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Quando in Italia nacque il Pc: storia di un’anomalia

Il “genio italiano” non ha mai smesso di partorire figli orfani, per poi lasciarli per strada. Un esempio fra i tanti ci è offerto dal caso Olivetti: siamo negli anni ’60, negli Usa si fabbricano calcolatori grandi quanto una stanza.

Dopo il successo ottenuto nel 1959 con l’Elea 9003, il primo calcolatore italiano, realizzato dal Laboratorio di Ricerche Elettroniche con soluzioni d’avanguardia, alla Olivetti lo sviluppo dell’elettronica incontra impreviste difficoltà: la morte di Adriano Olivetti e, l’anno successivo, in un incidente stradale, anche quella Mario Tchou, il giovane e brillante ricercatore a capo del progetto Elea. La posizione finanziaria dell’azienda diventa più pesante; nel capitale sociale entrano nuovi azionisti (il cosiddetto “gruppo di intervento”) che per prima cosa decidono di disinvestire dall’elettronica e di cedere il 75% di questo settore alla General Electric.
Nonostante ciò, in un piccolo laboratorio della Olivetti nasce il primo personal computer portatile. Della larghezza di un attuale tablet, delle dimensioni di una macchina da scrivere, con la sua custodia. Da un team di ricercatori che dovevano lavorare con i vetri del laboratorio oscurati per non far vedere cosa facevano, nasce la Olivetti “Programma 101″, anno di grazia 1964; in quel momento l’azienda si stava per avviare verso il fallimento, dato che aveva puntato più sui sistemi di calcolo meccanici che non su quelli elettronici.

Con la “Programma 101″, però, durante un’esposizione internazionale a New York, persone da tutto il mondo notarono che si erano appena poste le premesse per un nuovo modo di concepire il computer, strumento fino ad allora relegato a ristretti ambiti del settore scientifico e militare, vista la difficoltà di utilizzo, le enormi dimensioni e i costi insormontabili per averne uno.

L’esposizione consacrò il nuovo strumento ma, visto l’anomalo funzionamento del capitalismo italiano, indietro anni luce a livello di ricerca scientifica e investimento in tecnologia, e l’assoluta mancanza di strategia rispetto ai propri interessi da parte della classe dominante italiana, il progetto non venne finanziato. Furono venduti migliaia di esemplari (prevalentemente all’estero) ma, appena Hp sviluppò una macchina simile, la HP 9100A, fu subito chiaro che la classe dominante americana non si sarebbe comportata in modo analogo a quella del Bel Paese. Hp pagò 900.000 dollari ad Olivetti come “compensazione” e, di lì a poco, negli Stati Uniti sarebbero spuntati il prototipo di Pc della Apple e quello della IBM. La Silicon Valley, quindi, non nacque a Pisa.

Questo documentario racconta la nascita del primo “pc” e, rispetto ai nostri giorni, conferma la tendenza del capitalismo e della classe dirigente italiana a non rinnovarsi, a lasciar morire quei progetti che pur gli sarebbero utili per far profitto.

Rispetto alla mancanza di investimenti per la ricerca, non possiamo non citare il ministro dell’istruzione italiano Guido Baccelli che, in un discorso al parlamento nel 1894, disse: “Gli insegnamenti sperimentali devono avere lo stretto necessario, non di più. Perchè vexatio dat intellectum”. Insomma, sottofinanziare la ricerca per liberare, citiamo sempre, la “creatività”.

Un degno emblema, non c’è che dire, del livello della classe dominante italiana.

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