato rappresentanza su temi generalisti, che rendono opaca la complessità sociale, di immediato impatto per l’opinione pubblica o su questioni di istantaneo interesse materiale. Una volta raccolto il consenso necessario, ci si è ritirati nella cittadella politica, si è ristrutturato più o meno secondo le direttive della evolvente governance Ue, e la società si è arrangiata come ha potuto. Per un ventennio.
La ricomposizione politica operata da Grillo, sul piano del marketing elettorale (che ci rende prodotti sociali instabili quanto utili per capire la società), rappresenta una nuova tipologia nelle tecnologie politiche dette post-ideologiche entro una nuova ondata, quella promossa dalla governance Ue, della rivoluzione conservatrice che si abbatte sul continente da un trentennio. E quando diciamo “Grillo” non intendiamo tanto una persona fisica ma una forma dello spettacolo in grado di sfruttare l’estrazione di consenso di massa proveniente dallo spettacolare della tv generalista, da cui Grillo proviene, assieme a quella che permette lo scatenamento dei network di rete ed entro il tradizionale dionisiaco di piazza.
Lo spettacolo non è solo, una cifra antropologica della società contemporanea, quella che definisce le forme di connessione collettiva, ma anche una forma di risparmio del lavoro in politica. I partiti della società del lavoro per connettere la società usavano ampie quote di lavoro. Giornali professionali, funzionariato, militanza anche retribuita. Lo spettacolo assume qui i connotati una forma di connessione politica della società del declino del lavoro che è efficace, performativa ma allo stesso tempo garantisce amplissime quote di risparmio nel lavoro impiegato per produrlo. Secondo i canoni sia del labour saving capitalistico che della società del post lavoro. Tra i costi economici del M5S per diventare il primo partito d’Italia e quelli della Dc di un quarto di secolo prima, o anche di Forza Italia, non c’è paragone al livello della stessa efficacia sul piano politico ed elettorale. L’M5S rappresenta quindi il culmine di risparmio economico nel lavoro politico nella società del declino del lavoro.
Dopo due poli, centrodestra e centrosinistra, che si erano dati una declinazione postideologica avevano un funzionariato minore, e meno capillarmente diffuso, rispetto ai grandi partiti di massa del fordismo ma anche un livello di accumulazione finanziaria spropositato rispetto alla ristretta base materiale dei cartelli elettorali che componevano. Allo stesso tempo la capacità di connessione sociale del Movimento 5 Stelle rappresenta l’attrazione di una impressionante collezione di figure sociali che vivono il declino della società del lavoro. Potenza della capacità connettiva dello spettacolo: Grillo attrae non solo coloro che necessitano del reddito di cittadinanza, chi entra ed esce continuamente dal lavoro, chi lavora in partita Iva, chi lavora in Pmi innovative od ecologiche o le forme di cooperazione spuria, un misto di lavoro, piccola impresa e solidarietà sociale in una vasta gamma attività (digitali, sanitarie, di assistenza, di progettazione, educative). Ma anche tutto il lavoro classico che vive in aree di crisi permanente (dal Sulcis al nord-ovest, da Taranto a Termini Imerese), le PMI del Nord-Est che chiedono zero tasse, intero sfruttamento, pagamenti subito e sostegno alle imprese. Una collezione complessa di nostalgia della società del lavoro classico, società del lavoro in declino, società del postlavoro che era già stata rappresentata, in forme più o meno consapevoli, dal centrodestra e dal centrosinistra. E che oggi trova rappresentanza, per quanto incerta ed instabile, in forme più esacerbate ed ultimative non solo nella richiesta di rappresentanza ma anche in quella di soluzioni.
Quello che è adesso il primo partito italiano, nel bel mezzo di una fase di declino della società del lavoro aggredita dalla governance Ue, porta quindi dentro di sè una parte importante della complessità sociale delle figure della crisi del lavoro classico, del declino della società del lavoro di massa e delle forme miste tra postlavoro ed impresa creativa.
Ammesso che sia possibile, o auspicabile, una mediazione ed una sintesi tra tutte queste forme sociali della produzione, del declino della produzione e della post-produzione di sicuro oggi ciò che tiene insieme tutto questo è quella forma della connessione sociale rappresentata dallo spettacolo. Alla quale segue l’indicazione di uso delle tecnologie di rete come connettore sociale permanente. Un uso consapevolmente politico dello spettacolo, e della diffusione delle tecnologie della comunicazione, inteso come strumento di emergenza e forzatura nei processi di ricomposizione sociale. Uso che dovrebbe indicare qualcosa a coloro che, per quanto legittimamente, vedono la società come qualcosa di immediatamente etico, connesso e alla vigilia dello sviluppo di un potenziale infinito di cooperazione sociale. Probabile che una politica dell’eguaglianza si dia e si faccia in un altro modo rispetto a quella prefigurata dalle, peraltro stimabili e non di rado acute, forme di romanticismo sociologico emerse in questi ultimi anni.
