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Un governo da combattere, con un occhio alle trappole

Conoscere il nemico è la precondizione per combatterlo efficacemente e quindi avere una possibilità di vittoria anche partendo da condizioni di svantaggio enormi, come mai prima.

E’ con questa consapevolezza metodologica che bisogna guardare al nuovo governo grillin-leghista, che di fatto azzera la vecchia “classe politica”. Una tentazione che va evitata come la peste è pensare che sia fatto solo di deficienti-ignoranti (che pure non scarseggiano…), incapaci di elaborare una strategia vincente. Intanto perché hanno vinto, fin qui. Dunque, nemici odiosi sì, ma proprio fessi non sono.

Certo, fare opposizione gridando e strepitando è più facile che governare un paese grande e complicato. Ma non scommetteremmo – come fa il Pd e il sistema mediatico più legato all’establishment – in una rapida disfatta di un’alleanza fondata su interessi, prima che su “valori”.

Per non cadere, debbono avere una strategia. E quella sommariamente esposta dall’economista Giulio Sapelli – quello che per un giorno era stato indicato addirittura come primo ministro – è abbastanza chiara.

Il punto di partenza è una presa d’atto: “nessuno dei punti qualificanti del governo Conte può reggersi con i vincoli di bilancio eurocratici esistenti, che debbono essere superati per creare crescita”. Proprio come spiegano ogni giorno Corriere, Repubblica, Sole24Ore, ecc. Dov’è allora la differenza nelle conseguenze pratiche? Nel fatto che Sapelli (e il governo) puntano esplicitamente a violare alcuni vincoli “eurocratici” per potersi garantire le risorse per investimenti pubblici, senza i quali ogni ipotesi di crescita economica sarebbe un sogno anche in tempi non critici.

E questi sono tempi, invece, in cui i “cigni neri” – eventi con un forte impatto sistemico, ma assolutamente sorprendenti – si vanno moltiplicando all’orizzonte senza che nessuno, in questo paese, sembri preoccuparsene. Un breve elenco per capirne la portata: il prezzo del petrolio in forte e continuo rialzo, rischio di guerra commerciale USA-UE, aumento dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve (con conseguente aumento del differenziale tra i tassi applicati dalla BCE rispetto alla FED), fine del quantitative easing della BCE (con effetti sui titoli di stato e le sofferenze bancarie), uscita della Gran Bretagna dal Mercato Unico Europeo senza un accordo complessivo, ecc.

Ognuno di questi eventi in gestazione ha da solo la forza per scuotere l’edificio europeo, fin qui costruito ignorando volutamente il consenso popolare, visto semmai come un elemento di disturbo (W. Schaeuble: “non si può assolutamente permettere ad un’elezione di cambiare nulla. Perché abbiamo elezioni ogni giorno, siamo in 19, se ogni volta che c’è una elezione e qualcosa è cambiato, i contratti tra noi non significherebbero nulla”). Peggio ancora, ognuno di questi eventi metterebbe in moto alcuni o tutti gli altri, oltre a quelli fin qui neanche ipotizzati.

La strategia consigliata da Sapelli per affrontare le possibili tempeste è a suo modo classica, al di là dei termini usati: impugnare subito la bandiera di un “patriottismo laburista”. Ovvero un mix di nazionalismo economico e recupero di un “patto sociale” che coinvolga almeno parte dei lavoratori dipendenti. Contando sul fatto che la ex sedicente “sinistra” si è autocondannata a morte identificandosi con l’Unione Europea, dipinta per un ventennio come il paradiso liberale che ci avrebbe liberato delle vecchie tare nazionali (Berlusconi, corruzione, menefreghismo, evasione fiscale, furbizie idiote, ecc) e che invece si è dimostrata un sistema malfunzionante, al servizio dei paesi e delle multinazionali più forti, creatrice di disuguaglianze crescenti, impoverimento di massa, distruzione del welfare.

Nulla di nuovo, anche se forse sorprendente per chi ha una visione solo ideologica del fascismo, che invece ebbe il suo momento di gloria – e non solo in Italia e Germania – distruggendo militarmente il movimento operaio organizzato e “comprando” il consenso popolare necessario a far funzionare una macchina dell’accumulazione altrimenti troppo debole in confronto ai competitori europei. Qui di manganellatori non ce n’è quasi più bisogno (“la sinistra” lo fa da sola…), ma il secondo elemento va messo in campo lo stesso.

