Il dibattito intorno al referendum ha assunto toni molto accesi e spesso poco oggettivi. Vediamo nel dettaglio su quale contesto andrà ad incidere davvero.
SPECIALE MARZO – Il prossimo 17 aprile gli elettori italiani saranno chiamati a esprimere il proprio voto favorevole o contrario al cosiddetto “referendum sulle trivelle“. È la prima volta nella storia della Repubblica che il referendum non proviene da una raccolta firme, ma da parte di alcune Regioni. La discussione sui temi del referendum è molto accesa, e spesso poco oggettiva. Vediamo di fare un po’ di chiarezza.
Quanto petrolio e gas c’è in Italia
La presenza di petrolio affiorante in Italia è attestata già in età classica, e rimase una cosa nota per tutti i secoli successivi – tant’è che nell’Encyclopédie del 1751, alla voce “petrol” si indica l’Italia come Paese abbondante di petrolio. Nel 1905 viene fondata la Società Petrolifera Italiana (SPI), nell’area parmense. Da questo momento l’esplorazione e l’estrazione di petrolio in Italia non si è mai arrestata, pur vivendo fasi alterne.
L’Italia risulta essere il 4° Paese europeo sia per quantità di petrolio estratto, sia per riserve stimate. È invece al 5° posto per quanto riguarda l’estrazione di gas naturale. Tuttavia, come si vede dal grafico, i primi due estrattori europei, Norvegia e Regno Unito, hanno una capacità estremamente superiore rispetto al resto del continente. È per questo motivo che, pur essendo il quarto produttore, l‘Italia dipende da più del 90% dalle importazioni per il proprio fabbisogno energetico.
Dove sono i giacimenti di idrocarburi
Il petrolio e il gas naturale italiani non si trovano – come invece accade in altri paesi petroliferi – raggruppati in grandi giacimenti: la geografia degli idrocarburi in Italia è frammentata, ma si possono definire alcune aree in cui sono presenti dei campi petroliferi abbastanza estesi da essere commercialmente sostenibili.
Il sistema delle concessioni
In Italia i giacimenti di idrocarburi sono patrimonio indisponibile dello Stato: le imprese private che vogliono utilizzare tali risorse devono richiedere delle concessioni, e di conseguenza pagare delle royalties allo Stato, alle Regioni ed ai Comuni interessati. Nel 2014 (ultimi dati ufficiali) erano attivi 117 permessi di ricerca, di cui 95 in terraferma e 22 in mare, e 201 concessioni di coltivazione, ovvero permessi di estrazione, di cui 132 in terraferma e 69 in mare.
NB: cliccando sull’imagine è possibile accedere alla scheda specifica del Ministero per lo Sviluppo Economico
Ogni concessione ha una durata iniziale di 30 anni, rinnovabile la prima volta per altri 10 anni, poi per 5 e di nuovo per 5 anni e, infine, se il pozzo è ancora attivo, le aziende possono chiedere di utilizzarlo finché non si sia estinto.
In totale, le concessioni petrolifere hanno fornito (nel 2014) un gettito in royalties di circa 400 milioni di euro, così ripartiti:
Il referendum del 17 aprile
Il referendum del prossimo 17 aprile non coinvolge tutta l’industria petrolifera ma una piccola parte, in particolare il rinnovo delle concessioni in mare entro le 12 miglia (circa 22 km) dalla costa. Di 69 concessioni in mare totali, quindi, coinvolgerà solamente 21 di esse. Le concessioni in mare sono divise in 7 zone, di cui ben 5 sono interessate dal referendum: la zona A (Alto Adriatico), la zona B (medio Adriatico), la zona C (tratto di mare a sud della Sicilia), la zona D e F (Mar Ionio).
Gran parte delle 9 Regioni che si sono fatte promotrici del referendum sono direttamente bagnate da questi mari: Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise. L’Abruzzo inizialmente è stato un promotore, ma si è poi ritirato. La Sicilia, pur essendone interessata, non compare tra le promotrici.
Inizialmente il referendum era stato chiesto su 6 quesiti, ma 5 di essi sono stati accantonati dalla Corte di Cassazione perché già inglobati nella legge di stabilità 2016. Il quesito che è rimasto riguarda la possibilità di rinnovare le concessioni di estrazione delle 21 aree entro le 12 miglia. Il quesito referendario, infatti, recita:
Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita’ 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?
Chi risponderà sì, chiederà di bloccare il rinnovo delle concessioni, quando esse scadranno. Per questo, qualora vincesse il sì, i primi effetti si avranno tra i 5 e i 10 anni. Le ultime concessioni che non potranno essere rinnovate scadranno non prima di 20 anni. Insomma, non ci saranno effetti a brevissimo termine, anche perché l’esplorazione (e quindi l’estrazione) di nuovi pozzi entro le 12 miglia è già al momento vietata dalla legge. È infine necessario ricordare che affinché il referendum sia valido, bisogna raggiungere il quorum del 50%+1 degli aventi diritto al voto.
da http://oggiscienza.it/
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