Demotic turn. Il potere mediatico pastorale di Beppe Grillo
Il potere mediatico di Grillo, di immediata connessione politica tra segmenti di società tra loro anche irriducibili ad interesse, si basa su due elementi antropologici profondi. Il primo è quello dello spettacolo, processo di istantanea ricomposizione sociale, il secondo è quello dell’uso simbolico del comunitarismo inteso come strumento di riduzione e di governo della complessità sociale (rovesciando gli assunti dell’antico struttural-funzionalismo per cui questa funzione di riduzione spettava al potere amministrativo). Che questa società, nel suo svolgersi quotidiano, sia irriducibile al comunitarismo ce lo prova non solo la forte differenziazione sociale, tipica del declino della società del lavoro e delle sue ristrutturazioni, ma anche l’immissione di tecnologie che richiede, sia tra i fruitori che tra i produttori, figure sociali di una complessità di comportamenti non rintracciabile in alcuna forma comunitaristica che non sia quella digitale. Allo stesso tempo, l’uso simbolico del comunitarismo è uno straordinario strumento di connessione sociale generale fino a quando, immancabilmente, la complessità sociale non lo sottopone a forte usura. Si comprende quindi perchè, e con quale portata politica, Grillo sia emerso sostanzialmente come potere mediatico pastorale. Come strumento di governo della popolazione che permette di intravedere, e percorrere, un passaggio verso il futuro (non a caso Il Fatto Quotidiano parla di “pellegrinaggio” a casa Grillo da parte degli elettori, con forme simboliche e linguistiche che sta stanno tra la testimonianza, la richiesta di benevolenza e persino l’attestato di avvenuta profezia), come simbolico comunitario che connette grazie alla garanzia della presenza pastorale; come funzione di immissione di saggezza nella società tramite il linguaggio dello spettacolo (uso politico dell’ironia). Tutto cavalcando un palcoscenico storico di aggressione della nuova rivoluzione conservatrice verso ciò che è rimasto in Italia della società del lavoro.
Ma di quale tipo di società, quale collezione di attori sociali è prodotto un fenomeno come quello del potere mediatico pastorale di Grillo? In quale rapporto entra con il declino della società del lavoro e la sua aggressione da parte delle nuove edizioni della rivoluzione conservatrice?
Un testo molto utile per dare risposte a queste domande è il testo di Graheme Turner, Ordinary People and the Media (2010) e che ha come sottotitolo, The Demotic Turn. Turner è un grosso studioso di come avviene la connessione sociale tramite i media, che è diversa dal concetto di manipolazione spesso usato per spiegare questi temi, ed il suo lavoro finisce per assumere un rilievo immediatamente politico. In Turner il rilievo politico lo si trova sotto la lente dell’analisi del fenomeno dei media intesi come agente di promozione, più che di mediazione, culturale. Lo sviluppo della cultura del reality, che ha attecchito anche negli strati profondi della società italiana, ci mostra come questa promozione culturale sia arrivata da tempo al livello del ritmo della vita ordinaria e quotidiana. Le stesse celebrità non sono tanto fenomeni inconcepibili e irraggiungibili ma strumento attraverso il quale la vita quotidiana, assieme ai suoi ritmi, si riflette. Lo stesso giornalismo partecipativo, l’uso dei social network per la circolazione di informazione, trovano in questa mediatizzazione della vita quotidiana e nei media come strumento di promozione culturale un elemento potentemente propulsivo (sia aderendo ai modelli promossi che criticandoli). Turner parla di Demotic Turn, svolta demotica, nel senso di un nuovo protagonismo mediale della ordinary people, senza differenza di status professionale o provenienza etnica, come effetto dell’incrociarsi tra il fenomeno dei media che entrano nella rappresentazione della vita quotidiana e l’uso di promozionale o tattico di queste rappresentazioni fatto dai social network nel momento in cui producono contenuti in rete. Grillo, se ci si fa caso, tocca tutti questi momenti di quello che, in Turner, è un fenomeno caratteristico a livello di comunicazione globale. Rappresenta proprio la vedette della comunicazione che entra in contatto con la vita ordinaria, cortocircuitando i social network ed esaltandone il protagonismo. Allo stesso tempo, sempre seguendo Turner, è il tipo di vedette attraverso la quale si esprimono contenuti e potere delle ordinary people che usa Grillo come pretesto espressivo.
Si comprende quindi, con quale dispositivo di potenza sociale e fino a costruire il primo cartello elettorale del paese, tutte le figure del lavoro, del declino del lavoro, del postlavoro trovino oggi una connessione politica pur in presenza di interessi comuni difficilmente ricomponibili se non divaricanti. E’ il demotic turn del potere della connessione globale che ricompone, nell’istante spettacolare, le figure del lavoro e del postlavoro, al momento ben oltre le loro prospettive materiali.