Al di là delle sparate propagandistiche, insomma, gli interessi sociali dominanti nell’alleanza grillin-leghista sono quelli della piccola e media impresa, quella che ha il suo business – e dunque l’orizzonte – quasi completamente nel mercato interno. Un settore che ha chiesto per decenni, ottenendoli, incentivi, smantellamento del mercato del lavoro e delle garanzie legali, contratti precari e temporanei, deflazione salariale. Ma che a un certo punto ha “scoperto” (come i reazionari quando il sasso sollevato cade loro sui piedi) di non avere quasi più un mercato su cui vendere la propria produzione. E dunque rincula, cercando una formula capace di barattare – alle proprie condizioni, ovvio – qualche margine di salario in più con il consenso a un nuovo modello politico-sociale. In cui, fra l’altro, il ruolo di esercito salariale di riserva eliminabile nelle fasi di “bassa crescita” è svolto dai lavoratori migranti.

La strategia sapelliana conta soprattutto sulla divaricazione crescente tra Stati Uniti e Germania (di conseguenza, tutta la Ue), che consentirebbe a questo governo di giocare spregiudicatamente su due tavoli: come fedelissimo membro della Nato punterebbe ad ottenere condizioni di maggior vantaggio nella ridiscussione dei trattati dell’Unione. Non è insensato, in astratto, ma certo il margine di rischio è per un verso amplissimo (gli Usa di Trump vogliono trattare con ogni paese separatamente, per massimizzare i propri interessi, e non è detto che l’Italietta grillin-leghista possa spuntare condizioni migliori); per l’altro è un bastone negli ingranaggi già sofferenti dell’Unione a trazione tedesca.

Sottolineiamo questi dati per avvertire che non sarà possibile fare un’opposizione vincente a questo governo se ci si limita solo a condannarne i tratti più apertamente fascisti, razzisti, ecc. Questi tratti, purtroppo, non sono più percepiti come un problema repellente da buona parte della popolazione, compresa una larga fascia del nostro stesso blocco sociale. E’ gravissimo, ma è così. Meglio saperlo…

E tantomeno sarà vincente un’opposizione – tipo quella sceneggiata da LeU e Pd – incentrata su un mix di chiacchiere finto-antifasciste e critiche sulla “tenuta dei conti”, in perfetto stile brussellese, con effetti involontaramente comici (quanti voti si potranno recuperare opponendosi alla “riforma della Fornero” in nome del pareggio di bilancio?). Sarebbe insomma da pazzi schierarsi con il grande capitale finanziario e multinazionale nell’illusione di combattere meglio quello più sfigato di casa nostra (la brace o la padella non sono mai una vera alternativa).

La strada della costruzione di un’opposizione sociale vincente, quella che comincerà a mostrarsi il 16 giugno in piazza a Roma, si dovrà misurare sugli atti di questo governo. Che dovrà fare alcune cose molto simboliche (“ritoccare” la Fornero, attenuare qualche norma del Jobs Act, ridurre qualche cartella esattoriale, estendere il reddito di inclusione, fissare una soglia – bassa – per il salario orario minimo, ecc) per darsi una sverniciata di “labourismo”. E quindi sarà decisivo saper entrare nel merito, sbugiardare nei dettagli ogni singola misura, segnalare il vantaggio abissale concesso ancora una volta alle imprese e ai più ricchi (la flat tax, per cominciare) mentre giusto qualche briciola viene data in pasto ai gonzi.

Sarà durissima e richiederà un enorme lavoro sociale, tra la nostra gente, sui problemi concreti (casa, reddito, pensioni, sanità, lavoro, scuola e università, ecc). Ma non ci sono scorciatoie. Ci potranno essere gli effetti di qualche “cigno nero”, che spesso aprono crepe vistose anche nei muri apparentemente più solidi. E bisognerà saper cogliere quelle occasioni.

#primaglisfruttati

 

Qui di seguito l’articolo di Sapelli, apparso su www.ilsussidiario.net.

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GOVERNO CONTE/ I patti e le mosse per sostituire una sinistra che non c’è più

L’unica speranza di sopravvivenza che questo governo possiede è quella di impugnare subito la bandiera di un “patriottismo laburista”. A patto di fare le mosse giuste.

