L’Unione Europea è un progetto mal pensato, mal calibrato, “stupido” nei presupposti e e negli obiettivi. Favorisce soltanto i paesi più forti capitalisticamente, si dice spesso. Ma a ben vedere neanche questi, sul lungo periodo. Ha favorito alla grande il capitale finanziario, e si sapeva; ed anche il capitale multinazionale in genere. Ma non “i paesi”, l’insieme di persone, ceti sociali, meccanismo, strutture, culture, modi di vivere.
Non siamo soltanto noi a dirlo. E non è affatto un “discorso di destra” (come stupidamente persino qualche “ultrasinistro” abbacinato la pensiero unico continua a ripetere meccanicamente). E’ una riflessione che attraversa ormai l’intero continente, attecchisce in ambito accademico, anima il dibattito politico. Anche in Francia, dove si cominciano a fare i conti con una realtà che non corrisponde più alle promesse.
*****
La permanenza dentro l’euro di Francia e Germania è insostenibile e potrà solo essere la fonte di nuove crisi. La soluzione è un’uscita, che è fonte di incertezze, ma gestibile. Appello ai leader francesi e tedeschi di Jean-Jacques Rosa, Jean-Pierre Vespérini, e un gruppo di economisti europei*
L’economia francese sta soffrendo gli stessi problemi dei paesi del sud d’Europa (Italia, Spagna, Portogallo e Grecia): crescita debole o nulla, aumento della disoccupazione, debito pubblico in continuo aumento. L’esperienza dei paesi del sud d’Europa dimostra che la politica di austerità in cui la Francia si è impegnata, lungi dall’essere la soluzione di questi problemi, li aggrava.
Come sottolineato dal capo economista dell’organizzazione di studi internazionali Markit, “il profilo della Francia assomiglia sempre di più a quello del malato d’Europa”. A dicembre 2013 l’attività economica ha registrato il suo settimo mese consecutivo di declino. L’aumento delle imposte di 32 miliardi di euro, realizzato dal governo francese nel 2012 e nel 2013, ha ridotto il deficit pubblico di soli 8 miliardi di euro. Ma allo stesso tempo questo aumento ha ostacolato la ripresa, di modo che non c’è stata alcuna crescita nel 2013, e di conseguenza la disoccupazione, che già nel primo trimestre del 2012, poco prima dell’elezione di François Hollande alla presidenza della Repubblica, coinvolgeva il 9,5% della forza lavoro, nel terzo trimestre del 2013 ha raggiunto il 10,5%. Per giunta, non si è riusciti ad impedire che il debito pubblico aumentasse dall’89% del PIL del primo trimestre 2012 al 93,4% del terzo trimestre 2013.
Le politiche di austerità hanno portato il paese all’impasse
Il perseguimento di queste politiche ha penalizzato la Francia, ma penalizza allo stesso modo gli altri paesi europei, riducendone i margini di manovra. Per questo motivo, nel proprio interesse, ma anche nell’interesse degli altri paesi europei, la Francia dovrebbe abbandonare tali politiche.
I mali che affliggono la Francia e i paesi del sud dell’Europa sono gli stessi perché la loro causa è la stessa: derivano dal fatto che, dopo poco meno di quindici anni di esistenza, l’euro ha portato ad un sistema di tassi di cambio totalmente inadeguato alla situazione economica dei paesi europei.
Tassi di cambio interni verso la Germania: virtuali, sì, ma sopravvalutati
In effetti i tassi di cambio della Francia e dei paesi del sud verso la Germania, che sebbene siano virtuali, tuttavia esistono eccome, sono assolutamente sopravvalutati nella misura in cui in questi paesi i salari sono aumentati più rapidamente, e la produttività del lavoro meno rapidamente, che in Germania, mentre invece, nel contesto dell’euro, i tassi di cambio tra questi paesi e la Germania sono rimasti per definizione immutabili fin dalla creazione della moneta unica. Da qui hanno origine i deficit di questi paesi nei confronti della Germania.