Il primato della ordinary people, vera infrastruttura sociale dei partiti postideologici, è così radicalizzato, esplicitamente evidenziato e messo a nudo nel Movimento 5 stelle. Con il potere mediatico pastorale di Grillo in dialettica con la comunicazione e l’informazione prodotta dai social network e con i media che esaltano la ordinary people in quanto strumento spontaneo di connessione sociale di questo tipo di composizione sociale e politica. In un modo così capillare da arrivare a costituire, secondo un recente testo di Turner assieme a Anna Cristina Pertierra (Locating Television, 2012) una vera e propria economia morale delle famiglie a cui questi gruppi sociali appartengono. Famiglie tradizionali, allargate, informali, convivenze same sex secondo modalità di composizione polimorfe tipiche di una società che è uscita definitivamente dal primato del lavoro fordista dove imperava comunque la famiglia tradizionale (di lì la definizione, sia sociale che politica, famosissima di proletario inteso come appartenente a famiglia con molta prole).
Il grillismo, che si candida nella rappresentanza quantitativa ad essere il primo partito operaio d’Italia (come lo era il Pdl fino a poco tempo fa) con punte del 33 per cento di voto nelle zone ad alta concentrazione operaia non è però una risposta thactheriana al declino della società del lavoro. Rappresenta piuttosto un fermo immagine, le cui possibilità di evoluzione sono tutte da esplorare, di una vasta e controversa gamma di reazioni di un mondo del lavoro differenziato ed in declino al nuovo tentativo di rivoluzione conservatrice operato dall’Ue. Politicamente usa linguaggi del lavoro dipendente (il deputato come “dipendente”, appunto), da lavoro della partita Iva (la forma pattizia che ingabbia il lavoro in prestazioni determinate come la volontà di abolire il vincolo di mandato), da franchising (il ritiro dell’uso del marchio 5 stelle per gli incompatibili del movimento), da società del post lavoro (il referendum via web sull’euro dopo aver ripescato la categoria di telelavoro). Si tratta di un, per adesso efficace, sincretismo comunicativo: nel momento in cui si comporta da Péron, Grillo propone Stallman sul suo blog. Tenendo insieme potere patriarcale pastorale, ideologia dell’esplosione delle forze produttive, ma solo per le PMI, software e giochi linguistici dell’uscita dalla società del lavoro.
Un modello di cartello elettorale post-ideologico, generalista ma con spazio alle differenze, in grado di penetrare nei tessuti capillari della società perchè con questa è entrato in connessione. In grado di ricomporre ciò che nella rivoluzione conservatrice, a partire dalla Thatcher, è irricomponibile: lavoro ristrutturato, esodo volontario ed espulsione dal lavoro.
Quale futuro ci aspetta di fronte ad una prima forza politica del paese che ha queste caratteristiche?
Di sicuro l’evoluzione di questa forza politica sarà determinata anche dal tipo di Termidoro, efficace o meno, che la società italiana metterà in campo. Vedremo quali genere di forze reazionarie, a questo genere di fenomeno, usciranno dalla società italiana. Può prevalere la sua anima pastorale, quindi radicalizzare le proprie gerarchie sulla figura guida, come quella orizzontale e rizomatica. Al momento, niente è veramente scontato. Specie in assenza di movimenti che possono favorire spinte orizzontali lungo l’intera società al di fuori della politica istituzionale.
Certo, per scommettere su un’uscita dalla società del lavoro alla Gorz, quindi radicalmente a sinistra senza sincretismi post-ideologici, la strada va percorsa con inedita intelligenza ed efficacia. La strada di Marx, nella critica del diritto hegeliano, ci insegna però qualcosa che oggi appare insopportabilmente astratto ma in fondo realmente prezioso. Là dove la forma dell’idealismo, oggi rappresentato non dalla pura logica dialettica ma dallo spettacolo, si rivela vuota per ricomporre interessi irricomponibili si apre la strada per il materialismo storico. E di lì dalla teoria si passa alla pratica.
per Senza Soste, nique la police
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Francisco
Manca sempre da queste inattaccabili analisi il percorso del Grillo politico. Fino a un anno e mezzo fa circa il m5s s’attestava sotto il 3,5%/4%, una quota raggiunta con l’endorsement di Santoro del settembre 2010, dal programma di approfondimento politico più seguito e significativo nella TV generalista, che oscurò la FIOM a favore del m5s, con la cronaca e relativo comizio del Woodstock grillino. Poi, rimandendo circoscritto nel web fino appunto alla caduta di Berlusconi, non ebbe significative evoluzioni. Ma da lì le TV cominciarono a tifare per Grillo, questo credo sia innegabile visto lo spazio concessogli pur essendo un movimento alla pari di tante altre compagini politiche, e soprattutto alla possibilità di apparire in esse soltanto come comiziante e non come soggetto col quale interloquire, aggiungiamo la sua “disponibilità” a soli media extraterritoriali, certo sempre sotto forma di conduttore del confronto dialettico, padrone assoluto insomma di ciò che doveva trapelare dai suoi progetti… ammettiamo ch’è stato un crescendo in discesa favorito dai media di sistema, nostri e altrui.
Sarà tutto da scoprire in futuro quanto e perché il sistema ha scommesso su questo cavallo, altrimenti l’avrebbe relegato nel web per qualche lustro ancora. Chissà se Marx oggi non ci direbbe che prima di dissanguarci in tragici fallimenti sarebbe bene mettere le mani sulle TV, ancora per molto il più potente veicolo di propaganda politica, nonostante la “ricchezza” culturale della rete.