GIULIO SAPELLI

E’ bene dire sin da subito che l’unica speranza di sopravvivenza che questo governo possiede è quella di impugnare sin dall’inizio la bandiera di ciò che potremmo chiamare un “patriottismo laburista”. Ossia di iniziare con una “mossa del cavallo”. Ne parlava Viktor Borisovic Šklovskij, indimenticabile intellettuale del formalismo russo falcidiato da Stalin. Muoversi con “la mossa del cavallo” è agire su due fronti, nel nostro caso interno e internazionale, provocando quella dissonanza cognitiva che ti fa vincere ogni partita di scacchi e quindi anche ogni battaglia politica.

Il nuovo governo sin da subito deve iniziare la negoziazione dei trattati europei. La Francia si è fatta avanti con la telefonata di Macron a Conte. Una mossa anti-tedesca: certamente non bisogna però farsi illusioni e saper sempre che la Francia ha mire annessionistiche sull’Italia in campo economico, come dimostra la storia recente e recentissima.

Ma il governo ha un alleato prezioso contro l’austerity teutonica dell’ordoliberalismo. Gli Usa prima di tutto, non lo si dimentichi mai. L’Alleanza atlantica è l’architrave della politica italiana e deve rimanerlo, agendo con intelligenza, come sempre storicamente si è fatto, per conservare tuttavia una sorta di limitata autonomia nei rapporti con la Russia al di là delle attuali, transitorie, posizioni americane, seguitando, così, con la politica estera che si perseguiva nella Guerra fredda, anche nei momenti più bui come la guerra del Vietnam e il conflitto tra Israele e le organizzazioni palestinesi e come si sta oggi verificando con la posizione degli Usa su Gerusalemme. Va poi considerato che non vi è mai stato un punto di flessione così acuto nelle relazioni tra Usa e Germania come si sta in questi mesi verificando, a partire dal dieselgate per finire con il confronto sui dazi e e sul commercio estero in corso a livello mondiale.

L’Italia può e deve dire la sua con due esponenti di spicco come Savona e Moavero Milanesi proprio sui temi che interessano in primo luogo i tedeschi e i francesi. Roma deve parlare a voce chiara e distinta con la cancelliere Merkel e la figura oggi più importante della politica tedesca: il ministro degli Interni Horst Seehofer, capo storico della Csu. Rinegoziare il Fiscal compact, che non è nei trattati ma nei regolamenti, è possibile e si deve farlo subito, iniziando con contatti continui con Germania e Francia.

Le ragioni sono evidenti. Nessun punto del programma “socialdemocratico” del governo Conte — eliminazione della legge Fornero, reddito di cittadinanza imperniato sull’agenzia del lavoro per far incontrare domanda e offerta e sulla qualificazione dei precari e dei disoccupati con offerte di lavoro non rifiutabili, riformulazione del carico fiscale con flat tax per le imprese e mantenimento della progressività dell’imposta sui redditi da lavoro (questa, per inciso, è la mia posizione sul tema: la difesa della nuova borghesia nazionale imperniata sull’impresa artigiana e piccola e media e del suo proletariato che vive l’impresa come comunità è il compito essenziale) — ebbene, nessuno dei punti qualificanti del governo Conte può reggersi con i vincoli di bilancio eurocratici esistenti, che debbono essere superati per creare crescita.

E’ e sarà una lotta con il tempo e l’arte della mediazione. La crescita può essere garantita, come ha affermato da sempre Pierluigi Ciocca, solo da una ripresa degli investimenti pubblici e privati, dall’edilizia alle nuove tecnologie. Non bisogna aver paura del progresso tecnico: è solo da esso che verrà l’occupazione sana, fondata sull’aumento dello stock di capitale e sulla ripresa della domanda interna, non dall’helicopter money e da vergognosi sgravi fiscali a pioggia.

Un’economia solo export lead ci uccide, noi e l’Europa.

E’ questo l’asse di intervento che ci consente di sopportare un aumento del debito come hanno fatto sempre Francia, Germania e Spagna nei momenti di flessione del ciclo, senza preoccupare l’oligopolio finanziario internazionale che già ha dimostrato di apprezzare positivamente più la stabilità politica dell’austerity, che è ormai vista come un peste anche dalle cuspidi finanziarie che sanno che la deflazione è la morte dei profitti.

Così si potrà costruire una rete di alleanze per superare il Trattato di Dublino e instaurare una politica dell’accoglienza dei migranti fondata sempre sulla misericordia ma nel contempo sull’assunzione, anzi, la riassunzione da parte dello Stato e nello Stato, delle politiche di sostenibilità migratoria. E’ questo che chiamo un “patriottismo laburista” che può unire e non dividere le due anime del governo, ferme restando le differenze strutturali nella meccanica dei partiti e dei movimenti.

 

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