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Genova 1960. La rivolta antifascista

Il 30 Giugno 1960 Genova scendeva in piazza per respingere il tentativo fascista di svolgere il proprio congresso nella città medaglia d’oro della Resistenza: seguirono giorni di grande tensione e mobilitazione popolare in tutto il Paese, con una forte repressione poliziesca: vi furono 5 morti a Reggio Emilia, a Roma i carabinieri a cavallo caricarono i partecipanti a una manifestazione antifascista a Porta San Paolo ferendo deputati comunisti e socialisti, vi furono altri morti a Palermo e a Catania.

Alla fine di quei giorni convulsi la democrazia vinse e il governo Tambroni fondato sull’alleanza tra democristiani e fascisti fu costretto alle dimissioni e si aprì, per il nostro Paese, una pagina nuova.

Non dobbiamo dimenticare mai quegli episodi e in particolare adesso, nella più stretta attualità: in Italia è in atto, ormai da molto tempo ma ora in maniera molto più esplicita e diretta una vera e propria svolta autoritaria fondata sull’intreccio tra personalizzazione della politica e presidenzialismo.

Si tratta del frutto di vent’anni di sistemi elettorali fondati sul “maggioritario”, sulla distruzione dei partiti politici e dei corpi intermedi, lo svilimento di ruolo del Parlamento, l’affermazione in termini egemonici dell’Europa della troika e di una feroce gestione del ciclo da parte del neo-capitalismo globalizzato in un vero e proprio delirio di finanziarizzazione, in conclusione del quale le condizioni materiali di vita dei ceti popolari, il complesso dei diritti sociali, il mondo del lavoro hanno subito colpi tremendi.

Mentre ormai la politica, come dimostra bene il governo Renzi, è fatta di costruzione del consenso in precedenza all’espressione di contenuti, al punto da assomigliare molto a come si muoveva la macchina della propaganda del ventennio e si costruisce il “Partito Unico della Nazione” si sta realizzando, attraverso le riforme costituzionali e il varo di una nuova legge elettorale, una vera e propria svolta autoritaria.

Serve subito la messa in campo di una forte opposizione sociale e politica, non può – sotto questo aspetto – essere perso altro tempo: la sinistra di alternativa e di opposizione deve ritrovare subito una propria identità e una propria autonoma capacità d’iniziativa: l’esempio del Luglio ’60 allora non dovrà essere, in questa occasione, un semplice richiamo al passato ma un modello cui richiamarsi.

Occorre creare le condizioni per una forte tensione sociale cui collegare una altrettanto decisa prospettiva politica.

Occorre un’opposizione consapevole del fatto che, anche adesso, prima di tutto è in gioco la democrazia.

In questo senso l’espressione del “NO” nel referendum confermativo delle deformazioni costituzionali assumerà un’importanza strategica, paragonabile proprio a quel momento in cui, attraverso un grande moto popolare che costò sacrifici di sangue, fu respinto l’assalto di un pericoloso rigurgito fascista.

Di seguito una riflessione più approfondita al riguardo di quei fatti.

 

30 GIUGNO 1960: LA RIVOLTA DI GENOVA E LA VITTORIA DELLA DEMOCRAZIA

Era l’Italia del 1960. Il Paese si trovava in pieno miracolo economico, ma il benessere nascondeva profonde lacerazioni socio-politiche.

Si stava provando, con fatica, a uscire dagli anni’50 e a far nascere il centrosinistra.

Un giovane democristiano, Fernando Tambroni esponente della corrente del presidente della Repubblica Gronchi, assumeva la Presidenza del Consiglio sostenuto da una maggioranza comprendente il partito neofascista, il MSI.

Quell’MSI che stava tornando alla ribalta con la sua ideologia e la sua iniziativa: quell’MSI che decise, alla fine del mese di Giugno, di tenere il suo congresso a Genova, Città medaglia d’oro della Resistenza.

L’antifascismo, vecchio e nuovo, disse di no.

Comparvero sulle piazze i giovani dalle magliette a strisce, i portuali, i partigiani.

La Resistenza riuscì a sconfiggere il rigurgito fascista.

Ma si trattò di una vittoria amara, a Reggio Emilia e in altre città la polizia sparò sulla folla causando numerose vittime.

Questi i fatti, descritti più nel dettaglio attraverso la cronologia che troverete accanto a questo articolo, accaduti in quell’intenso e drammatico inizio d’estate di cinquant’anni fa: è necessario, però, tornarvi sopra per riflettere, partendo da un dato.

