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Conclusa la «Davos cinese», tra tensioni internazionali e difficoltà di decoupling

Ieri si è concluso il China Development Forum, definito da molti come la «Davos cinese». Inaugurato nel 2000 e svoltosi quest’anno dal 25 al 27 marzo, rappresenta uno degli appuntamenti annuali più rilevante di dibattito economico e confronto sulle opportunità di investimento tra operatori di tutto il mondo e le alte sfere cinesi.

Sono stati più di 100 i partecipanti, tra studiosi stranieri e rappresentanti di organizzazioni internazionali, nonché dirigenti delle più importanti multinazionali del mondo. Questi colossi economici hanno avuto un canale diretto di confronto col governo di Pechino, che era presente con più di 30 ufficiali apicali di vari ministeri e più di 20 esponenti di aziende statali.

Già il titolo di questo evento rimandava a nodi che i vertici cinesi hanno mostrato di avere a cuore da tempo: “Ripresa economica: opportunità e cooperazione”. La conferenza si è infatti concentrata sulle occasioni che la prevista espansione del mercato domestico cinese oggi torna ad offrire, ma anche sulla stabilizzazione delle filiere industriali globali e sulla transizione verde.

Lo stesso Xi Jinping, all’apertura delle sessioni domenicali, ha sottolineato che il mondo oggi è in un periodo di turbolenze e cambiamenti. Di contro, la Cina continuerà con la sua politica di apertura istituzionale, consenso e cooperazione. Il presidente cinese ha direttamente citato la Global Development Initiative, da lui proposta nel 2021 all’ONU e ricevendo ampio supporto da vari paesi.

La pace e lo sviluppo sono ancora le aspettative comuni delle persone di tutti i paesi” aveva detto alla conferenza stampa del 20 marzo Zhang Laiming, uno dei vicedirettori del centro di ricerca che organizza l’evento. Egli si era mostrato inoltre preoccupato anche dei tanti fenomeni che stanno segnando la fine dell’epoca della globalizzazione.

Quest’anno sono state anche le tante tensioni internazionali che hanno portato diversi sguardi a posarsi su questo appuntamento. Tensioni che derivano sia dal braccio di ferro di Washington su Taiwan come dalla competizione tecnologica sui semiconduttori, sia dalla fine della politica «zero-Covid», con effetti annessi.

In molti avevano previsto che i membri delle corporations statunitensi avrebbero tenuto un basso profilo. Eppure, la lista degli invitati (tra cui Kissinger) rendeva impossibile non aspettarsi qualche messaggio di portata internazionale: Ray Dailio, fondatore della Bridgewater Associates, gli amministratori delegati della Pfizer, della Johnson&Johnson e, soprattutto, quello della Apple.

Tim Cook è infatti comparso a sorpresa il 24 marzo all’Apple Store di Sanlitun, centro dello shopping di Pechino. Poi, proprio da Cook è arrivato un commento di certo significativo: “Apple e la Cina sono in un rapporto di simbiosi che ritengo apprezzato da entrambi”. Dopo le manovre per diversificare la produzione, non sono parole di poco conto.

Non bisogna scambiare queste dichiarazioni come un segno di distensione tra gli USA e il Dragone. Piuttosto, sono il segnale di come il processo di decoupling, cioè di rilocalizzazione delle produzioni, non possa portare, almeno non nel breve periodo, a una completa rottura dei legami tra Stati Uniti e Cina e alla formazione di blocchi contrapposti.

È vero che nella seconda metà del 2022 gli Investimenti Diretti Esteri (IDE) statunitensi in Cina sono passati al minimo storico da 18 anni. Ma la deglobalizzazione procede più lentamente di quello che si potrebbe immaginare dalle dichiarazioni. E soprattutto, si sta producendo una frammentazione del mercato globale seguendo legami politici più che prettamente economici.

Interessante poi vedere quali settori ancora spingano con forza sul rapporto con Pechino. A co-presiedere il Forum è stato Oliver Bäte, CEO della tedesca Allianz, la più grande compagnia di assicurazioni e società di gestione patrimoniale del mondo. Egli ha detto “la comunità internazionale ha bisogno della Cina più che mai”.

La motivazione è presto spiegata. Bäte ha sottolineato che centinaia di milioni di cinesi sono usciti dalla povertà e sono diventati una classe media in crescita. In maniera nemmeno troppo velata, l’amministratore delegato ha posto gli occhi sui risparmi e sulle assicurazioni dei cinesi.

Il China Development Forum si è concluso segnando il fatto che lo scontro tra USA e Cina continua strisciante, con continue provocazioni della Casa Bianca, ma pur sempre senza poter ad ora sfociare in aperta battaglia. Questo perché la globalizzazione ha creato una configurazione che non si può rompere da un giorno all’altro.

Ma a forza di tirare la corda le cose possono sfuggire di mano…

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