Un anno fa, la polemica sulla rimozione della formella commemorativa del fascista Ramelli dal Percorso della Memoria era solo l’ultima conseguenza di una serie di atti contraddittori e nebbiosi di Manlio Milani e della Casa della Memoria di cui è presidente. I prodromi della piega che stava prendendo Milani, presidente anche dell’Associazione Famigliari Vittime di Piazza Loggia, si erano visti nella partecipazione all’incontro pubblico sulla strage di Piazza Loggia organizzato da Casa Pound nel 2011, creando sconcerto, sdegno e stupore, ma incassando la qualificante solidarietà della Leghista Simona Bordonali, presidente della giunta comunale, e di Paola Vilardi, consigliere comunale Pdl.
Nel 2012 parte il progetto “Percorso della Memoria”; i promotori sono: Casa della Memoria, Rotary Club (si dice in odore di Massoneria), Comune di Brescia (giunta Pdl-Lega), Gruppo Locale Bu e Bei (anonimi signori che intendono restare tali), sancito con Delibera Comunale n° 230 2012 e con l’Alto Patrocinio del Presidente della Repubblica (mirabile la composizione dei promotori). Esso prevedeva la posa di formelle commemorative di tutte le vittime della violenza politica dal 1962, come se la storia repubblicana partisse da lì, a oggi, ordinate in semplice ordine cronologico. Il percorso si snoda da Piazza della Loggia, esattamente dalla Stele che ricorda la bomba, verso la salita al Castello di via Sant’Urbano.
Ecco le finalità, testualmente:
–Si ritiene che una collettività, desiderosa di giudicare serenamente una parentesi tragica della propria storia, debba avere il coraggio di ammettere e di ricordare il dolore pagato quale prezzo per sconfiggere la violenza di quegli anni. Questa testimonianza vuole raccogliere in un’unica espressione ciò che è affidato all’episodica rievocazione in manifestazioni deputate.–
Raccogliere il tutto in “un’unica espressione” avvicinando, nelle lapidi poste con tanta pompa, vittime e carnefici in nome di una stagione di tolleranza e “serenità” è la manipolazione delle coscienze, assolvendo e riabilitando, senza che ci sia stata nessuna espiazione, i fascisti di ieri e di oggi e i loro folli ideali.
Oggi la questione è ancora viva, bruciante, attuale: Rete Antifascista di Brescia presenta il dossier “Formelle della memoria..corta e manipolata”.
Già la copertina è eloquente: una composizione di quattro articoli de L’Unità, che ci ricordano di altrettanti gravissimi episodi di violenza politica, che sono stati deliberatamente ignorati dal Percorso della Memoria e dei quali sono stati vittime i proletari, gente che lottava per i propri diritti: la strage di Portella delle Ginestre(1947), l’eccidio delle Fonderie Riunite di Modena (1950), gli undici morti ammazzati durante le manifestazioni antifasciste di Reggio Emilia, Licata, Palermo, Catania (1960) e l’assassinio di Giovanni Ardizzone (1962). Ma, come è detto nell’introduzione dell’opuscolo, l’elenco delle vittime immortalate nelle formelle per l’installazione bresciana è esplicitamente ispirato alla pubblicazione Per le vittime del terrorismo nell’Italia repubblicana, curata dalla Presidenza della Repubblica nel 2008 in relazione al primo anniversario dell’istituzione del 9 maggio quale “giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice”.
La scelta di partire dal 1962 esclude gli episodi sopra elencati, ma questi sono episodi abnormi di violenza politica della storia repubblicana che hanno condizionato e continuano a condizionare la società, perpetrandosi quotidianamente nelle attuali espressioni repressive dei movimenti. Inoltre Ardizzone è stato ucciso nell’Ottobre 1962, tuttavia ignorato dall’elenco, nonostante rientri in pieno nel lasso cronologico definito.
I proclami del “Giorno della Memoria” recitano di ricordare le vittime: “tutte, qualunque fosse la loro collocazione politica e qualunque fosse l’ispirazione politica di chi aggrediva e colpiva”. In realtà di molti militanti di sinistra ammazzati non vengono neppure citati i nomi, o a volte lo sono in modo errato. Pertanto l’opuscolo proposto dalla Rete Antifascista ricostruisce un elenco preciso e attendibile della violenza di classe, mettendo a nudo il criterio arbitrario e mistificante scelto per il Percorso della Memoria, dove in un clima di revisionismo storico vengono minimizzati i crimini fascisti finanziati, coperti, insabbiati dallo stato e dai suoi servizi.
Si cita, in un documento allegato, Giorgio Napolitano là dove afferma: “(…) se nel periodo da noi considerato, si sono incrociate per qualche tempo diverse trame eversive, da un lato di destra neofascista e di impronta reazionaria, con connivenze anche in seno ad apparati dello Stato [ndr: è talmente palese che non lo si può negare nemmeno in un’opera di revisione storica!], dall’altro lato di sinistra estremista e rivoluzionaria, non c’è dubbio che dominanti siano ben presto diventate queste ultime, col dilagare del terrorismo delle Brigate Rosse”. Ridefinendo così, in un attimo, la percezione della realtà collettiva: lo stato è la tutela della democrazia e i rivoluzionari e i militanti di sinistra sono il male oscuro della società.
Ma è solo quando si è identificato il sottile legame tra verità e mistificazione che può nascere l’inquietudine. Le constatazioni oggettive che ci sbatte in faccia questo dossier suscitano il disgusto, mentre il riso sorge spontaneo davanti all’opposta constatazione dei curatori del Percorso della Memoria che la vita continua comunque e ci serve la pacificazione. Le culture, soprattutto in questo mondo globalizzato, non piovono dal cielo, le relazioni tra esseri umani sono il frutto di lotte di classe e rapporti di forza e cercare di mutarne l’aspetto per renderle socialmente gestibili non ha senso. Si distorce la realtà, l’immaginario comune, rinegoziando continuamente le immagini collettive per creare nuovi feticci come produttori di legami sociali e creare un regime di finzione. Questo appare lo scopo del Percorso della Memoria. Questa modalità di comunicazione demagogica, parziale, mistificatoria, spettacolare e di intrattenimento, definita anche come “infotainment”, non ha neppure bisogno di essere rigorosa e precisa nei suoi riferimenti, perché nessuno andrà a controllare le fonti e l’attendibilità delle affermazioni e la si può gestire come meglio si crede. Quello che a noi sembra sciatteria e omissione non è altro che l’arrogante certezza da parte del regime di avere stipulato un “nuovo contratto sociale” destinato ad attutire lo scontro di classe e creare una nuova coscienza collettiva manipolata.
La lunga serie di imprecisioni, omissioni e mistificazioni sono evidenziate con precisione inesorabile, attenta e minuziosa, ma solo fissandole in un documento pubblico si potrà avere un riferimento concreto, non virtuale e aleatorio della nostra storia. Non per voler correggere un progetto reazionario in sé, ma per ricostruire un dato di realtà storico e riaffermare il valore dell’antifascismo, come del resto ben espresso nella “Lettera Aperta a Manlio Milani”, che precede l’introduzione del volume.
Segue una rigorosa ricostruzione dell’elenco delle vittime, con sorprendenti scoperte, come ad esempio l’esclusione di Luca Rossi, studente assassinato da un agente della Digos nel 1986, o quella di Tito Tobegia, mitico capo partigiano bresciano, morto in seguito a un’aggressione fascista nel 1968. E ancora tanti altri, perché di sangue proletario e rivoluzionario ne è corso a fiumi, fino a Carlo Giuliani o Samb Modou e Diop Mor, i due lavoratori assassinati a Firenze il 13 dicembre 2011 da un cecchino di Casa Pound e il bresciano di nascita Davide “Dax” Cesare nel 2003.
Commovente l’ultima sezione con la bella poesia di Sante Notarnicola “La nostalgia e la memoria” e quella poesia di Edoardo Sanguineti “Odio di classe” che recita:
Bisogna restaurare l’odio di classe.
Perché loro ci odiano,
dobbiamo ricambiare loro
sono i capitalisti, noi siamo i
proletari del mondo d’oggi,
non più gli operai di Marx o i
contadini di Mao, “ma tutti
coloro che lavorano per un
capitalista […]
al quale la destra propone un libro dei sogni
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Rinaldo Capra
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