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Legambiente, il PD e il grande affare dell’ecologia

Legambiente fa business con l’ecologia. I dubbi degli esperti: “E’ una onlus”

La principale organizzazione ambientalista italiana ha quote in alcune società, come Azzero CO2 che investe sulle fonti rinnovabili grazie anche agli incentivi pubblici e ha come clienti alcuni colossi dell’energia. Oltre ai potenziali conflitti di interesse, c’è il rischio di incompatibilità tra affari e settore non profit di utilità sociale. La replica dell’associazione: “Il nostro impegno concreto è utile a indirizzare le scelte industriali e ambientali del Paese”

di Luigi Franco | 10 giugno 2014

Oltre 115mila tra iscritti e sostenitori. Più di 3mila giovani che partecipano ai suoi campi di volontariato. Tante iniziative a difesa di natura e territorio. Ma Legambiente non è solo questo: la più importante e influente organizzazione ambientalista italiana fa anche business. Su che cosa? Su ambiente e fonti rinnovabili, con tanto di potenziali conflitti di interesse. Ma non solo, perché Legambiente è una onlus, un’organizzazione non lucrativa di utilità sociale. E secondo gli esperti interpellati da ilfattoquotidiano.it, il docente di Diritto commerciale all’Università degli Studi di Milano Ugo Minneci e il consulente su legislazione e fiscalità degli enti non profit Carlo Mazzini, “una onlus non potrebbe detenere partecipazioni in grado di garantirle il controllo di società di capitali, pena la perdita dello status stesso di onlus e delle conseguenti agevolazioni fiscali”. Senza contare che quando non è la stessa Legambiente a fare impresa, ci pensano diversi suoi dirigenti e consiglieri nazionali ad aggiungere al loro ruolo di ambientalisti quello di imprenditori.

Azzerare la CO2? Con la srl è meglio
Per combattere il surriscaldamento globale la soluzione è una: limitare le emissioni di anidride carbonica. Dall’enunciare un sacrosanto principio ambientalista a farci sopra affari il passo è breve. Tanto che il principale braccio operativo di Legambiente si chiama proprio Azzero CO2, una srl con 119mila euro di capitale sociale che offre diversi servizi, dalla consulenza in ambito energetico alla progettazione e realizzazione di impianti che sfruttano fonti rinnovabili. Il business tira, grazie anche a clienti come il colosso Enel, Edison e Sorgenia, tutti attivi nel settore energia.

Legambiente possiede direttamente il 36% della società, mentre il 15% è in mano alla fondazioneLegambiente Innovazione, che per l’associazione si occupa dei premi alle imprese che sviluppano prodotti innovativi dal punto di vista della sostenibilità ambientale. Gli altri due soci sono il circolo di Legambiente ‘Festambiente’ (9%) e l’associazione Kyoto Club (40%), anch’essi legati alla onlus ambientalista. I circoli, nello statuto, sono infatti definiti “organi decentrati di Legambiente”. Kyoto club invece è un’organizzazione non profit presieduta dal neo presidente di Terna Catia Bastioli che tra i propri soci ha la stessa Legambiente insieme a molte società che operano nel settore dell’energia e alle industrie dell’eolico che fanno parte dell’Anev (Associazione nazionale energia del vento). Tra i suoi scopi, si legge sul sito, c’è quello di “stimolare proposte e politiche di intervento mirate e incisive nel settore energetico-ambientale”. Fare lobby, insomma, con il supporto di Legambiente, che in Kyoto club può contare sul vice presidente Francesco Ferrante, membro del direttivo dell’organizzazione verde ed ex parlamentare del Pd.

Il ruolo di Legambiente nella gestione di Azzero CO2 è evidente: tutti i vertici della società fanno parte anche degli organismi dirigenti della onlus che, va detto, contano più di 400 persone. Il presidente di Azzero CO2 Giuseppe Gamba è un membro della presidenza del comitato scientifico di Legambiente, l’amministratore delegato Mario Gamberale è nel consiglio nazionale, mentre il consigliere della srl Sandro Scollato è nel direttivo nazionale e ha sostituito poco più di un mese fa un altro dirigente di Legambiente, Mario Zambrini. E gli altri due consiglieri di amministrazione?Edoardo Zanchini è il vice presidente della onlus, mentre Andrea Poggio ne è il vice direttore generale. Azzero CO2, insomma, è una diretta emanazione di Legambiente.