Non si trattò semplicemente di un moto di piazza, di opposizione alla scelta provocatoria di una forza politica come quella compiuta dall’MSI di convocare il proprio congresso a Genova e di annunciare anche come quelle assise sarebbero state presiedute da Basile, soltanto quindici anni prima, protagonista nella stessa Città di torture e massacri verso i partigiani e la popolazione.

Si trattò, invece, di un punto di vero e proprio snodo della storia sociale e politica d’Italia.

Erano ancora vivi e attivi quasi tutti i protagonisti della vicenda che era parsa chiudersi nel 1945, ed è sempre necessario considerare come quei fatti si inserissero dentro una crisi gravissima degli equilibri politici: una crisi inserita anche in un mutamento profondo dello scenario internazionale, nei quali si muovevano i primi passi del processo di distensione ed era in atto il fenomeno della “decolonizzazione”, in particolare, in Africa, con la nascita del movimento dei “non allineati”.

Prima ancora, però, dovrebbe essere valutato un elemento, a nostro avviso, di fondamentale importanza: abbiamo già accennato all’entrata in scena di quella che fu definita la generazione “dalle magliette a strisce”, i giovani che per motivi d’età non avevano fatto la Resistenza, ma ne avevano respirata l’aria entrando in fabbrica o studiando all’Università accanto ai fratelli maggiori; giovani che avevano vissuto il passaggio dall’Italia arretrata degli anni’40-’50 all’Italia del boom, della modernizzazione, del consumismo, delle migrazioni bibliche dal Sud al Nord, di una difficile integrazione sociale e culturale.

Allora i moti del Luglio’60 non possono essere considerati semplicemente un punto di saldatura tra le generazioni, anzi rappresentavano un momento di conflitto, di richiesta di cambiamento profondo, non limitato agli equilibri politici.

Un punto di analisi, questo, non ricordato di frequente: al riguardo del quale abbiamo pensato di presentare un testo, a nostro giudizio illuminante, scritto da Raniero Panzieri e apparso, il 25 Luglio del 1960 proprio nel momento in cui i nuovi equilibri politici si andavano formando (il governo Tambroni si era dimesso e Amintore Fanfani si apprestava a varare quel ministero che Aldo Moro avrebbe definito delle “convergenze parallele”: per la prima volta, infatti, il PSI si sarebbe astenuto, come i Monarchici, sull’altro versante. Si trattava del prodromo del governo organico di centrosinistra che poi lo stesso Moro avrebbe presieduto nel Dicembre del 1963).

L’articolo di Panzieri (che non aveva ancora aperto la serie dei “Quaderni Rossi”) uscì sulla rivista della federazione torinese del PSI, “La Città” e ne riportiamo di seguito uno stralcio particolarmente significativo:

” E’ dunque necessario conquistare, al livello delle forze politiche organizzate, una consapevolezza precisa e seria del movimento reale del Paese. E per questo occorre, innanzi tutto, riconoscere i tratti del processo democratico che da lungo tempo è andato maturando nella nostra società, al di fuori, in gran parte, dalle linee e dagli obiettivi perseguiti dai partiti di sinistra. Ciò che è caratteristico di questo processo è che, nonostante la sua estraneità ai partiti, non ha per nulla i connotati tipici della “spontaneità”: il suo grado di coscienza è fortemente sottolineato dalla capacità delle giovani leve operaie di “servirsi” del sindacato unitario (soprattutto) e anche dei partiti di classe, nella stretta misura in cui la partecipazione e il sostegno delle organizzazioni operaie esistenti sono necessari all’affermazione di uno schieramento unitario di classe. Perciò l’estraneità organizzativa ai partiti di decine di migliaia di giovani operai, che sono state la punta avanzata del movimento, deve essere valutata come un rapporto di spinta, di azione critica esercitata da forze consapevoli, ora in modo chiaro, ora in forme incerte e travagliate, di rappresentare esigenze e scopi di lotta più complessi e più avanzati di quelli offerti dalle organizzazioni e di dover esercitare con la loro autonomia una pressione perché queste si adeguino ai rapporti di classe…

…..Ma questi elementi possono prendere rilievo e consistenza durevole soltanto in una prospettiva politica generale. E proprio questa prospettiva è presente nell’azione dei partiti solo assai parzialmente e in modo deformato. Essa dovrebbe concretarsi nella rivendicazione di un mutamento profondo nelle strutture economiche e sociali, nella individuazione dei processi totalitari del potere, che dalla grande fabbrica si estendono a tutti i livelli del Paese, in un rifiuto del divario che l’azione capitalistica provoca e aggrava di continuo tra la realtà dei rapporti politici e le istituzioni…”

