Una lotta non è un torneo amatoriale che si conclude con la placida soddisfazione di aver partecipato. Ancora meno nel caso della mobilitazione contro la riforma del mercato del lavoro, la «Loi el Khomri»: giovedì 23 e martedì 28 giugno si torna a manifestare in Francia. Nonostante la repressione del governo socialista, le granate della polizia, i 1500 lacrimogeni lanciati a Parigi il 14 giugno. Centinaia di feriti da percosse ed esplosioni: la stima è dei volontari «Streetmedics», le unità mobili addette al primo soccorso dei manifestanti in piazza. Uno dei feriti è molto grave con la nuca bucata. L’incontro tra la ministra del lavoro El Khomri e il segretario nazionale della CGT Philippe Martinez di venerdì scorso ha confermato che non c’è trattativa. Il movimento chiede il ritiro della legge, ma il suo iter parlamentare prosegue in Senato. Il braccio di ferro con il governo, visibilmente determinato a non fare marcia indietro, ha raggiunto una fase di stallo.
La staffetta delle lotte
Finora la ginnastica del movimento è stata sufficientemente agile per dare continuità alla staffetta delle lotte. Da marzo gli studenti hanno aperto le danze cominciando a perturbare le piazze, per conto proprio o a fianco dei sindacati ancora in sordina, da aprile la Nuit debout ha occupato la Place de la République sfidando quotidianamente le restrizioni imposte dallo stato di emergenza prolungato fino all’estate; a maggio è iniziata la ronda degli scioperi, quelli veri, all’appello di CGT, Force Ouvrière e Solidaires. Da metà di maggio sette raffinerie su otto sono rimaste paralizzate o quasi per circa tre settimane lasciando a secco il 20 per cento delle pompe di benzina. Nei terminal petroliferi di Fos-sur-Mer e Lavéra, nel porto di Marsiglia, gli scioperi hanno impedito il carico e scarico di 25 gassiere. Il porto atlantico di Saint Nazaire, altro snodo fondamentale del traffico energetico, è rimasto chiuso per giorni.
Il gruppo Total ha minacciato di ritirare i propri investimenti dal suolo nazionale. Le perdite per la compagnia durante le tre settimane di inattività delle raffinerie sono state stimate in 130 milioni di euro. Le centrali nucleari hanno ridotto la produzione di energia, e i conduttori ferroviari rallentato la circolazione dei treni, rischiando di essere richiamati in servizio su Parigi e dintorni per il debutto degli Europei. E sempre per inaugurare l’inizio del campionato, dai primi di giugno i netturbini municipali degli inceneritori e dei depositi di rifiuti di Ivry-sur-Seine e Saint-Ouen hanno incrociato le braccia, costringendo la sindaca della capitale, Anne Hidalgo, a trovare soluzioni di emergenza per rimuovere i cumuli di rifiuti ammassati nella metà degliarrondissments della città.
L’ opposizione ha invocato la requisizione delle raffinerie, come aveva fatto Sarkozy nel 2010 per fermare il movimento contro la riforma delle pensioni. Un’operazione denunciata dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) secondo la quale «le motivazioni economiche non possono essere evocate per giustificare le restrizioni del diritto di sciopero». Pierre Gattaz, il presidente di Confindustria (Medef) ha dato dei «terroristi» ai dirigenti della Cgt, El Khomri ha accusato duramente i lavoratori di aver «preso in ostaggio» il popolo francese, e Valls ha definito «inaccettabile» il tentativo dei sindacati di «bloccare il paese» e «colpirne gli interessi economici».
«Operazione Robin Hood»
Dopo la minaccia di Hollande di vietare alla Cgt altre manifestazioni per ragioni di ordine pubblico, le intimidazioni verbali non sono state le uniche repliche. Ovunque i lavoratori in sciopero si sono scontrati con le pressioni delle direzioni aziendali e gli interventi marziali delle forze dell’ordine. A Fos-sur-Mer, Lavéra, Donges, Lorient, Brest, Rennes, Douchy-les-mines, la polizia ha evacuato i picchetti che bloccavano da giorni l’accesso ai depositi petroliferi. E nel deposito SIM di Gonfreville-l’Orcher in Normandia, il terzo più grande d’Europa, la prefetta del dipartimento di Seine-Maritime ha autorizzato il ricorso al personale in servizio non qualificato per far ripartire i rifornimenti di kerosene verso gli aeroporti parigini. Davanti alle raffinerie per giorni i lavoratori hanno incendiato i pnemautici per tenere in vita i picchetti.