Verso l’estero: un tasso di cambio dell’euro troppo debole per la Germania, troppo forte per la Francia
D’altra parte, i tassi di cambio della Francia e dei paesi del sud sono sopravvalutati anche verso le valute estere extra-EZ (dollaro, yen) e viceversa quelli della Germania sono sottovalutati. La spiegazione di questi squilibri è che il tasso di cambio dell’euro è fissato in funzione del saldo estero complessivo di tutta la zona euro. Ma questo saldo estero comprende l’importante eccedenza della Germania e i deficit o i piccoli surplus degli altri paesi dell’eurozona rispetto ai paesi extra-EZ.
È questo il motivo per cui il tasso di cambio dell’euro è troppo debole per la Germania e troppo forte per la Francia e per i paesi del sud. Le economie della Francia e dei paesi del sud sono bloccate nel seguente dilemma: o andare avanti col loro ritmo di crescita potenziale e di conseguenza andare incontro a squilibri esterni a causa della sopravvalutazione del loro tasso di cambio, oppure essere costretti a sopportare le politiche di austerità per ridurre artificialmente le loro importazioni allo scopo di eliminare i loro squilibri esterni.
La stessa prosperità della Germania è minacciata
A confronto con la Francia e con i paesi del sud, la situazione economica tedesca appare alquanto soddisfacente. Eppure la prosperità della Germania è essa stessa minacciata, per diverse ragioni, nel sistema dell’euro.
In primo luogo, la Germania non ha alcun interesse a vedere il resto dell’eurozona sprofondare nella depressione economica. Nel 2007 le esportazioni tedesche verso gli altri paesi dell’eurozona ammontavano a 432 miliardi di euro, mentre cinque anni più tardi erano calate del 9% e ammontavano a non più di 393 miliardi di euro.
In Francia si aggrava il rischio-deflazione
In secondo luogo, l’adozione dell’euro è stata la causa di una divergenza crescente nel ciclo economico della Germania da un lato, e della Francia e dei paesi del sud dall’altro. Questa divergenza dovrebbe giustificare delle politiche monetarie opposte da una parte e dall’altra, mentre la partecipazione alla moneta unica obbliga tutti i paesi a perseguire la stessa politica, aggravando così la divergenza tra le congiunture dei diversi paesi. In altre parole, la politica monetaria comune aggrava la tendenza alla deflazione in Francia e nei paesi del sud, mentre accresce le tensioni inflazionistiche in Germania. Tutto ciò non può che accentuare la discordia tra la Germania e gli altri paesi.
Le richieste alla Germania vanno contro le preferenze della sua popolazione
In terzo luogo, il contrasto tra la crescita tedesca e la stagnazione francese e meridionale spinge la Francia e gli altri paesi a richiedere un cambiamento delle politiche tedesche per ridurre le disparità di performance. Ma le misure richieste alla Germania (aumenti dei salari, sostegno ai consumi e riduzione del risparmio) vanno contro le preferenze e le priorità della popolazione tedesca.
In quarto luogo, l’euro non può fare altro che condurre a nuove crisi future a causa della rigidità del cambio che instaura all’interno dell’eurozona. Le crisi non possono essere risolte che in due modi: o mediante politiche di trasferimenti fiscali, per le quali la Germania dovrebbe rinunciare ai suoi principi sulla gestione di bilancio e concedere, in ultima istanza, un default parziale sui debiti degli altri paesi; o in alternativa mediante un intervento massiccio della BCE, che dovrebbe lanciarsi in una politica di “quantitative easing” e mettere in circolazione un eccesso di liquidità nella zona euro, il che sarebbe nuovamente in contraddizione con le preferenze della Germania.