Fin qui lo stralcio dell’articolo di Raniero Panzieri: un Panzieri quasi profetico a indicare temi che poi sarebbero stati alla base delle lotte operaie del decennio, fino a sfociare nell’ “Autunno caldo” del 1969, nell’unità e nel sindacato dei “Consigli” (stava già, forse, nell’articolo citato quell’interrogativo suscitato da qualcuno, proprio a proposito del Luglio’60: ultimo episodio della Resistenza o primo vagito del ’68?).

E, ancora, quanto vale oggi il richiamo di Panzieri in un momento in cui sono attaccati direttamente i diritti fondamentali strappati con le lotte di quella stagione e che non appaiono difesi, se non soltanto da minoranze apparentemente isolate, in un dato complessivo di sfrangiamento sociale e di sostanziale atonia politica?

Interrogativi che rimandiamo all’attualità: una complessa e difficile attualità.

In quel Luglio ’60, da non considerare – ripetiamo – soltanto per i fatti accaduti in quei giorni, ma nel complesso di una fase di cambiamento della società e della politica, si aprì, ancora, a sinistra, una discussione sulla natura della DC, fino a quel momento perno fondamentale del sistema politico italiano.

Molti si chiesero, a quel momento, se dentro la DC covasse il “vero fascismo” italiano: non quello rumoroso e un poco patetico del MSI, ma quello vero; quello che poteva considerarsi il vero referente dei ceti dominanti, capace di portare al blocco sociale di potere l’apporto della piccola e media borghesia.

Il partito democristiano appariva, dunque, a una parte della sinistra, soprattutto nei giorni infuocati della repressione, come il partito che avrebbe potuto in qualunque momento rimettere in moto in Italia (ricordiamolo ancora una volta: eravamo a soli quindici anni dalla Liberazione) un meccanismo politico-sociale-repressivo-autoritario tale da dar vita a nuove esperienze di tipo fascista.

L’analisi sviluppata dal PCI togliattiano fu diversa.

Nonostante le asprezze della polemica quotidiana, il PCI aveva assunto come una delle prospettive di fondo di tutta la sua strategia (assieme a quella, prioritaria, della “legittimazione nazionale” del Partito) l’intesa con le masse cattoliche, da sottrarre al predominio moderato prevalente dal ’47 in poi (grazie alla “guerra fredda”) al vertice della DC.

Ma la prospettiva non era così ingenua: essa comportava il proposito di far emergere le forze presenti all’interno della DC, anche al vertice del partito.

In quel Luglio ’60 il PCI cercò di operare in quella direzione, e il successo dello sciopero generale, pur macchiato di sangue, si rivelò efficace e significativo anche perché dall’interno della DC si aprì finalmente un varco a quella parte del gruppo dirigente che, sulle rovine dell’esperimento Tambroni, poté riproporre con maggiore efficacia e speranza di esito positivo una soluzione diversa: quella che abbiamo già richiamato delle “convergenze parallele” e, successivamente, del centrosinistra “organico”.

Oggi, possiamo meglio valutare l’esito di quei fatti: le contraddizioni che ne seguirono, il rattrappirsi progressivo della realtà riformatrice( a partire dal “tintinnar di sciabole” dell’estate 1964, fino alla disgraziata stagione del terrorismo, aperta nel 1969 dalle bombe di Piazza della Fontana), l’assunzione, in particolare da parte del PSI ,via, via, di una vocazione “governista” sfociata nel decisionismo craxiano, nello sviluppo abnorme della partitocrazia (con il contributo di un complessivo “consociativismo” allargato all’intero arco parlamentare) e, infine, nella “questione morale” che segnò, all’inizio degli anni’90, lo sconquasso definitivo del quadro di governo.

Ebbene, proprio in quella situazione, l’implosione della DC consentì di verificare la giustezza di certe analisi: le masse DC, la gran parte dell’elettorato democristiano, in quel momento di trasformazione del sistema politico trovarono, infatti, sede politica e dirigenti in cui affidarsi in Alleanza Nazionale (l’ex-MSI diventato ormai vero e proprio soggetto di massa) e in Forza Italia (diventato subito il maggior partito italiano, dal punto di vista dei risultati elettorali).

Il che induce a pensare, anche oggi, come una analisi della DC di tipo “azionista” non risultasse del tutto errata: certo era schematica perché leggeva il presente di allora, quello degli anni’60, con le categorie del passato conosciuto negli anni’30 – ’40 (il fascismo).

 

In ogni caso si può affermare che nel Luglio ’60 vinse la democrazia.

 

CRONOLOGIA DEI FATTI

 

CRONOLOGIA DEI FATTI DEL LUGLIO ’60

24 Febbraio

Il Presidente del Consiglio, Antonio Segni rassegna le dimissioni

 

20 Marzo

Segni rinuncia all’incarico di formare un governo con l’astensione dei socialisti per l’opposizione di settori democristiani, che minacciano la formazione di un secondo partito cattolico. Con una iniziativa personale il Presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, affida l’incarico a Fernando Tambroni.

 

26 Marzo

Il governo Tambroni giura nelle mani del Capo dello Stato. Si tratta di un monocolore democristiano.

 

8 Aprile

Il governo Tambroni ottiene la fiducia della Camera con 300 sì e 293 no. Votano a favore DC, MSI e 4 ex monarchici, contro i deputati di tutti gli altri partiti.

I ministri Pastore e Bo e i sottosegretari Antonio Pecoraro, Nullo Biaggi e Lorenzo Spallino, tutti appartenenti alla sinistra della DC, si dimettono immediatamente per protesta, seguiti immediatamente anche dal ministro Sullo, della corrente di “base”.

 

13 Aprile

Fanfani che aveva ricevuto l’incarico il 14 per la formazione di un tripartito con l’appoggio del PSI, rinuncia per l’opposizione degli andreottiani e degli scelbiani, dei seguaci di Paolo Bonomi (Coldiretti) e di settori dorotei.

 

23 Aprile

Gronchi respinge le dimissioni di Tambroni anche su sollecitazione del segretario della DC Aldo Moro e lo invita a ripresentare il governo al Senato per completare la procedura  del voto di fiducia.

 

29 Aprile

Tambroni ottiene la fiducia del Senato con 128 sì (DC, MSI, 1 monarchico, Raffaele Cadorna e Giuseppe Paratore) e 110 no. La direzione della DC aveva, il giorno precedente, stabilito che il governo rimanesse in carica fino al 31 Ottobre per consentire l’approvazione dei bilanci, limitandosi quindi all’ordinaria amministrazione.

 

21 Maggio

Un comizio del deputato del PCI Giancarlo Pajetta è interrotto a Bologna da un commissario di polizia, provocando la protesta degli intervenuti. La  “celere” ferisce il deputato comunista Giovanni Bottonelli. Pajetta aveva criticato la politica estera del governo ed il commissario lo aveva interrotto e aveva ingiunto di sciogliere la riunione.

 

25 Giugno

A Genova si tiene un comizio contro il congresso del MSI, autorizzato da tempo dal governo, che dovrebbe cominciare il 2 Luglio al Teatro Margherita, a pochi metri dal sacrario dei caduti partigiani di via XX Settembre.

La decisione del MSI di tenere il congresso a Genova è ritenuta provocatoria, anche perché se ne vuole affidare la presidenza a Carlo Emanuele Basile, prefetto della Città nel periodo della Repubblica Sociale Italiana e responsabile di arresti e torture di partigiani.

 

27 Maggio

A Palermo 30 persone rimangono ferite in conseguenza dell’intervento della “celere” contro lo sciopero generale proclamato da CGIL, CISL,UIL per sollecitare misure a favore dell’economia cittadina.

 

28 Giugno

Una grande manifestazione si tiene a Genova, organizzata da PCI, PSI, PSDI , PRI, PR e dalle associazioni partigiane per protestare contro il congresso del MSI.

Parla Sandro Pertini che chiede il rispetto della norma costituzionale che vieta la riorganizzazione del disciolto Partito Fascista.

La CGIL proclama lo sciopero generale, e si stabilisce che a partire dal 30 Giugno i capi delle formazioni partigiane, guidate dal Presidente onorario della Corte di Cassazione Domenico Peretti Griva montino la guardia al sacrario dei partigiani caduti.

 

30 Giugno

Un corteo antifascista che percorre il centro di Genova è bloccato dalla polizia con il lancio di bombe lacrimogene. Rimangono ferite 83 persone. A Genova è proclamato lo sciopero generale.

Si verificano incidenti anche in altre città tra polizia e manifestanti antifascisti.