A Valenciennes, il 29 maggio, l’unione dipartimentale della Cgt, insieme ai collettivi antifascisti locali, ha improvvisato uno spettacolo pirotecnico davanti alla prigione di Sequedin, dove era stato incarcerato preventivamente Antoine, un giovane militante sindacale, accusato di resistenza a pubblico ufficiale durante una manifestazione a Lille, e ora, dopo il processo, condannato insensatamente a 10 mesi di reclusione.
Nel settore dell’energia i dipendenti di Edf e Enedis hanno rilanciato l’operazione «Robin Hood» già inaugurata nel 2004 all’epoca della protesta contro le privatizzazioni. Così, hackerando gli impianti elettrici hanno ridotto temporaneamente le tariffe di consumo per centinaia di migliaia di utenti delle banlieue di Parigi. Per divertirsi hanno interrotto la corrente nella residenza di Gattaz a Saint-Raphaël, e nel municipio di Tulle, in Corrèze, feudo elettorale di François Hollande.
Il mutualismo dei ferrovieri
A sostegno ai grévistes le iniziative di solidarietà sono state numerose. La campagna finanziaria lanciata dalla Ctg Info-Com ha raccolto finora oltre 450mila euro. Nei giorni scorsi è iniziata la distribuzione degli assegni di sostegno ai comitati di sciopero che vanno avanti da settimane. Il comitato dei ferrovieri della Gare d’Austerlitz, uno dei più combattivi su Parigi, mobilitato da circa un mese, ha ricevuto 20mila euro. Molti degli cheminots non sono affiliati a nessuna organizzazione sindacale e non nutrono alcuna simpatia nei confronti della Cgt. Come altri militanti della base del sindacato, temono che la direzione finisca per accettare di firmare il decreto che prevede la riforma statutaria della Sncf, una Loi Travail versione ferrovie dello stato.
Ventimila euro sono stati incassati anche dal comitato dei netturbini di Ivry-sur-Seine, nell’ultimo periodo i principali protagonisti delle perturbazioni nella capitale. Le montagne di rifiuti intassate sui marciapiedi parigini, insieme al panico da penuria di carburante nelle stazioni di servizio francesi, hanno efficacemente imposto agli occhi di tutti lo spettacolo del lavoro e dei lavoratori invisibili nella lotta contro il capitale e il suo governo.
«Ce l’abbiamo messa tutta», dice Eric Sellini, della CGT Total, “e in ogni caso non finirà qui”. Qualsiasi cosa decida la confederazione sindacale rispetto alle trattative con il governo, infatti, la mobilitazione contro la Loi el Khomri ha conquistato sul terreno della lotta – per la varietà delle forme sperimentate, dalle più classiche alle più inventive – una serie di risultati destinati a durare. Per primo il battesimo o, a seconda dei casi, il ritorno di una pratica del conflitto che ha scosso dal torpore una generazione militante e ne ha iniziata un’altra.
«Tout le monde déteste le PS»
La frattura definitivamente consumata tra il Partito socialista e il popolo dellagauche che finirà inevitabilmente per ripercuotersi sulle prossime elezioni presidenziali: in quanti contro lo spauracchio del Front National e dell’estrema destra saranno ancora disposti ad appoggiare la sinistra destra dei socialisti? Non solo tout le monde déteste la police, ma ora, meglio tardi che mai, tout le monde déteste le PS. Infine di fronte all’offensiva di una repressione sistematica che ha colpito indistintamente tutti (studenti e sindacalisti, giovani e lavoratori di ogni sorta), la lotta di classe è stata costretta a cimentarsi giorno dopo giorno con le ingiustizie della giustizia di classe, mostrando che non c’è guerra contro la macchina capitalista che possa esimersi dal misurarsi con la violenza dei suoi apparati. Quella violenza, insaziabile, arrogante e volgare, ha fatto irruzione sulla scena senza veli.
In un intervento presentato nel 1968 al Comité de lutte contre la répression alla Mutualité di Parigi, Sartre diceva che la repressione a volto scoperto non è altro che una manifestazione ufficiale della guerra permanente che il sistema combatte contro i lavoratori. Che si tratti di sfruttamento o manganelli, la matrice è la stessa. Per questo, per la nudità a cui espone il comando, la repressione rappresenta un «momento di verità». Il testo, poi pubblicato dal Nouvel Observateur, è intitolato «Il n’y a pas de bon gaullisme». In questo stesso senso la Loi travail ha impartito una lezione che tutti nei mesi a venire saranno costretti a ricordare: non solo che, parafrasando, non può esserci un buon capitalismo, ma anche che non può esistere una sinistra capitalista di governo che si comporti diversamente da come si sta comportando.
Jamila Mascat (Il Manifesto, 20 giugno 2016)
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