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Parigi: se l’Unione Europea vira a destra

Il risultato del primo turno delle elezioni regionali francesi è stato quello atteso ma non per questo meno impattante, a partire dal primato raggiunto dalla formazione post-fascista guidata da Marine Le Pen. 

A proposito di politiche di austerità, di privatizzazioni, di smantellamento industriale, la Francia è al tempo stesso carnefice – essendo tra gli assi portanti del processo di integrazione imperialista e gerarchizzazione autoritaria dello spazio europeo – e vittima. Se Parigi insieme alla Germania e ad altri paesi del ‘blocco carolingio’ detta da tempo le politiche di ristrutturazione dello spazio economico e politico continentale, allo stesso tempo è sottoposta da tempo a forti pressioni da parte della leadership di Berlino affinché applichi quei diktat ordoliberisti che la Troika ha finora imposto con ferocia ai cosiddetti Piigs, cioè i paesi della periferia dell’Unione Europea. Alcune delle misure introdotte negli ultimi anni grazie alla disponibilità dei settori più reazionari del Partito Socialista e dell’establishment di Parigi hanno avuto l’impatto di uno tsunami su alcune regioni dell’esagono, producendo un aumento della disoccupazione, la desertificazione economica e industriale, la diffusione della precarietà e della povertà. A dimostrazione che, all’interno del progetto imperialista europeo, non si salva nessuno, e che i meccanismi di impoverimento e precarizzazione non agiscono solo nei paesi che il motore dell’integrazione ha scelto come “periferie interne” dello spazio politico-economico continentale, ma anche in alcuni territori interni ai paesi guida, come fu a suo tempo per l’ex Repubblica Democratica Tedesca assorbita e sottoposta da Berlino a meccanismi neocoloniali, vera e propria prova generale di ciò che sarebbe poco dopo accaduto su scala continentale.
L’ascesa del Front National deve essere considerata quindi soprattutto il frutto di una scomposta e irrazionale reazione popolare all’estensione degli effetti della crisi più che la conseguenza della diffusione della paura generata nel corpo sociale dagli attacchi di Parigi. 
Come abbiamo avuto modo di scrivere più volte, è lo stesso processo di unificazione e integrazione dall’alto dell’Unione Europea a scatenare le contraddizioni che portano ad un aumento del peso sociale, ideologico e quindi anche elettorale delle formazioni di estrema destra, xenofobe e autoritarie, considerate da settori sempre più vasti della popolazione come l’unica diga possibile rispetto agli effetti della crisi e delle politiche antipopolari di Bruxelles e Berlino. Se è vero che è lo stesso rafforzamento dell’Unione Europea a creare le condizioni per un rafforzamento dei movimenti di destra, è altrettanto vero che la timidezza o l’irresponsabile voltafaccia delle formazioni di sinistra anche radicale (emblematico il Front de Gauche che vota lo stato d’emergenza, per non parlare del caso Syriza) non consente ai movimenti progressisti di opporre alcuna resistenza all’ascesa dei partiti xenofobi, anzi spesso ne rappresenta il brodo di coltura come dimostra il sempre più forte insediamento del Front National nei quartieri e nelle cinture ex rosse delle metropoli francesi. 
Se è vero che il partito ereditato da Marine Le Pen è stato ampiamente normalizzato e ripulito dalla nuova dirigenza proprio in vista della prevista crescita e del potenziale accesso alla “stanza dei bottoni”, è altrettanto vero che il Front National rimane una formazione basata su una ideologia xenofoba, razzista, autoritaria e nazionalista, il cui dilagare deve far suonare numerosi campanelli di allarme. Ora si tratterà di capire come andranno i ballottaggi, se scatterà o meno anche questa volta il meccanismo della ‘solidarietà repubblicana’ che, sfruttando l’oggettivamente truffaldino meccanismo del doppio turno, al primato del Front National opporrà la somma di tutti i ‘partiti antifascisti’. Ma se anche ciò dovesse avvenire, la strada verso l’ascesa di un partito di estrema destra all’interno dell’ennesimo paese europeo rimarrà aperta ed anzi la coalizione tra tutti i partiti dell’attuale regime potrebbe costituire un ulteriore elemento di legittimazione di una proposta politica che non rappresenta una reale alternativa alla gabbia dell’Unione Europea, criticata dalle destre radicali ma mai veramente messa in discussione nei propri cardini.
In buona parte infatti, i partiti euroscettici e xenofobi si oppongono alle politiche comunitarie solo in quanto rappresentanti degli interessi degli spezzoni nazionali della piccola e media borghesia stritolati dai processi di concentrazione e gerarchizzazione continentale (vedi il blocco berlusconiano in Italia) senza mai mettere realmente in discussione la struttura dell’Unione Europea, proponendone al massimo una ridefinizione in termini confederali che restituisca ai singoli stati quella quota di sovranità necessaria a garantire la sopravvivenza dei settori della classe dominante meno internazionalizzata e quindi più fragile all’interno di un feroce contesto di competizione interimperialistica. 
Una eventuale affermazione del Front National anche al secondo turno e alle prossime elezioni politiche francesi potrebbe certo causare una ridefinizione degli equilibri interni all’Unione Europea, ed avere una forte influenza anche sul possibile cambio della guardia a Berlino tra la ‘pontiera’ Angela Merkel e il falco Wolfgang Schäuble. Nel frattempo appare più che ovvio che i socialisti francesi, attaccati a destra dall’avanzata lepenista, affideranno le proprie sorti ad un incremento esponenziale delle politiche di keynesismo militare, le uniche in grado in un contesto di crisi sistemica del capitalismo di ridurre – seppur parzialmente – disoccupazione e precarietà. Gli attuali governanti francesi possono contare ovviamente su una legittimazione sociale scaturita dagli attentati delle formazioni jihadiste, da considerarsi non terrorismo ma veri e propri atti di guerra asimmetrica da parte di un polo imperialista arabo in formazione che si affaccia prepotentemente sullo scenario mondiale a suon di bombe, destabilizzazioni e invasioni militari. Del resto appare evidente quanto lo sviluppo dell’industria militare e del comparto sicurezza non rappresenti solo una scelta della classe dominante francese ma anche di quella europea in quanto tale, come dimostra la decisione da parte di Berlino di inviare un numero consistente di truppe in Medio Oriente ed in Africa e di dichiararsi disponibile allo scorporo del bilancio militare dagli altrimenti blindati parametri che impongono il pareggio di bilancio. Un motivo in più per rompere l’Unione Europea e i meccanismi di guerra economica e militare alla base di un progetto sempre più antipopolare e pericoloso.

da http://www.retedeicomunisti.org/

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