 

1 Luglio

La questura di Genova, su sollecitazione del Governo, propone al MSI di spostare la sede del Congresso a Nervi. Il MSI prima rifiuta, poi accetta. Viene sospeso lo sciopero.

 

5 Luglio

Un morto, il giovane Vincenzo Napoli e 24 feriti a Licata (AG) sono il bilancio degli scontri tra polizia e dimostranti nel corso dello sciopero generale contro la disoccupazione, guidato dal sindaco democristiano della Città.

Il Ministro dell’Interno Giuseppe Spataro intervenendo sul bilancio del suo ministero, accusa i comunisti di aver fomentato le manifestazioni di Genova e di aver scientemente perseguito una azione di forza contro il Governo e le istituzioni dello Stato.

Neofascisti incendiano a Ravenna l’abitazione del senatore Arrigo Boldrini, medaglia d’oro della Resistenza e presidente dell’ANPI.

A Milano è devastata  la sede  del Partito Radicale, mentre a Roma vengono lanciate bombe contro una sezione del PCI.

 

6  Luglio

A Roma una manifestazione antifascista a Porta San Paolo, organizzata dalle associazioni partigiane, in un primo momento autorizzata dalla questura, è proibita all’ultimo momento.

La manifestazione si tiene egualmente ed è duramente repressa dalla polizia,c eh fa uso di idranti ed interviene con le jeep ed una carica a c avallo, guidata dal futuro campione olimpico Raimondo D’Inzeo, capitano dei carabinieri.

Sono feriti diversi deputati, più gravemente il socialista Gian Guido Borghese e i comunisti Walter Audisio e Ambrogio Donini.

Sono fermati numerosi deputati del PCI e del PSI.

La DC rivolge un appello al Paese e dichiara “la sua fedeltà agli ideali della Resistenza e ai valori della libertà”.

Sono proclamati scioperi a Bologna e a Roma.

 

7 Luglio

A Reggio Emilia,  nel corso della manifestazione di protesta che si svolge in contemporanea con tutte le altre piazze d’Italia, per i fatti di Roma la polizia uccide cinque dimostranti: Ovidio Franchi 19 anni, Lauro Ferioli 21 anni, Marino Serri 40, Emilio Reverberi 21, Afro Tondelli 20.

A Parma, Modena, Castellamare di Stabia e Napoli si registrano feriti.

Protagonisti degli scontri sono ovunque giovani che rimarranno nella memoria del Paese come “ i ragazzi delle magliette a strisce”.
La CGIL indice uno sciopero generale, al quale non aderiscono CISL e UIL.

 

8 Luglio

A Palermo e Catania rimangono uccise quattro persone nelle manifestazioni legate allo sciopero generale: sono Andrea Gangitano 20 anni, Francesco Vella 45, Rosi La Barbera 54, Salvatore Novembre 22

 

9 Luglio

I funerali delle vittime di Reggio Emilia si svolgono alla presenza del senatore Ferruccio Parri e con la partecipazione di 80.000 persone, dopo che per tutto il giorno e per tutta la notte la cittadinanza era sfilata davanti alle salme, composte nell’atrio del Teatro Municipale.

Il giorno dopo migliaia di persone presenzieranno a Palermo ai funerali delle vittime dell’8, vi parteciperanno il segretario generale della CGIL, Agostino Novella e il vicesegretario del PCI. Luigi Longo.

 

19 Luglio

Tambroni rassegna le dimissioni dopo un colloquio con il Presidente della Repubblica

 

27 Luglio

Fanfani costituisce il suo III governo,che giura al Quirinale, aveva ricevuto l’incarico il 23: si tratta di un monocolore democristiano.

 

3 Agosto

Il governo Fanfani ottiene la fiducia dal Senato con 126 sì, 58 no e 36 astensioni. Votano a favore DC, PSDI, PLI, contro PCI e MSI, si astengono monarchici e socialisti.

Alla Camera si voterà la fiducia il 5, la maggioranza sarà composta anche dal PRI e Comunità non presenti al Senato; il governo otterrà 310 voti a favore, 156 contro, 96 astensioni.

L’astensione dei monarchici a destra e del PSI a sinistra indurrà Aldo Moro a definire quello di Fanfani il governo delle “convergenze parallele” intendendo con ciò che i contributi di monarchici e PSI, entrambi preziosi, sono tuttavia destinati a non incontrarsi, autonomi l’uno dall’altro.

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1 Commento


  • marco.furlanetto

    LA NOSTRA STORIA MI PIACE MARCO FURLANETTO 68 GENOVA

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