Niente che l’organizzazione ambientalista abbia mai tenuto nascosto. Anzi ne ha sempre fatto una ragione di vanto, visto che secondo i vertici con il business bisogna sporcarsi le mani perindirizzare le scelte industriali e ambientali del Paese. Il vice presidente Zanchini, che per Legambiente è anche responsabile del settore Energia, spiega infatti: ”Quando qualche anni fa abbiamo creato Azzero CO2, l’idea era quella di promuove il settore dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili. Se dobbiamo cambiare il mondo una parte di questo sforzo dobbiamo farla anche noi. Ad Azzero CO2 diamo un mandato preciso, di fare campagne che altrimenti non farebbe nessun altro, come quella per la sostituzione di coperture di amianto con il fotovoltaico. Il nostro obiettivo è fare gli interessi del Paese andando nella direzione delle rinnovabili, non far guadagnare Azzero CO2″. 

Ma c’è un rischio. Se da un lato si partecipa alla definizione delle leggi come maggiore associazione ambientalista italiana e dall’altro lato si fa impresa, per esempio grazie agli incentivialle fonti rinnovabili, si cade nel più classico dei conflitti di interesse. E si finisce per essere accusati da altre associazioni ambientaliste, come Italia Nostra, di essere “una potente lobby con solidi legami con il mondo economico e con il mondo politico”. Del resto Legambiente ha radici ben piantate nel Pd, soprattutto negli Ecodem del suo presidente onorario Ermete Realacci, e fronde che crescono veloci nella nuova formazione Green Italia. Mentre diverse industrie, alcune del settore energia, sono state spesso generose a garantire alla onlus sponsorizzazioni e partnership.

Dirigenti della onlus in prima linea 
Se non è Legambiente a fare affari attraverso Azzero CO2, a farli, o almeno a provarci, sono diversi suoi dirigenti attraverso altre società. Come nel caso del consigliere nazionale dell’associazione ambientalista Lorenzo Partesotti, che con la sua Solaris negli anni scorsi si è speso invano per la costruzione di un impianto eolico su monte dei Cucchi, sull’Appennino Bolognese. Chi realizzò lo studio di impatto ambientale favorevole al progetto, in quel caso? Ambiente italia, una srl che fino a poco più di un mese fa era socia di Azzero CO2, prima di essere sostituita dal circolo di Grosseto Festambiente. Ambiente Italia è una srl fondata tra gli altri da Realacci, che ha partecipato anche alla nascita del Kyoto club. Realacci a un certo punto ne è uscito, ma tra i proprietari di Ambiente Italia ci sono ancora ben cinque membri del vertice nazionale di Legambiente: Giulio Conte, Duccio Bianchi, Marina Alberti, Maria Berrini e ancora una volta Mario Zambrini, che oltre a essere socio è anche amministratore unico della società. E che cosa fa Ambiente Italia? Oltre a studi di impatto ambientale per la costruzione di impianti eolici per clienti come Agsm e Sorgenia, offre servizi di consulenza al gruppo Salini costruzioni e al colosso del cemento Colacem.

Zanchini in tutto ciò non vede alcun problema: “Siamo felici che ci sia contaminazione nel gruppo dirigente di Legambiente – spiega -. Ci sono persone che magari non la pensano come noi, lontane da noi, ma che sono interessate ai nostri temi e ai nostri obiettivi. Così facciamo in modo che facciano parte del gruppo dirigente. Noi cerchiamo di spingere in certe direzioni di cambiamento e quindi coinvolgiamo esplicitamente anche gli imprenditori”.

Ma così quelli che dovrebbero essere i soggetti controllati dagli ambientalisti finiscono per essere i clienti dei vertici della principale associazione ambientalista o, attraverso Azzero CO2, dell’associazione stessa. E gli affari vanno pure bene. Azzero CO2 nel 2013 ha realizzato ricavi per 4,6 milioni di euro e un utile di 34mila euro, limitando le conseguenze della crisi e del taglio degli incentivi sui 6,4 milioni di ricavi e i 136mila euro di utili registrati nel 2012. Ambiente Italia ha incassato nel 2012 2,1 milioni, con un utile di 129mila euro.

Un sistema di società che fa business sull’ambiente 
Le ramificazioni che partono da Legambiente vanno oltre Azzero CO2. Che infatti possiede al 100% la società di servizi editoriali Qualenergia e quattro srl (Eternet Free 1, Eternet Free 2, Eternet Free 7, Eternet Free Azzero CO2) che fanno affari installando impianti fotovoltaici sui tetti, un business che gode degli incentivi pubblici e che è stato spinto anche dalla campagna di Legambiente ‘Eternet Free’, finalizzata a promuovere la sostituzione di coperture in eternit con celle fotovoltaiche. Eternit Free Azzero CO2, per esempio, nel 2012 ha realizzato impianti per un valore complessivo di quasi 600mila euro, come indicato in bilancio. Azzero CO2 possiede inoltre il 10% inEsco Lazio srl, una società con interessi nel biogas e nel fotovoltaico con ricavi che nel 2012 sono stati di 1,2 milioni di euro e con quote in altre quattro società che operano nel settore energia.

Una piccola holding, questo è anche Legambiente. Che è pure socia al 10% di Menowatt GE srl, una società che si occupa di tecnologie per l’illuminazione pubblica e per motori efficienti e che fino alla fine del 2013 era posseduta al 70% da Sorgenia, la società del gruppo Cir della famiglia De Benedetti che partecipa all’azionariato della centrale a carbone Tirreno Power di Vado Ligure, finita al centro di un’inchiesta della procura di Savona con ipotesi di reato che vanno dal disastro ambientale all’omicidio colposo. E che dovrebbe pertanto essere un nemico giurato degli ambientalisti, piuttosto che un alleato. “Abbiamo fatto dure battaglie contro le centrali a carbone di gruppi come Sorgenia o Enel – ribatte Zanchini -. Quando però queste società fanno interventi di efficienza energetica e di rinnovabili non abbiamo problemi a collaborare con loro e fare accordi che vanno nella direzione verso cui spingiamo”. Nessun imbarazzo, dunque, in Legambiente. Del resto Sorgenia ha sempre garantito alla onlus laute sponsorizzazioni e tuttora ha in pegno il 14% delle azioni di Menowatt GE. 

Ma i business di Legambiente non finiscono qui. La onlus possiede anche il 50% di Vivilitalia, una società che si occupa di turismo sostenibile, mentre il suo circolo Festambiente ha in portafoglio anche il 40% di Solaria, un’altra srl attiva nel settore delle rinnovabili. E’ stata invece chiusa Car Sharing Italia, una srl per il noleggio di vetture ecologiche messa in liquidazione dopo la perdita da 206mila euro registrata nel 2009. Da non dimenticare poi l’Editoriale la Nuova Ecologia, la società cooperativa promossa da Legambiente per pubblicare la rivista dell’associazione.

Una onlus che fa impresa? Per gli esperti è vietato 
Favorire le leggi sugli incentivi alle fonti rinnovabili e poi sfruttare tali incentivi per fare affari? Di certo c’è un problema di opportunità e di potenziali conflitti di interesse. Ma non è tutto. Perché Legambiente è una organizzazione non lucrativa di utilità sociale. Può una onlus fare impresa attraverso altre società, come Azzero CO2? No, secondo gli esperti contattati da ilfattoquotidiano.it.Carlo Mazzini, consulente sulla legislazione e sulla fiscalità degli enti non profit e curatore del sito Quinonprofit, spiega: “Attraverso alcune circolari l’Agenzia delle entrate ha stabilito in passato che una onlus non può avere partecipazioni tali da poter gestire, dirigere e indicare gli amministratori di una società, a meno che tale società non sia un’impresa sociale che non distribuisce gli utili”. Una regola che è in conflitto con la situazione di Legambiente e Azzero CO2, il cui statuto addirittura dà diritto ai soci “che siano associazioni ambientaliste riconosciute” di ricevere una percentuale maggiorata degli utili.

“La ratio delle indicazioni dell’Agenzia delle entrate – continua Mazzini – è che una onlus possa investire in società di capitali solo con finalità di risparmio, ma senza avere partecipazioni di controllo. In modo da evitare che si possa fare impresa con soldi che provengono da donazioni, e quindi da una fiscalità agevolata”. Analoga l’opinione di Ugo Minneci, docente di Diritto commerciale all’Università degli Studi di Milano: “La onlus non si può trasformare in una sorta di capogruppo di società di capitali, altrimenti finisce per tradire la sua vocazione. E rischia di perdere lo stato di onlus e le conseguenti agevolazioni fiscali”.

Argomentazioni a cui Zanchini replica così: “La partecipazione è divisa tra diversi soggetti e noi non esprimiamo il controllo di Azzero CO2, perché il controllo lo fa il management”. Ma se il management fa parte del vertice di Legambiente? “L’accusa mi fa ridere – risponde il vice presidente della onlus -. Mario Gamberale (amministratore delegato di Azzero CO2, ndr) è un cittadino che decide di dare una mano a un’associazione ambientalista e fa parte del suo consiglio direttivo, come alcune centinaia di persone. Il management non dipende da noi. Come Legambiente esprimiamo solo gli indirizzi di Azzero CO2 per quanto riguarda le scelte sulle campagne e sulle iniziative che ci interessano. E controlliamo che non vengano fatte cose che vanno contro le nostre idee. Per esempio abbiamo posto il veto sulla realizzazione di impianti fotovoltaici a terra”. Parole che di certo non negano la partecipazione di Legambiente alla gestione della società. 

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Legambiente? “Una lobby economico-politica”. L’accusa degli altri ambientalisti

Italia Nostra e la Rete della Resistenza sui Crinali puntano il dito contro l’appoggio incondizionato dato alle fonti rinnovabili dell’associazione verde. Tra liti con i circoli locali, potenziali conflitti di interesse per la partecipazione in società che fanno business, legami con il Pd e il nuovo partito Green Italia

di Luigi Franco | 10 giugno 2014

 “Una potente lobby strettamente legata alle industrie del settore delle fonti rinnovabili. Che ha solidi legami con la politica”. Ecco come Mariarita Signorini, membro della giunta nazionale di Italia Nostra, descrive i vertici di Legambiente. Sotto accusa i legami che negli anni la principale associazione ambientalista italiana ha stretto con il mondo economico. E la spinta senza se e senza ma data allo sviluppo delle energie alternative. Un settore su cui Legambiente stessa fa affari, soprattutto attraverso la società controllata Azzero CO2. E su cui fanno affari alcuni suoi dirigenti nazionali grazie ad alcune srl, come Ambiente Italia. Con il rischio di conflitti di interesse. Da un lato infatti Legambiente ha partecipato attivamente al business delle fonti rinnovabili, dall’altro ha influenzato la normativa nazionale sugli incentivi che hanno contribuito a rincarare le bollette energetiche degli italiani. “I suoi vertici – continua Signorini – sono stati e sono tuttora gliinterlocutori privilegiati del ministero dell’Ambiente e del ministero dello Sviluppo economico”. Una posizione assicurata dai legami con il mondo politico, e in particolare con il Pd.

Gli agganci con la politica, dal Pd a Green Italia  
Legambiente ha solide radici nel Pd, soprattutto nella corrente degli Ecodem di quell’Ermete Realacci che per quasi vent’anni è stato presidente nazionale della onlus e ancora oggi ne è il presidente onorario. E che alla Camera è presidente della commissione Ambiente. Il rapporto con Realacci passa anche attraverso la sua fondazione Symbola, che tra gli associati ha sia Legambiente che Azzero CO2 e tra i finanziatori ha colossi dell’energia come Eni ed Enel Green Power, il gruppo Cir della famiglia De Benedetti e la Novamont, la società guidata dal neo presidente del gestore della rete elettrica Terna Catia Bastioli, che produce quei sacchetti biodegradabili per la cui diffusione tanto hanno fatto le norme sponsorizzate da Legambiente ed Ecodem.

Messe solide radici nel Pd, Legambiente è passata a gettar fronde nella nuova formazione politica Green Italia, alleata alle europee con i Verdi. Molti dei membri della direzione di Green Italia sono infatti dirigenti di Legambiente o hanno incarichi nelle società partecipate da Legambiente. Eccone qualcuno: il vice presidente del Kyoto Club ed ex Pd Francesco Ferrante, l’ex deputato del Pd Roberto della Seta, il presidente di Azzero CO2 Giuseppe Gamba, l’ex esponente di Fli Fabio Granata, il direttore tecnico di Azzero CO2 Annalisa Corrado e Fabio Renzi, che è anche segretario generale di Symbola, giusto per chiudere il cerchio che riconduce a Realacci.

Symbola è poi vicina al Kyoto club, l’organizzazione non profit, fondata tra gli altri da Realacci e presieduta da Catia Bastioli, che fa attività di lobbying a favore delle fonti rinnovabili ed è socia di Legambiente in Azzero CO2. Una delle figure di raccordo è Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Kyoto club e membro del comitato scientifico di Symbola. Silvestrini è stato consigliere per le fonti rinnovabili del ministero per lo Sviluppo economico, quando questo era guidato da Pier Luigi Bersani. Membro della presidenza del comitato scientifico di Legambiente fino al 2011, Silvestrini è stato anche presidente del cda di Azzero CO2 ed è proprietario al 26% di Exalto Energy & Innovation, una srl con un giro di affari di 1,1 milioni di euro (bilancio 2012) che come socio al 30% ha Innovatec spa, una società del gruppo Kinexia di Pietro Colucci, attivo nelle energie rinnovabili e quotato alla Borsa di Milano.

Tra le altre cose Exalto ha realizzato impianti fotovoltaici nell’ambito della campagna ‘Eternit Free’ di Legambiente, finalizzata a promuovere la sostituzione di coperture in eternit con celle fotovoltaiche. Ma il legame con l’associazione ambientalista va al di là di una semplice partnership, visto che l’amministratore delegato di Exalto, Mario Gamberale, ricopre il medesimo ruolo in Azzero CO2 ed è anche consigliere nazionale di Legambiente.

Scontri con gli altri ambientalisti. E liti in casa propria 
Nel 2010 Exalto è stata tra i promotori insieme ad Azzero CO2 di un progetto per installare un mega impianto fotovoltaico su 26 ettari di terreno a Cutrofiano, in provincia di Lecce. L’iniziativa aveva avuto l’appoggio di Legambiente, ma alla fine non se ne è fatto più nulla per l’opposizione di alcuni comitati ambientalisti locali e di Italia Nostra. Quello di Cutrofiano non è il solo scontro tra Legambiente e altre organizzazioni ambientaliste. Dissidi che a volte si sono consumati all’interno della stessa onlus. Come nel 2008, quando tutti i soci del circolo di Legambiente di Carovigno(Brindisi) si sono dimessi, dopo aver denunciato la trasformazione dell’associazione in “una multiservizi buona per ogni attività” e la mancanza di democrazia interna. Un destino seguito due anni più tardi dal circolo di Milano Ovest, che tra l’altro ha accusato i vertici di non consentire un dibattito interno adeguato su una tematica complessa come quella del fotovoltaico su terreni agricoli. Peggio è andata al circolo di Manciano (Grosseto), che per le sue battaglie contro gli impianti di fotovoltaico industriale in Maremma nel 2011 è stato addirittura espulso dall’associazione verde.

Le fonti rinnovabili, appunto. Legambiente le appoggia senza se e senza ma, anche a danno del paesaggio sostengono altre associazioni e comitati ambientalisti, come la già citata Italia Nostra e laRete della Resistenza sui Crinali, attiva soprattutto in Toscana ed Emilia Romagna per contrastare lo sviluppo indiscriminato dell’eolico, che si sono battute contro progetti in cui Legambiente ha giocato un doppio ruolo. Come nel caso del consigliere nazionale dell’associazione ambientalista Lorenzo Partesotti, che con la sua Solaris negli anni scorsi si è speso invano per la costruzione di un impianto su monte dei Cucchi, sull’Appennino Bolognese, contando su uno studio di impatto ambientale realizzato niente meno che da Ambiente Italia, società partecipata da alcuni dirigenti di Legambiente. Dinamica analoga in Toscana, dove Cecilia Armellini da un lato era tra i vertici della onlus verde, dall’altro si muoveva a favore della Carpinaccio srl per ottenere l’approvazione di progetti eolici.

“La dirigenza nazionale di Legambiente ha dimostrato uno zelo eccessivo nella condiscendenza verso impianti industriali di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili fino a teorizzare il teorema dell’eolico senza se e senza ma – accusa il coordinatore della Rete della Resistenza sui Crinali Alberto Cuppini -. Tale zelo rischia di portare a potenziali conflitti di interesse”. Signorini di Italia Nostra difende molte sezioni locali dell’associazione ambientalista, che “svolgono azioni positive contro il consumo del territorio. Ma – aggiunge – i vertici fanno parte di una vera e propria lobby legata ai poteri economici e al mondo politico, con potenziali e gravi conflitti di interesse. Per noi invece il paesaggio va tutelato, è la nostra ricchezza. Non può pertanto essere straziato in nome delle energie rinnovabili improduttive”.

Scontri e incomprensioni che non sono destinati a smussarsi. Anzi nelle ultime settimane si stanno riproponendo altrove, come in Liguria, dove tra Vado Ligure e Quiliano (Savona) il progetto per un nuovo impianto eolico è stato presentato da Fera, una società che nel 2009, pur senza che nessuno dei suoi amministratori venisse indagato, è stata definita dal gip di Palermo come “sponsorizzata da Cosa Nostra” nell’ordinanza in cui chiedeva l’arresto di otto persone nell’ambito dell’inchiesta Eolo. Ma non finisce qui: secondo il Secolo XIX, oggi Fera è sotto il monitoraggio dalla Direzione investigativa antimafia per presunti contatti con il latitante Amedeo Matacena, al centro del caso che ha portato agli arresti l’ex ministro Claudio Scajola. Il progetto di Vado Ligure e Quiliano, osteggiato dal Wwf Italia, in aprile ha ricevuto il parere negativo della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici. La reazione di Legambiente? Un duro comunicato che accusa la soprintendenza di farsi portatrice di una “posizione irragionevole” e di “pregiudizi contro l’eolico”.

 

E ora dal fotovoltaico e dall’eolico, la battaglia rischia di spostarsi sul fronte del solare termodinamico, una tecnologia della quale ilfattoquotidiano.it si è già occupato riguardo a un progetto per costruire su 226 ettari di terreno agricolo a Banzi, in Basilicata, una centrale che riceverebbe in 25 anni 1,2 miliardi di incentivi a fronte di un valore di mercato per l’energia prodotta pari ad appena 280 milioni di euro. Un mese fa l’Associazione intercomunale lucana, attiva contro il progetto di Banzi, ha presentato al governo, insieme ad altre associazioni di rilievo nazionale come Wwf e Italia Nostra, una proposta di modifica delle norme sulle fonti rinnovabili in modo da vietare l’installazione di impianti industriali per la produzione di energia elettrica su aree agricole. E cosa ha fatto invece Legambiente negli stessi giorni? Ha firmato un protocollo di intesa con l’Anest, l’associazione che rappresenta le società che operano nel settore del solare termodinamico. Tra gli obiettivi dichiarati, quello di assicurare alle imprese un sostegno allo sviluppo dei progetti e al dialogo con i cittadini. Ovvero un appoggio alla loro attività di lobbying.

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