La moneta unica: un ostacolo alla coesione dell’Europa
In breve, l’euro è stato per troppo tempo una moneta troppo forte per la Francia e i paesi del sud, e troppo debole per la Germania. I tassi d’interesse della BCE rimangono troppo forti per la Francia e i paesi del sud e troppo deboli per la Germania. Ciò significa che la moneta unica è stata un errore, e che costituisce un ostacolo che si oppone all’unione e alla coesione dell’Europa. Crea discordia anziché integrazione all’interno del continente, e indebolisce l’economia complessiva dell’Europa, anziché rinforzarla. Le politiche che erano mirate a sostenere l’eurozona hanno portato a creare livelli d’indebitamento insostenibili, così come alla pericolosa prospettiva di una futura eccessiva creazione di liquidità.
La Germania e la Francia dovrebbero annunciare la loro uscita contemporaneamente
Questo dilemma non può essere risolto che con una segmentazione controllata dell’eurozona. Ma ciò deve essere fatto con uno spirito positivo volto a rilanciare l’ideale europeo, e non come un ritorno disperato ai chiusi nazionalismi del passato. L’iniziativa deve venire dai paesi che costituiscono il cuore economico e politico dell’Unione e che sono, per i loro rispettivi ruoli, maggiormente in grado di rinnovare l’ideale europeo in una prospettiva creativa. Si tratta della Germania, che ha l’economia più forte del continente, e della Francia, paese all’origine politica dell’unificazione europea. La strategia che riteniamo abbia le maggiori probabilità di preservare i risultati più positivi dell’integrazione europea consisterebbe in un accordo in base al quale i due paesi annuncerebbero contemporaneamente la loro uscita dall’euro e il ritorno alle rispettive monete nazionali.
La conseguenza immediata sarebbe indubbiamente una rivalutazione della moneta tedesca rispetto all’euro e un deprezzamento della moneta francese a confronto con la moneta tedesca. Gli altri paesi membri dell’eurozona dovranno, da parte loro, decidere se continuare inizialmente ad utilizzare come moneta comune l’euro nella sua forma ridotta, oppure seguire la Germania e la Francia nel ritorno alle loro vecchie monete nazionali. Potrebbero anche eventualmente considerare di adottare una politica di cambio fisso rispetto alla moneta francese o a quella tedesca. In ogni caso, si tratterebbe di muoversi verso un miglioramento della competitività di prezzo delle loro economie.
Un periodo, gestibile, d’incertezza monetaria
Allo stesso tempo Francia e Germania dovranno mettere in atto dei provvedimenti transitori per garantire la stabilità dei loro sistemi bancari e dovranno iniziare dei negoziati con la BCE e gli altri governi dell’eurozona per la gestione dei debiti denominati in euro, anche nel caso di uscita dall’euro da parte di tutti gli attuali Stati membri.
Un periodo d’incertezza monetaria appare inevitabile. Ma sarà gestibile e senza grossi pericoli, in confronto all’impasse economica e politica nella quale l’eurozona si trova adesso così profondamente impantanata.
*
João Ferreira do Amaral – Professore emerito di Economia e di Politica Economica all’Università di Lisbona. Ex-consigliere del Presidente della Repubblica del Portogallo.
Brigitte Granville – Prof.ssa alla Queen Mary University di Londra, dove è direttore del Centre for Globalization Research.
Hans-Olaf Henkel – Ex-Presidente della Federazione dell’Industria Tedesca (l’equivalente della nostra Confindustria, ndt). Prof. all’Università di Mannheim.
Peter Oppenheimer – “Emeritus Student” (membro ritirato) alla Christ Church, Università di Oxford, Regno Unito.
Jean Jacques Rosa – Professore emerito di Economia e Finanza al Sciences Po di Parigi. Ex-membro del Consiglio di Analisi Economica del primo ministro.
Antoni Soy – Professore all’Università di Barcellona, Spagna. Ex-Ministro dell’Industria e dell’Impresa del governo della Catalogna.
Jean-Pierre Vesperini – Professore aggregato alla Facoltà di Diritto e di Scienze Economiche. Ex-membro del Consiglio di Analisi Economica del primo ministro.
Gli autori sono tutti firmatari del Manifesto Europeo di Solidarietà – http://www.european-solidarity.eu/ – una soluzione possibile e alternativa alla crisi dell’eurozona.
da http://vocidallestero.blogspot.it/
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa