A fine settembre si è svolta a Napoli la conferenza internazionale sugli studi energetici (BIWAES1), una tre giorni organizzata dall’Università Parthenope di Napoli; esperti del settore si sono dati appuntamento per confrontarsi sulle prospettive. Tra gli interventi più interessanti sicuramente quello di Andrea Genovese, professore associato presso la Management School dell’Università di Sheffield, in Gran Bretagna. Nel suo intervento, Genovese si è concentrato sull’Economia Circolare, un sistema economico che fa riferimento ad una concezione alternativa al classico modello di produzione e consumo (basato sullo sfruttamento intensivo delle risorse naturali) cui siamo abituati.
Durante la presentazione, Genovese ha anche toccato anche l’argomento Cina, addirittura additando la Repubblica Popolare come esempio da seguire nell’implementazione di pratiche di Economia Circolare, discutendo di come il governo di Pechino abbia fatto un deciso passo verso questo tipo di modello. Affermazioni che hanno lasciato di stucco parecchi dei presenti in sala, studiosi compresi, abituati ad immaginare la Cina come un grande produttore di inquinamento, contraffazione e sfruttamento.
L’intervento ha posto l’accento anche sulla recente costituzione della Nuova Banca di Sviluppo (una iniziativa dei paesi BRICS) e di come questa possa rappresentare un volano (alternativo ai classici strumenti di Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale) per progetti che riguardino la sostenibilità ambientale e le energie rinnovabili. Proprio per questo abbiamo voluto incontrare Andrea Genovese per porgli alcuni quesiti in merito all’Economia Circolare (modello ancora poco discusso e poco conosciuto dai più) e, di riflesso, alla “questione cinese”.
Durante il tuo intervento hai descritto il paradigma dell’Economia Circolare. Puoi spiegarci di cosa si tratta?
La cosiddetta Economia Circolare prende spunto dai meccanismi che caratterizzano i sistemi naturali, e assume che i sistemi economici debbano funzionare secondo dei processi rigenerativi. In tale ottica, si tende al superamento del concetto di “rifiuto”: tutte le produzioni vanno progettate per potersi adattare all’interno di un ciclo chiuso dei materiali, attraverso pratiche di riutilizzo, riparazione e riciclo. Ciò consentirebbe di produrre beni e servizi con un dispendio di energia minimo, limitando il consumo di materie prime vergini.
In questa ottica, gli obiettivi principali dell’Economia Circolare sono l’estensione della utilizzabilità e della vita utile dei prodotti (in opposizione alle attuali logiche dell’obsolescenza programmata) e la promozione di attività di riparazione e ricondizionamento, in modo da ottenere una netta riduzione della produzione di rifiuti. Simili logiche possono essere applicate in tutti i settori dell’economia, dall’industria manifatturiera alle produzioni agricole. Si tratta di concetti tutt’altro che nuovi, che trovano la propria origine in teorie come quelle della Simbiosi Industriale (risalenti agli anni ’70 del Novecento).
È chiaro, l’applicazione su larga scala di una simile visione delle attività economiche comporta una revisione dei dogma della crescita quantitativa. Si abbandona la logica del “produrre per produrre”, al fine di “produrre ciò che serve”, provando a minimizzare gli impatti ambientali (in termini di consumo energetico e di utilizzo di materie prime).
Durante la tua relazione hai parlato di Cina come esempio da seguire per l’implementazione di pratiche di Economia Circolare. Sarebbe interessante far conoscere i motivi di questa tua affermazione, visto che per l’opinione pubblica la Cina è “sfruttamento, inquinamento e contraffazione”.
La percezione della Cina da parte dell’opinione pubblica italiana (ed europea, in generale) soffre di preconcetti dovuti ad una visione fortemente imperialista, neo-colonialista ed eurocentrica che ha contaminato anche le sinistre.
La Cina ha sicuramente conosciuto un impetuoso sviluppo industriale negli ultimi decenni. Un processo che ha condensato, in poco meno di settant’anni, secoli di rivoluzioni industriali. È innegabile che il costo ambientale di tutto ciò sia stato elevatissimo.
Eppure, recentemente, il governo di Pechino ha fatto segnare importanti inversioni di tendenza. Pensiamo, ad esempio, al focus sulle energie rinnovabili: nel 2016 la metà delle installazioni globali di impianti di generazione di energia solare si è concentrata nel paese asiatico; un trend che è continuato quest’anno, con ben 10 GW installati nel solo mese di luglio (equivalente alla metà della potenza solare totale italiana). Oppure, al recente annuncio di voler vietare (in una data ancora da definire) la vendita delle auto a benzina e diesel. Ancora, alle importanti iniziative di riforestazione.
Il tutto si inserisce in una strategia di sviluppo, coniata a partire dall’undicesimo Piano Quinquennale (varato nel 2006) e divenuta centrale nel tredicesimo (datato 2016), basata proprio sul concetto dell’Economia Circolare. Ad esempio, il governo sta ponendo grande enfasi sulla creazione dei cosiddetti Eco-Parchi Industriali. Questi ultimi non sono altro che grandi distretti manifatturieri (nei quali operano sino a 4000 imprese) all’interno dei quali aziende appartenenti a diverse filiere produttive si “scambiano” scarti di produzione e rifiuti che vengono dunque reimmessi nella catena del valore in luogo di materie prime vergini, piuttosto che finire in discarica o in impianti di incenerimento.
La transizione verso questo modello è sicuramente favorita dal fatto che, nella Repubblica Popolare, le leve della pianificazione economica e delle politiche industriali siano saldamente nelle mani del governo. Come autorevoli studiosi hanno dichiarato recentemente: la Cina è il paese al mondo che consuma più risorse e produce più rifiuti; ma, al contempo, è il paese che si sta dotando delle soluzioni più avanzate per superare il modo di produzione “lineare”2.
Ciò si riflette anche nel progressivo abbandono del Prodotto Interno Lordo quale unico indicatore delle prestazioni economiche. Una scelta già implementata da molte province cinesi (tra le quali Shanghai)3, coerentemente alla logica di voler promuovere una crescita “qualitativa” e non meramente “quantitativa”, che tenga d’occhio anche altri indici di progresso e benessere socio-ambientale.
A proposito di Economia Circolare, ci sono in campo iniziative dell’Unione Europea per lo sviluppo di questo tema?
L’Unione Europea ha lanciato, nel Dicembre 2015, un pacchetto di direttive sull’Economia Circolare. Nonostante la grancassa mediatica che ha accompagnato l’iniziativa, molta è stata la delusione di attivisti, intellettuali e forze politiche attenti al tema. L’UE, infatti, si è limitata a fissare dei target quantitativi (neppure troppo ambiziosi) sul riciclo dei rifiuti. Non si tratta affatto di un tentativo di mettere in discussione un modello di produzione di beni e servizi basato sullo sfruttamento intensivo delle risorse. Inoltre, l’applicazione dei meccanismi di Economia Circolare in un contesto di libero mercato come quello europeo è problematica: chi dovrebbe assumersi gli oneri della riconversione delle produzioni necessari per la transizione verso questo modello? I meccanismi di supporto agli investimenti sono ancora deboli ed insufficienti. Non potrebbe essere altrimenti, visto il regime di rigida austerità che vige nell’intera UE.
Nell’intervento hai fatto riferimento anche ai BRICS ed alla neonata Nuova Banca di Sviluppo. Credi che questi Paesi vogliano e possano investire in un nuovo tipo di economia?
Dal punto di vista dei paradigmi economici, i paesi BRICS non rappresentano affatto un agglomerato omogeneo. Credere che essi rappresentino una alternativa al capitalismo, sul modello del blocco socialista del ventesimo secolo rappresenta un grosso errore.
Tuttavia, il recente vertice BRICS conferma le linee di politica internazionale cinese degli ultimi anni, volte alla creazione di un coordinamento di paesi non basato su una condivisione politico-ideologica, ma su di una mutua convenienza economica. Ad esempio, il Brasile, nonostante sia ora guidato da un governo tutt’altro che antimperialista (quello del presidente golpista Michel Temer) ha preso parte attivamente al vertice. Ad ulteriore prova di ciò, si può citare la partecipazione all’incontro, in qualità di osservatori, di esponenti di governi certamente non ascrivibili allo schieramento delle forze di progresso (Messico, l’Egitto, il Kenya, la Guinea, il Tajikistan e la Thailandia).
Questi paesi guardano con interesse ai BRICS per la possibilità di sviluppare relazioni economiche paritarie, non basate sull’egemonia del dollaro o sulle logiche di rapina statunitensi.
In questo quadro, la creazione della Nuova Banca di Sviluppo (NBS) rappresenta una importante iniziativa, con positive ricadute anche sulla promozione di politiche di sviluppo sostenibile. Si tratta di un’istituzione finanziaria nata dagli accordi interstatali raggiunti durante il sesto summit dei BRICS tenutosi in Brasile, a Fortaleza il 15 luglio 2014.
La banca ha il principale obiettivo di finanziare (con modalità alternative a quelle vessatorie imposte dalle istituzioni “occidentali” quali il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale) investimenti infrastrutturali nei paesi BRICS. Dall’avvio delle sue operazioni (nel 2016), questa istituzione ha supportato, prevalentemente, progetti nel campo delle energie rinnovabili e, appunto, dell’Economia Circolare4.
1 Il sito internet della conferenza è rintracciabile al seguente indirizzo: http://biwaes.uniparthenope.it/
2Si veda, al seguente indirizzo, un articolo apparso sulla celebre rivista scientifica Nature sugli sforzi del governo cinese per l’implementazione dell’Economia Circolare: http://www.nature.com/news/circular-economy-lessons-from-china-1.19593
3Si veda, al seguente indirizzo, un articolo del Financial Times sul superamento, da parte della Provincia di Shanghai, del Prodotto Interno Lordo quale unico indicatore delle prestazioni economiche: https://www.ft.com/content/2c822efc-a51d-11e4-bf11-00144feab7de
4Una lista completa dei progetti finanziati ad oggi dalla NDB e’ disponibile al seguente indirizzo: http://www.ndb.int/projects/list-of-all-projects/
da http://www.lantidiplomatico.it/
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