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Si apre la rissa nel pattuglione M5S in Parlamento

Il post di oggi pomeriggio dà la misura dellattacco di bile che ha colpito il comico genovese, alle prese con la prima vera crisi “politica” della sua creatura fin qui virtuale.

Le cariche alla Camera e al Senato sono archiviate, dureranno lo spazio di una legislatura che si annuncia breve. Il pdmenoelle ha giocato l’unica carta che gli è rimasta, quella della “foglia di fico“. Franceschini e la Finocchiaro erano indigeribili per chiunque, anche per gli iscritti. Boldrini e Grasso continuano così la linea già tracciata da Doria e Ambrosoli.
E’ fantastico! I parlamentari del pdmenoelle non riescono a esprimere un loro candidato. Non si fidano di sé stessi, soprattutto di sé stessi. Sanno di essere impresentabili e quindi devono presentare sempre qualcun altro. Per loro ci vuole un po’ di conservatorismo compassionevole.
Ora tocca ad altre due cariche, la presidenza del Consiglio e quella della Repubblica, fondamentale per il futuro dell’Italia. Il presidente della Repubblica rimane infatti in carica per sette anni (travalica le legislature) con poteri da monarca.
Il candidato di pdl e di parte (gran parte?) del pdmenoelle è Massimo D’Alema. Non è ufficiale e nemmeno ufficioso, ma è molto plausibile. Non ci credete? Non ci credevo neppure io. Super Maxipoteri a D’Alema?
L’articolo 87 della Costituzione dà al presidente il comando delle Forze armate, di presiedere il Consiglio Superiore della Magistratura (anche da articolo 104), di concedere la grazia e di commutare le pene. L’articolo 88 gli consente di sciogliere le Camere. Grazie all’articolo 90 non è responsabile di atti compiuti durante le sue funzioni, tranne che per alto tradimento o attentato alla Costituzione. Può eleggere cinque senatori a vita e alterare la volontà delle urne. Per l’articolo 92 nomina il presidente del Consiglio. In virtù dell’articolo 126 può sciogliere il Consiglio regionale e rimuovere il Presidente della Giunta. Può inoltre nominare un terzo della Corte Costituzionale (articolo 135). Infine, per l’articolo 278 a norma di codice penale è comparabile a un’entità ultraterrena “Chiunque offenda l’onore o il prestigio del Presidente della Repubblica è punito con la reclusione da uno a cinque anni“.
La candidatura di D’Alema sarebbe irricevibile dall’opinione pubblica. Un fiammifero in un pagliaio. Il Paese non reggerebbe a sette anni di inciucio. Un passo indietro preventivo e una smentita, anche indignata per le “voci infondate“, sarebbero graditi.

Che D’Alema possa diventare un presidente della Repubblica è quasi un incubo. Difficile trovare un “peggiore” nelle fila del Pd, dopo Napolitano. E quindi ci può stare anche bene che Grillo spari a zero pre “prevenire” una simile eventualità.
Ma è difficile non vedere nella sua rabbiosa reazione un riflesso “interno”. Ovvero il timore che in sede di voto
a canere riunite per l’elezione al Colle, si possa ripetere lo schema che lo ha stravolto al Senato. Magari solo perché il “competitor” di D’Alema potrebbe essere, dal punto di vista del Pdl, lo stesso Berlusconi. A quel punto, si riproporrebbe la situazione di “terzietà impossibile” già vista al Senato (Grasso contro Schifani). Nessun “grillino” perbene, tranne quelli in quota neonazisti (come affermato dall’avvocato di ultradestra Vincenzo Forte, che conta almeno quattro eletti presi direttamente dal Centro studi Polaris di Gabriele Adinolfi, il Movimento Zero di Massimo Fini ed il comitato Destra per Milano di Roberto Jonghi Lavarini), potrebe a quel punto far finta di non vedere il rischio mortale che correrebbe un’istituzione come la presidenza della Repubblica, già stressata oltre limite costituzionale dall’attuale inquilino.
Un altro incubo, con dei poveri neoassunti nelle due Camere costretti a scegliere tra la padella (D’Alema) e Berlusconi (la brace). Ovvio che si potrebbe restare neutrali in Parlamento, ma solo a costo di chiamare “le masse” ad assediare il Parlamento stesso. Ma sappiamo per esperienza, tanto quanto Grillo, che una cosa è gridare “arrendetevi, siete circondati”, altro è attendere – col bastone alla mano – che gli assdiati abbandonino davvero le loro postazioni. Se non lo fanno, bisogna “entrare dentro”. E non ci sembra sinceramente che sia nelle possibilità e nelle intenzioni del comico.

Ma torniamo ai tormenti del M5S. Dopo la “rivendicazione” da parte di alcuni senatori di aver votato Grasso, arrivano anche i “fedelissimi”, com’era scontato. Eccone uno.

«Definire “esempio dittatoriale” il post nel quale Beppe in modo duro (giustamente) invita al rispetto di alcune regole che abbiamo accettato liberamente è una stronzata megagalattica (scusate il turpiloquio ma a volte solo certe parole rendono l’idea)», scrive invece su Facebook il deputato M5S Alessandro Di Battista, a proposito della richiesta di Grillo di «trarre le dovute conseguenze» a chi ieri ha votato Grasso al Senato. «Le regole del codice comportamentale io le ho accettate perché le condivido, non per rimediare una poltrona – sottolinea Di Battista – Si può discutere sulle scelte che vengono prese, per carità (per questo rispetto il pianto dei nostri senatori, per me un pianto bellissimo) ma quel che non si può discutere nel 5 stelle è la sovranità popolare. Noi siamo portavoce e basta e i cittadini devono conoscere per filo e per segno quel che succede nelle Istituzioni».

State calmi. Sono passati solo due giorni dalla prima “chiamata” dentro le due Camere…

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