La Nato intende adottare un percorso a tappe per l’adesione dell’Ucraina all’alleanza, senza però fissare un calendario temporale preciso. Questo è quanto ha dichiarato il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, all’apertura del vertice della Nato a Vilnius, in Lituania. Sullo sfondo del vertice c’è la controffensiva ucraina, che non sta affatto procedendo nel modo previsto da alcuni osservatori e auspicato da diverse potenze della Nato.
Le richieste di Kiev ai capi di Stato della Nato che si riuniscono da oggi a Vilnius sono sostanzialmente due: che venga definita una “chiara tabella di marcia” per l’ingresso dell’Ucraina, senza ulteriori indugi; e che gli alleati decidano, già oggi, quali garanzie di sicurezza sono disposti a fornire all’Ucraina in attesa del completamento del processo di adesione.
Ma un’entrata dell’Ucraina nella Nato con le ostilità in corso rischierebbe di portare l’alleanza ad uno scontro diretto e non più per procura con la Russia. Uno scenario che nessun paese membro, tranne forse la Polonia e i Baltici, ha finora dichiarato di contemplare. Sin dall’inizio della guerra, la Nato ha escluso un intervento diretto nel conflitto, evocando lo spettro di una “terza guerra mondiale“, con una chiara allusione al rischio di una escalation nucleare. È per questo che l’alleanza ha respinto, fra l’altro, la richiesta iniziale di Kyiv di creare una zona di interdizione aerea (no-fly zone) sui cieli ucraini per contrastare la superiorità aerea di Mosca.
La Nato non è ancora disposta ad assumersi un impegno alla difesa dell’Ucraina che implichi un coinvolgimento diretto delle forze armate dei paesi membri. Né è immaginabile, come qualcuno ha proposto, un’entrata dell’Ucraina accompagnata da una sospensione temporanea, nei confronti di Kyiv, dell’articolo 5 del trattato fondativo della Nato che prevede l’impegno alla mutua difesa.
I fautori di una rapida entrata dell’Ucraina nella Nato (Polonia, Gran Bretagna, Baltici) obiettano però che, condizionando l’ingresso dell’Ucraina nella Nato alla fine delle ostilità – ma soprattutto a un esito del conflitto positivo per l’Ucraina che appare improbabile – si dà alla Russia un potere di veto e le si offre anzi un incentivo a continuare la guerra.
Nel frattempo, il salto di qualità nelle relazioni fra Ucraina e Nato sarà garantito dal primo Consiglio Nato-Ucraina, che si svolgerà nella giornata di mercoledì e che vedrà la partecipazione del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, per la prima volta al tavolo degli alleati con una posizione di sostanziale equiparazione rispetto a gli altri leader presenti.
Nel vertice Nato a Vilnius si dovrebbe raggiungere un’intesa sui confini che la Nato s’impegnerebbe a difendere in ossequio all’articolo 5. Intesa che, almeno sulla carta, sarebbe più facile, se l’Ucraina riuscisse a riconquistare tutti i suoi territori, se cioè si tornasse alla situazione pre-2014. Sarebbe molto più complicata invece se, anche dopo la fine delle ostilità, la Russia continuasse a controllare porzioni di territorio come il Donbass e la Crimea.
In tal caso, Kyiv dovrebbe rinunciare a riprendersi con la forza i territori ancora in mano ai russi. L’articolo V si applicherebbe solo al territorio effettivamente controllato dal governo ucraino. Un accordo analogo a quello che si applicò alla Germania quando entrò nella Nato nel 1955, quando però la divisione della Germania era già consolidata da tempo.
Secondo Affari Internazionali, gli Stati Uniti appaiono più orientati sull’altra richiesta avanzata da Kyiv: la concessione di garanzie di sicurezza anche prima dell’entrata nella Nato. L’indicazione in questo caso sarebbe un accordo per il sostegno militare analogo a quello che Washington ha con Israele: non quindi un’alleanza formalizzata in un trattato, ma un accordo di partenariato strategico volto ad accrescere la capacità militare dell’Ucraina di opporsi alla Russia.
Il caso di Israele è ovviamente molto diverso da quello dell’Ucraina. Israele può contare su una superiorità militare convenzionale sui suoi avversari e dispone di una capacità autonoma di deterrenza grazie all’arsenale nucleare.
Nel corso del vertice di Vilnius, si attendono conferme anche sul fronte dell’aumento delle spese militari per raggiungere la quota minima del 2 per cento del Pil.
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