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“La crisi Covid 19 si supera con una pianificazione socialista”

L’emergenza sanitaria del coronavirus ha rilevato l’inadeguatezza dell’Unione Europea e dell’imperialismo americano nel far fronte alla crisi economica e sociale che ne sta derivando. Questa situazione, sta rilevando la fragilità e le carenze strutturali della globalizzazione capitalistica e del liberismo.

Per discutere di questi e di altri temi, abbiamo deciso, pertanto, di continuare il nostro colloquio con Luciano Vasapollo, caposcuola marxista di fama internazionale, nonché fondatore del capitolo italiano della Rete di Intellettuali e Artisti in Difesa dell’Umanità, con cui, in questi giorni di pandemia, stiamo discutendo delle criticità e delle opportunità che si presentano davanti.

Vasapollo è docente di Economia alla Sapienza e delegato del Rettore per i rapporti con l’America Latina e il Caribe. Inoltre, conosce molto da vicino la realtà di paesi rivoluzionari come Cuba e il Venezuela, i quali, se da un lato sono vittime delle sanzioni e del bullismo di Washington, dall’altro sono riusciti a sottrarsi dal giogo dell’imperialismo, ottenendo prima la propria indipendenza e sviluppando poi una via originale di transizione al socialismo.

Vasapollo è uno dei maggiori critici dell’Unione Europea in quanto polo imperialista e da molti anni ha proposto la costruzione dell’ALBA Euro-Afro-Mediterranea come percorso di democrazia partecipativa di base che si fonda su programmi di pianificazione socialista e non sulle politiche di massacro sociale neoliberiste.

Lo studioso ha spiegato come il suo sia un marxismo aperto – non per questo incline a revisionismi che hanno come unico scopo quello di depotenziarne le premesse – concepito in relazione al contesto e al divenire storico. Fra l’altro, è consapevole della centralità della questione ambientale, la quale potrà essere risolta solo agendo sulle cause strutturali che generano il conflitto fra capitalismo e ambiente.

Sebbene Vasapollo si collochi nell’alveo del pensiero marxista, egli favorisce un costante dialogo con altre visioni del mondo e culture radicali, contaminando incessantemente il proprio pensiero sia con l’apporto delle riflessioni dei keynesiani di sinistra – che se non sono giunti all’affermazione di un’alternativa di sistema, hanno altresì contestato una visione naturalistica dell’economia e dei rapporti sociali – che con la valorizzazione delle pratiche della radicalità cristiana di base, la quale è da sempre schierata dalla parte dei poveri e degli sfruttati.

Infatti, è stato allievo del più importante economista italiano del Novecento, Federico Caffè, di cui ricorda costantemente l’impegno per la salvaguardia del Walfare State e guarda, con grande partecipazione, alla parola continua del Papa. Recentemente, a proposito della questione ambientale, lo studioso ha segnalato l’importanza e la bellezza dell’Esortazione Apostolica di Papa Francesco, Querida Amazonia.

Per la casa Editrice Efesto, inoltre, sta per pubblicare, insieme a Rita Martufi e Joaquin Arriola, un volume dal titolo Volta la carta… nel nuovo sistema economico-monetario: dal mondo pluripolare alle transizioni al socialismo, in cui affronta i temi della crisi del multipolarismo e le possibilità di fuoriuscita dal paradigma neoliberista, che, negli ultimi trent’anni, ci ha condotto al disastro socio/economico.

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Sottoponendo a dura critica le pretese degli Stati Uniti, definiti da Vasapollo lo “Stato Imperiale”, ad intervenire negli affari interni di qualsiasi stato che ne metta in discussione gli interessi, in realtà il capitale privato investito all’estero dalle multinazionali con sede negli USA, Vasapollo entra nel dettaglio dei processi che hanno portato alla globalizzazione dei mercati e alla finanziarizzazione dell’economia.

Non si tratta di processi naturali, come vuole certa “dottrina economica”, spiega, ma essi sono stati agevolati attraverso l’espansione del neocolonialismo e le guerre, camuffate dal sistema multimediale come “umanitarie”, quando in realtà si è trattato di vere e proprie guerre di rapina.

Allo scoppio della crisi pandemica di Covid-19, gli Stati Uniti si sono trovati impreparati, ha spiegato l’economista. Nonostante fossero passati alcuni mesi dalla comparsa di questo nuovo virus, l’amministrazione Trump ha reagito in maniera ondivaga, prima minimizzando e poi accettando l’ineluttabilità della catastrofe.

Questo ha disorientato la popolazione americana e messo in seria crisi le pretese egemoniche degli Stati Uniti. Il sistema sanitario statunitense, in mano ai privati, alle case farmaceutiche e alle compagnie assicurative, non è stato assolutamente in grado di far fronte al contagio.

Le difficoltà degli USA, così come quelle di tutti paesi a capitalismo avanzato, sono, in realtà, il sintomo di una crisi che mette in discussione la capacità del capitalismo di rispondere ai bisogni e alle esigenze umane.

D’altro canto, i cosiddetti “paesi canaglia”, invero nazioni che si sono sottratte alle logiche imperiali dettate da Washington, come Cuba e il Venezuela, hanno dimostrato di sapere affrontare l’emergenza sanitaria, sia sul piano interno, sia sul piano della solidarietà internazionale, nonostante le criminali sanzioni cui sono sottoposte.

Anche i paesi non socialisti, il cui orientamento politico è, tuttavia, favorevole a una democratizzazione delle relazioni internazionali, stanno dando il loro contributo per risolvere l’emergenza sanitaria. Questi ultimi eventi hanno messo in discussione la leadership dell’Impero.

L’economista ha spiegato come “la cosiddetta globalizzazione” sia nata come uno strumento dell’impero americano, al fine di proteggere e espandere la penetrazione del capitale privato delle multinazionali all’interno dei singoli stati. Un fenomeno strettamente collegato a quello della “mondializzazione capitalistica” – termine da preferire, secondo Vasapollo, a quello di globalizzazione – è la finanziarizzazione dell’economia; quest’ultima si è imposta a scapito delle attività industriali e attraverso la speculazione borsistica.

La mancanza di un rapporto fra l’economia reale e i mercati finanziari, insieme alla crisi tendenziale del saggio profitto per le imprese capitalistiche, ha generato e continua a generare una crisi sistemica del capitalismo, il quale, di volta in volta, ha prodotto sia guerre che distruzioni di massa per uscirne.

Adesso, l’emergenza sanitaria causata dal diffondersi del coronavirus si somma alle altre criticità sistemiche del capitalismo, generando il collasso di un modello di sviluppo di per sé irrazionale, in quanto orientato alla massimizzazione del profitto a scapito dei bisogni collettivi. Il sistema capitalistico accumula vulnerabilità fino a quando un singolo elemento non ne fa crollare la struttura.

Le risposte della politica, l’iniezione di liquidità nel mercato al fine di mantenere la competitività delle grandi aziende, spiega, come è accaduto a seguito della grande depressione del 2008, sono inadeguate perché non agiscono sulle cause della crisi strutturale, la quale risiede nei rapporti di produzione e nell’irrazionalità del modello di sviluppo, fondato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e la compressione dei bisogni, sia individuali sia collettivi, in supporto dell’arricchimento esponenziale di una piccola minoranza di individui.

Adesso, la crisi del Covid-19 rende palese l’incapacità del capitalismo di risolvere grandi problemi. I paesi che adottano la pianificazione socialista, ha aggiunto, riescono ad affrontare il virus perché sono in grado di orientare la produzione al fine di soddisfare i bisogni sociali. Dunque, riescono a programmare che cosa produrre per aiutare le persone a superare questa situazione. Inoltre, la direzione politica, che attua il piano sulla base dei bisogni collettivi, non è sottoposta alle pressione degli interessi economici, i quali spingono nella direzione opposta, al fine di garantire i propri profitti.

L’importanza di costruire ospedali, sperimentare farmaci e produrre presidi sanitari non è presa in considerazione dagli attori economici che investono solo nei comparti in cui possono massimizzare il profitto.

Le esigenze della stragrande maggioranza delle persone – Vasapollo ha insistito sul problema delle disuguaglianze, facendo notare come pochi individui posseggano quasi tutta la ricchezza sociale – vengono, pertanto, ignorate o più spesso conculcate da questo sistema basato sull’estorsione.

Un altro problema su cui riflette è l’assenza di un soggetto, di un’organizzazione politica dei subalterni, con la potenzialità di mettere in discussione gli assetti vigenti e le compatibilità capitalistiche. L’eminente economista ha segnalato più volte la necessità di superare “l’ostracismo” nei confronti di Marx, il quale ha elaborato una “prassi alternativa e positiva” agli assetti vigenti.

Questa critica di sistema, ha riconosciuto, non è appannaggio esclusivo dei marxisti, ma anche di chi, come i keynesiani e il mondo cattolico di base, ha sottolineato l’irrazionalità e i danni prodotti dal liberismo economico. L’intervento dello stato, la programmazione politica e i correttivi del Walfare State sono il patrimonio di questa riflessione, che si rifiuta di sacralizzare l’esistente riproponendo le orride concezioni del darwinismo sociale.

Secondo Vasapollo, una crisi dalle proporzioni enormi, come quella che stiamo vivendo, può aprire l’occasione per ridiscutere, in termini di superamento, gli assetti capitalistici. Questa discussione, però, deve mettere al centro il tema dei sud del mondo, come serbatoio di pratiche e saperi alternativi alla logica del profitto, perché declinati in senso comunitario.

Un punto di riferimento per capire questo ci viene, sottolinea l’economista, dall’insegnamento di Gramsci, il quale, attraverso i temi dell’egemonia e del Moderno Principe, ha teorizzato le tattiche e le possibilità della transizione. Si tratta di un Gramsci rivoluzionario che ha trovato in America Latina la propria attuazione pratica, nella Cuba di Fidel e Guevara e nei paesi dell’ALBA.

Oggi, il meridionalismo di Gramsci può trovare nuova linfa in Africa o nei paesi del Sud del mediterraneo, ma è necessaria una svolta culturale che parta “dalla scienza e dalla coscienza” dei popoli.

È necessario, ha spiegato, tuttavia contaminare la nostra azione con il pensiero di rivoluzionari e filosofi che provengono da altri mondi e culture, che il marxismo occidentale ha marginalizzato o non ha nemmeno preso in considerazione.

Vasapollo ha ricordato Martí e Bolivar che hanno dato un enorme apporto alla riflessione sull’indipendenza e la sovranità dei popoli, declinate in una chiave antimperialista. Solo partendo dagli ultimi della terra, ha aggiunto, si può creare un fronte in grado di rompere con l’egemonia del capitalismo.

Bisogna riscoprire, pertanto, la vitalità dei popoli subalterni, la carica rivoluzionaria insita nella meridionalità dei comportamenti; questo comprende anche le tradizioni, la musica, il ballo, e perché no, anche la cucina. Non si sta parlando assolutamente di folklore, ma di vere e proprie pratiche rivoluzionarie, sottratte alla mercificazione e all’omologazione capitalistica.

Attraverso queste pratiche, è possibile costruire un senso comunitario e di appartenenza nazionale che, come abbiamo visto a Cuba e in Venezuela, ma anche nei paesi dell’ALBA, permette ai popoli di difendersi. I paesi dell’ALBA, è vero, non hanno raggiunto il comunismo, ma sono in cammino sulla via della rivoluzione e della transizione. Essi sono uniti dalla solidarietà. Nonostante il blocco soffocante, imposto dagli Stati Uniti, continuano a mantenere lo spirito del cambiamento.

Un altro elemento importante, ha spiegato l’economista, è quello dell’educazione; anche qui ritornano, circolarmente, i nomi di Gramsci e Guevara, cui è legato, indissolubilmente, il concetto di educazione e formazione dei popoli. Entrambi, infatti, hanno insistito sulla necessità di elevare la coscienza del popolo per rispondere alle sfide e ai ritorni controrivoluzionari.

Per formare la coscienza, però, ha voluto sottolineare, sono indispensabili dei veri insegnanti; insegnante, ha spiegato, è colui che lascia il segno; colui che rifiuta il conformismo e la cultura mercificata, ma insegna al popolo, in una dialettica continua fra teoria e prassi, a comprendere quali siano i propri interessi e quale sia il bene comune. Solo così, ha aggiunto, è possibile mettere in discussione un sistema fondato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura.

Lo stiamo vedendo oggi, quanto sia importante un equilibrio armonico con il nostro ambiente se non vogliamo che la natura si vendichi. È chiaro che gli squilibri fra natura e capitalismo mettono a serio repentaglio l’esistenza su questo pianeta. L’insegnante deve, perciò, criticare, sulla linea di Marx, l’economia politica, ovvero le mistificazioni della scienza economica dominante, che santifica i rapporti sociali e le storture strutturali insite allo sviluppo capitalistico.

Per questo è importante riscoprire il meridionalismo, Gramsci e il Che, con la loro filosofia della prassi e il loro amore per la vita. Per questo è essenziale un approccio pedagogico, in cui il pensiero e l’istruzione siano al servizio della persona, al di là di ogni ideologia che idealizzi l’autosufficienza egoistica dell’individuo.

Le dinamiche della vita devono essere quelle dell’umanità e non della destabilizzazione dell’umanità, come recentemente si è espresso anche Papa Francesco, il quale ha condannato coloro i quali speculano di fronte all’emergenza sanitaria e il dramma della pandemia.

In questa chiave, è importante valorizzare gli esempi che ci vengono dai sud, dai popoli originari come gli indios, le comunità contadine del nostro meridione, i popoli africani, nostri fratelli, che offrono modelli di un’economia più semplice, in armonia con l’esigenze della Casa Comune, in cui abbiamo dei contenuti locali, un sapere pratico dello stare insieme e un senso della comunità.

Vasapollo ha detto che importanti sono anche le esperienze del passato, sebbene non serva a niente una concezione ossificata della storia perché bisogna rifuggire dall’antiquariato se si ama veramente la conoscenza storica.

Infatti, la storia, così come sapevano Gramsci e Guevara, serve ad apprendere dagli errori e a comprendere le possibili alternative al presente, in cui viviamo la realtà dello sfruttamento. Nel passato esistono altri mondi e civiltà che hanno praticato un’economia e uno stare assieme non reificato, non alienato, di cui la coscienza rivoluzionare ha il dovere di appropriarsi.

Ha altresì tenuto a sottolineare come anche il marxismo occidentale non abbia fatto i conti con Martí, Bolivar, Gramsci e Guevara, di cui tardi e male sono stati tradotti i testi ed edite le opere. Da una parte per un vizio eurocentrico, dall’altra per una visione deterministica e meccanicistica dei processi sociali che ha fatto accettare, a tanti marxisti, lo stato di cose presenti come irredimibile.

Si è rifiutato di praticare un antimperialismo popolare, di solidarizzare con i popoli in lotta; sul piano economico si sono valorizzati, anche da chi, a torto a ragione, si richiama alla tradizione comunista, gli aspetti quantitativi, in una chiave ideologica produttivistica, invero incentrata sempre sullo sfruttamento.

Anche le scuole e le università, ha sottolineato, hanno il dovere di essere un momento di educazione popolare, così come sostenevano Guevara e Salvador Allende, che propugnavano il ruolo sociale degli istituti di cultura e che ricordavano agli accademici come essi fossero al servizio del popolo e non della borghesia.

Le università e le case di cultura devono favorire l’inclusione degli ultimi, degli sfruttati e dei sottoposti. Non possono ridursi ad essere dei collettori di idealismo ingenuo. Il pensiero deve tornare ad essere critico. Anche Gramsci, ha aggiunto, ha legato il sapere e l’educazione al processo di trasformazione sociale. Così Guevara, nell’alveo del gran debate sulla pianificazione, era consapevole che solo insegnando alle masse la gestione dell’economia, si sarebbe potuto formare l’uomo nuovo.

Vasapollo ha voluto ricordare una frase di Gramsci a questo proposito, che lo studioso ha utilizzato anche come titolo di un suo importante libro; “Uscire dal fosso e buttare via il rospo dal cuore”; questo significa che bisogna immaginare la storia come fosse un processo nel quale si deve dare pieno sviluppo ai valori vivi di solidarietà, autodeterminazione e giustizia sociale.

Quello su cui bisogna insistere, afferma, è l’importanza del coinvolgimento popolare nei processi di transizione perché una mera adesione passiva può portare ben presto i propositi rivoluzionari alla rovina. È il popolo che si deve mettere alla direzione dei processi di cambiamento. Per questo l’educazione, in una fase come questa di crollo del capitalismo, riveste un’importanza fondamentale.

Tuttavia, nonostante la criticità della situazione odierna, aggravata dalla diffusione di un virus che creerà ancor di più malessere e disoccupazione entro un contesto sordo ai bisogni dei subalterni, Vasapollo vede la possibilità di proporre e rendere effettiva un’alternativa, di cui esistono già modelli e tendenze.

La crisi economica e l’incapacità del capitalismo di rispondere alla pandemia – lo stiamo vedendo nei paesi a capitalismo avanzato, come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, ma anche in Brasile, dove Bolsonaro ha seguito sin da subito Trump nell’approccio negazionista del problema – faranno emergere la consapevolezza della necessità di un radicale ripensamento del modello di sviluppo capitalistico, non solo per gli squilibri e le ingiustizie che esso continuamente produce, ma soprattutto per il rischio serio – Vasapollo fa riferimento al tema dell’ambiente e del riscaldamento climatico – che questo sistema sta ponendo alla stessa esistenza dell’essere umano sulla terra.

Secondo l’economista, quella, che è più di una speranza, viene dalle periferie dell’impero, dal Sud del mondo, che vive a pieno la piena brutalità dei rapporti di produzione e le ingiustizie sociali, fondate sulla proprietà privata della ricchezza sociale e delle risorse naturali, che sono state depredate da multinazionali senza scrupoli. Dal Sud, o dai sud, come preferisce chiamarli Vasapollo, verrà la spinta sia verso la democratizzazione della sfera internazionale sia quella nella direzione di multipolarismo economico, oltre che politico.

Seguendo il pensiero di Gramsci, di cui ha valorizzato l’aspetto rivoluzionario a scapito delle letture “anestetizzanti” che ci propina l’industria culturale, è possibile, ma soprattutto necessario, individuare il soggetto della trasformazione: solo attraverso la formazione di un fronte comune dei popoli subalterni si possono creare le condizioni per rovesciare il sistema di asservimento, rompendo la catena di appropriazione della ricchezza sociale, da cui si alimenta incessantemente il capitalismo.

I sud del mondo, infatti, posseggono un patrimonio di nuove economie e comunalità, come le chiama l’economista, in cui sono emerse forme di democrazia di base. Infatti, anche nell’ambito delle società preesistenti al capitalismo -in cui non esistono solo residui feudali, che vanno abbattuti con la massima decisione – ci sono delle forme sociali che possono diventare certamente protagoniste di una lotta anticapitalistica e antimperialista.

La classe operaia non può riuscire sempre da sola a trasformare i rapporti di forza. Per questo, ribadisce, ritorna il pensiero di Gramsci, che in importantissime pagine dei Quaderni, sul Risorgimento e sul Meridionalismo, ha prospettato la possibilità per i contadini di entrare a far parte del blocco dei subalterni, il cui obiettivo è la trasformazione dello stato di cose presente.

Attualizzando questo dibattito, ha fatto osservare lo studioso, nonostante la prepotenza di Washington, gli Stati Uniti, e le realtà ad essi allineati come l’Unione Europea, stanno perdendo credibilità. Non solo sta emergendo un mondo pluralistico, che mette in forte discussione l’unilateralismo, ma la critica più conseguente alla globalizzazione capitalista viene da quei paesi, considerati a torto realtà periferiche, che dal Sud del mondo – categoria su cui tornerà più volte nel corso di questo intervento – contestano i parametri neoliberisti e le compatibilità del sistema imperiale.

Inoltre, la tendenza di alcuni popoli e stati a criticare l’imperialismo non è un fenomeno nuovo, ma una orientamento presente da molti anni. Il sistema delle relazioni internazionali è in via di trasformazione e il modello unipolare, emerso a seguito della Guerra Fredda è entrato irrimediabilmente in crisi.

Nonostante l’ideologia che, subito dopo la caduta del muro di Berlino e il disfacimento del campo sovietico, aveva decretato “la fine della storia”, ha aggiunto lo studioso, gli Stati Uniti sono costretti a fare i conti con l’emergere di stati che non accettano supinamente gli indirizzi e le decisioni prese dagli USA.

D’altronde, spiega, gli anni novanta erano conosciuti come il periodo del “Washington consensus”, durante il quale gli Stati Uniti imponevano a tutti i paesi i loro parametri economici, secondo gli indirizzi stabiliti da presunti organismi internazionali, come il FMI o la Banca Mondiale, in realtà al servizio della potenza egemone.

Tuttavia, ha aggiunto lo studioso, questi anni sono fortunatamente passati e la Cina, ad esempio, è diventata una grandissima potenza, la quale sarà in grado di superare sul piano economico gli Stati Uniti nei prossimi anni.

Infatti, si è vista la superiorità del modello di pianificazione nella gestione della recente emergenza sanitaria, che i dirigenti di Pechino sono riusciti ad affrontare efficacemente, nonostante la Cina sia un paese di un miliardo e mezzo dei persone. Anche la Russia ha cominciato a svolgere un ruolo più assertivo nelle relazioni internazionali, dopo gli anni della sottomissione economica e politica all’occidente, conosciuti come “era El’cin”, ostacolando, su tanti fronti, l’egemonia statunitense.

Tuttavia, ha spiegato, sono paesi coma Cuba e il Venezuela, ma anche il Nicaragua e il Vietnam per fare degli esempi, a rappresentare un’alternativa forte al sistema. Attraverso lotte per l’indipendenza vittoriose, le due sorelle caraibiche sono riuscite a sfidare la dottrina Monroe – ossia l’idea che gli Stati Uniti siano i padroni del continente americano – e sono finite per diventare dei modelli validi per tutti i Sud del mondo.

L’epidemia di Covid-19, inoltre, sta dimostrando quanto i paesi che adottano la pianificazione, anziché seguire gli appetiti del capitale privato, siano riusciti a gestire meglio, non solo al proprio interno, ma anche sul piano della solidarietà e della cooperazione internazionale, l’emergenza sanitaria.

Sappiamo tutti, dice, come siano giunti recentemente in Lombardia 53 medici cubani e come Cuba sia in prima linea nella sperimentazione e nello sviluppo di farmaci contro il Covid-19. Sappiamo come la Cina, con la sua economia pianificata e controllata dalla politica, sia riuscita a controllare la pandemia di Covid-19, attraverso la sperimentazione di un modello di quarantena di massa che anche i paesi occidentali sono stati costretti, infine, ad adottare, nonostante all’inizio si gridasse, con una certa dose di mala fede, alla dittatura e alla militarizzazione della società.

La capacità cinese nel prendere decisioni efficaci deriva dall’autonomia della politica nei confronti degli interessi economici, che nel paese asiatico sono subordinati agli interessi della collettività, ha spiegato il noto economista.

Tuttavia, Vasapollo ha tenuto a ribadire l’importanza di un fronte più ampio che riunisce i paesi e i movimenti sociali del Sud del mondo Quest’ultima espressione, ha aggiunto, non va intesa assolutamente in senso geografico, ma piuttosto raggruppa tutte quelle realtà che sono sì sotto attacco da parte dell’imperialismo, ma che hanno altresì sviluppato delle resistenze e dei processi di emancipazione dalla dipendenza economica e politica. Il Sud del mondo rappresenta su scala internazionale quelli che Antonio Gramsci chiamava i “ceti subalterni”.

Innanzitutto il Sud costituisce una categoria etica piuttosto che politica. Con essa si intende la concreta possibilità per i Sud del mondo – in cui possono essere iscritti anche le regioni del Sud Italia, la Spagna, il Portogallo, i paesi del mediterraneo, ecc., di rappresentare un’alternativa ai parametri e alle compatibilità capitalistiche.

Con questa espressione, ha spiegato, si intendono quelli che il filosofo martinicano, Franz Fanon, chiamava “i dannati della terra” oppure quelli che Papa Francesco chiama gli umili e gli sfruttati. Il noto economista, a questo proposito, ha citato la proposta della costituzione, sul modello bolivariano, dell’ALBA Euro-Afro-Mediterranea.

Questo progetto ha attivato un ampio dibattito internazionale. La proposta di ripartire dai PIGS – ovvero Portogallo, Italia, Grecia e Spagna – e dai popoli dell’Africa va nella direzione di recuperare i sud del mondo in una chiave emancipatrice. Il compito dell’ALBA è quello di promuovere processi di transizione al capitalismo, le cui priorità sono la lotta alle disuguaglianze e alla povertà. La filosofia dell’ALBA, pertanto, è radicalmente anticapitalista e antimperialista.

Un’unione del genere, sul modello dell’ALBA costituita da Ugo Chávez e da il Comandante Fidel Castro, può, ha spiegato, mettere in discussione, non solo l’Unione Europea, la cui inadeguatezza è stata rivelata una volta tanto dalle risposte all’attuale crisi pandemica – Vasapollo ha in mente le parole criminali della Presidentessa della BCE, Christine Lagarde, la quale ha detto che non è compito della Banca Centrale Europea sostenere gli stati in insolvenza – ma anche l’egemonia statunitense, che si fonda sui principi mercantilistici e i valori egoistici e cinici dell’individualismo.

La crisi dell’Impero e l’incapacità strutturale del capitalismo di risolvere le crisi che esso stesso produce, aprono la possibilità per un’altra economia, la quale mette al centro la ragione dell’umanità in contrapposizione alle leggi del profitto. L’ALBA prende vigore dall’esperienza di Nuestra America, cui bisogna guardare per la capacità di generare una fase di transizione in cui le masse stesse sono protagoniste.

In effetti, le lotte per l’indipendenza sudamericane del secolo scorso, le cui radici rimandano alle rivoluzioni ottocentesche di Martí e Bolivar, hanno consentito la nascita di veri e propri laboratori politici e questi processi, segnatamente in America Latina – definito da Vasapollo “il continente ribelle” – hanno consentito la nascita di governi popolari e progressivi, che si sono spesi a favore delle riforme sociali e della lotta alla disuguaglianza.

Ovviamente, ha aggiunto, a livello di governo, si registrano spesso degli scacchi in tanti paesi del Sud. Lo abbiamo visto recentemente in Brasile, dove il fascista Bolsonaro – attraverso un golpe giudiziario con cui i dirigenti popolari sono stati illecitamente discreditati sulla base di indizi falsi – è riuscito a prendere il potere, sostituendosi ai governi progressisti di Lula e Dilma.

Durante le presidenze del Partido dos Trabalhadores, milioni di brasiliani avevano valicato la soglia della povertà assoluta, ma oligarchie avare non hanno accettato che nessuno dei loro privilegi fosse scalfito. Tuttavia, i processi di cambiamento possono essere frenati, ma non spenti, perché trovano linfa oggettiva nelle ingiustizie e nelle prevaricazioni che il sistema di dipendenza produce.

Queste regressioni, tuttavia, le abbiamo viste in Honduras – ha proseguito – nel 2009, quando il presidente Manuel Zalaya, un liberale che aveva promosso un corso riformatore nel paese più povero del Centro America, è stato costretto a fuggire a causa di un golpe organizzato da chi non aveva accettato il suo tentativo di aderire all’ALBA.

Lo abbiamo visto in Bolivia, dove appena l’anno scorso un altro golpe ha sottratto dalle legittime funzioni il Presidente Evo Morales, conosciuto per la sua vicinanza ai poveri e agli indios e molto apprezzato da Papa Francesco. Si può ricordare l’Ecuador, il cui presidente Lenín Moreno, che ha tradito il progressista Rafael Correa, è oggi sotto i riflettori per la gestione fallimentare della crisi pandemica. Tutti conoscono le terribili immagini dei corpi accatastati per le strade della grande città ecuadoregna della costa, Guayaquil.

Tuttavia, i processi di emancipazione proseguono, segnatamente a Cuba e in Venezuela, ma anche in Nicaragua, dove la rivoluzione sandinista ha ridotto le disuguaglianze, migliorando non solo gli indici di sviluppo quantitativo, ma lottando attivamente contro l’analfabetismo e per l’istruzione di ampie masse contadine.

Si possono fare tanti esempi, ha aggiunto lo studioso. Tuttavia, nonostante le regressioni, di cui Vasapollo ha parlato, la tendenza del Sud del mondo a mettere sotto severa critica il Nord, ovvero il polo imperialista e sfruttatore delle risorse comuni, rimane ineluttabile. Realtà come Cuba e il Venezuela – ha ribadito – sono in prima fila anche nel processo di democratizzazione della sfera internazionale.

Tuttavia, questa tendenza si scontra, sottolinea lo studioso, con la resistenza da parte di Washington, che vuole mantenere la propria egemonia e tenta, dunque, sia di sfruttare la propria superiorità sul piano militare, sia di imporre sanzioni economiche. Eppure la crisi del sistema imperiale è seria e gli ultimi tentativi di mettere in crisi le realtà magmatiche della rivoluzione si risolvono in boutades e bluffs.

Per fare un esempio – ha spiegato lo studioso – recentemente il Venezuela ha subito il bullismo di Washington, che ha preteso, nello stile dei film western, di mettere una taglia sul presidente legittimamente eletto, Nicolas Maduro. L’accusa grottesca è stata quella di narcotraffico. Non essendoci prove, gli USA hanno offerto 15 milioni di dollari a chiunque fosse in grado di fornirle.

Il Dipartimento di Stato ha anche inviato delle navi da guerra per monitorare le coste del Venezuela, da cui dovrebbe partire questo traffico, ma siamo di fronte a tentativi maldestri orchestrati per distogliere l’attenzione. L’emergenza sanitaria ha dimostrato come il neoliberismo non solo sia costoso sul piano umano, ma anche inefficace a risolvere i problemi delle persone.

Siamo tutti a conoscenza – spiega – quanto costi un tampone negli Usa, si parla di migliaia di dollari, e come tante persone, perfino adolescenti, vengano rifiutate dagli ospedali, la maggior parte in mano dei privati, perché essi non dispongono dell’assicurazione sanitaria. La crisi del capitalismo, innanzitutto, è una crisi etica e di valori.

Manca la legittimità, dinanzi agli occhi del popolo, di questo sistema fondato sullo sfruttamento, sia di risorse sia di esseri umani, e per questo – ha sottolineato l’economista – l’Impero è costretto a tentarle tutte, pur di distrarre l’attenzione e manipolare le coscienze.

Nonostante ciò, la presunta supremazia del capitalismo è stata messa in discussione da forze vive, che hanno sottoposto a dura critica i rapporti di dipendenza. Inoltre, il sistema imperiale presenta molteplici contraddizioni che sono strutturali nel modello di sviluppo americano, il quale si fonda sul keynesismo militare, mascherato, a sua volta, da ideologia mercantilista. Questo modello sta subendo una crisi profonda, proprio per le sue premesse e contraddizioni.

Infatti, dopo la caduta del muro di Berlino (1989) e il conseguente collasso del blocco sovietico, sulla cui crisi si dovrebbe aprire un dibattito più articolato di quello che ci propone l’apparato multimediale dell’impero, gli Stati Uniti sono riusciti ad affermarsi come unica superpotenza.

Questo predominio americano, nondimeno, non ha nulla di etico o morale, ma piuttosto si tratta del predominio dell’imperialismo, il quale è fondamentalmente una categoria economica, nonostante esso possegga una dimensione ideologica innegabile. Infatti, l’imperialismo presuppone la centralizzazione del capitale e la sottomissione del sistema produttivo alla finanza, la quale non gioca un neutrale ruolo sovranazionale, come spiegano i corifei del liberismo, ma un ruolo di sottomissione delle economie subalterne all’egemonia imperiale.

È noto come il sistema finanziario internazionale premi chi obbedisca a Washington e giochi un ruolo effettivo nel determinare le sanzioni. Quest’oggi, chi prova a commerciare con Cuba o con il Venezuela, rischia delle severe punizioni. La politica del blocco, oltre che essere genocida, si fonda su pretese giuridiche infondate, come la vigenza extraterritoriale delle leggi americane. Come se gli Stati Uniti fossero il legislatore universale e non uno stato pariteticamente situato nella comunità internazionale.

Inoltre – ha aggiunto – l’imperialismo è un fenomeno eminentemente economico perché si basa sul drenaggio di gran parte delle risorse per lo sviluppo massivo dell’apparato militare. Per questo si parla di keynesismo militare, il quale, a differenza del keynesismo classico, presuppone una spesa pubblica orientata all’espansione del complesso militare-industriale, piuttosto che come risposta ai bisogni collettivi e al dramma della disoccupazione.

Va ricordato, per inciso, come Vasapollo abbia riflettuto a lungo sui temi della scienza e nella tecnica, le quali non sono affatto discipline neutre, prive di implicazioni politiche.

L’incapacità strutturale per gli Stati Uniti di affermare un’egemonia effettiva – sottolinea – l’emersione, nella dimensione globale, di paesi portatori di altre linee di pensiero e d’azione, insieme alle crisi economiche prodotte in continuazione da un’economia basata sulla speculazione finanziaria, sono tutti elementi che hanno portato negli anni a un ridimensionamento e poi ad una crisi delle pretese egemoniche degli USA.

Esistono, infatti, una serie di paesi, che possono non essere socialisti, come lo sono la Cina, il Vietnam, Cuba e il Venezuela, ma comunque interessati a inserirsi pariteticamente nel mercato mondiale, come l’India e la Russia – per fare degli esempi – e che mettono in discussione la guida unipolare dell’imperialismo.

Vasapollo ha ricordato, inoltre, la grave recessione scoppiata con la crisi del 2008, che nacque, invero, dalla finanza ma che aveva altresì le caratteristiche delle crisi di sovrapproduzione classiche. Tuttavia, ha spiegato, l’epidemia di coronavirus può assestare un colpo ancor più micidiale alla pretesa degli Stati Uniti di essere la “nazione dal destino manifesto o l’unica nazione indispensabile”, come dicevano Bush o Obama.

Ma questo vale anche per l’America First di Trump, slogan che cerca di nascondere i problemi piuttosto che di risolverli veramente. Le guerre in Jugoslavia (1999), in Afghanistan (2001), in Iraq (2004) e le successive crisi nel Medio Oriente, con la destabilizzazione della Libia e della Siria, hanno visto gli Stati Uniti in prima linea nell’imporre la propria egemonia con le armi.

Tuttavia, queste guerre, che hanno causato morte e distruzione per milioni di persone, non sono riuscite a rendere più saldo l’impero, anzi ne hanno sfibrato le forze, dissanguandolo da un punto di vista economico e rendendo manifesta al mondo la sua indegnità morale.

Quello cui stiamo assistendo, ha ribadito l’economista, è la nascita di un sistema multipolare delle relazioni internazionali, in cui alcuni stati riescono a muoversi nella direzione della solidarietà e della cooperazione, mentre altri rimangono prigionieri dei parametri e delle compatibilità capitalistiche, rimanendo asserviti al sistema economico/finanziario imposto dall’imperialismo.

Tuttavia, questa tendenza, in atto e fortunatamente irreversibile, verso un ordine multipolare, si scontra con l’ambizione delle classi dirigenti americane, che, invero, piuttosto che a favore del loro popolo, fanno politiche utili agli interessi delle multinazionali con sede negli Stati Uniti.

A questo proposito, Vasapollo ha tenuto a sottolineare che si deve comunque distinguere fra il popolo americano, anche esso succube della politica imperialista, e le sua classe dirigente, cinica e interessata soltanto ad estendere i propri privilegi. Negli Usa, pochi soggetti detengono gran parte della ricchezza sociale e le decisioni politiche vengono imposte da lobbies economiche prive di scrupoli.

Le élites statunitensi e la loro controparte europea hanno nascosto queste contraddizioni grazie all’efficacia e alla pervasività del loro apparato multimediale, con il quale hanno marginalizzato il dissenso e coperto i crimini commessi in tutte le parti del mondo dagli alleati dell’impero.

A questo proposito, ha ricordato il genocidio commesso dai Contras negli anni 80 in Nicaragua o quello compiuto in Salvador, dove trovò la morte anche l’arcivescovo Romero, o i massacri perpetuati durante le guerre del golfo, oppure la lunga serie di dittature appoggiate dagli USA in America Latina, in Cile, in Brasile, in Argentina o Uruguay. E in anni più recenti, ha ricordato i bombardamenti indiscriminati in Jugoslavia, in Afghanistan, in Iraq e Libia. Eppure questi episodi sono stati costantemente distorti e edulcorati.

Sull’irreversibilità di questa crisi, Vasapollo ha citato una recente intervista a Henry Kissinger apparsa sul Wall Street Journal – in realtà uno dei più importanti strateghi dell’impero e responsabile di gravi soprusi contro il popolo latino americano, segnatamente contro il Cile di Allende, in quanto Kissinger giocò un ruolo di primo piano nella realizzazione del colpo di stato che portò al potere Pinochet nel 1973 – il quale ha parlato dell’incapacità degli Stati Uniti di far fronte alla pandemia.

Infatti, ha detto il consulente di Nixon, “nessun paese, nemmeno gli Stati Uniti, può superare il virus” e perciò è necessario uno sforzo globale. È sintomatico – ha spiegato l’economista della Sapienza – come anche parte delle élites statunitensi abbiano preso coscienza della fine dell’impero.

L’emergere del multipolarismo mette una seria ipoteca sulle illusioni americane di poter imporre i propri diktat in ogni regione del mondo. Se da un lato, questo processo porterà a delle frizioni, dall’altro apre grandi possibilità per il dialogo e la pace.

Ma questo può avvenire, da un lato se gli organismi internazionali, come le Nazioni Unite, riusciranno a fare terra bruciata intorno agli avvelenatori di pozzi, dall’altro se i paesi socialisti, con la loro pianificazione economica e i loro elementi di democrazia sostanziale, diverranno un modello anche per tutti gli altri. Inoltre, la speranza più grande viene proprio dai Sud, in quanto già portatori di pratiche e saperi anticapitalisti.

Come ha scritto in una recente pubblicazione (Rosa Blanca), “nelle esperienze legate al lavoro della terra, meglio si comprendono i caratteri politici, antisistemici delle economie locali, che valorizzano saperi e stili di vita, risultano fondamentali per aggirare la logica produttivistica, dello sviluppismo quantitativo, incentrato sullo sfruttamento e imposto dal capitalismo globale”.

Inoltre, Cuba e il Venezuela, realtà che lo studioso conosce molto bene avendo avuto modo di insegnare a L’Avana e a Pinar del Rio e di collaborare con Fidel e Chávez, rappresentano un’alternativa concreta, sia dal punto di vista della solidarietà nelle relazioni internazionali, sia dal punto di visto economico.

Tuttavia, ha aggiunto, bisogna ricordare tutti i laboratori politici che sono sorti in America Latina nell’alveo del progetto del Socialismo del XXI secolo, come il Brasile di Lula e Dilma, l’Argentina dei Kirchner, che adesso sta acquistando nuovo protagonismo con il presidente Alberto Fernández, la Bolivia, nonostante il recente golpe attuato dall’oligarchia compradora ai danni di Evo Morales, il Nicaragua di Ortega e l’Ecuador di Correa.

Sono tutti paesi che hanno costituito e continuano a costituire un fronte in alleanza oggettiva con tutti i Sud del mondo. Sono realtà in cui si è posto il problema della transizione e si sono eliminate quelle tare feudali, di cui ha parlato anche Gramsci, e che non sono incompatibili con il capitalismo e il liberismo.

È noto come il neoliberismo abbia trovato la propria linfa di cultura nell’ambito di autocrazie e dittature militari, imposte dall’imperialismo nel Sud del mondo. Il caso più emblematico è il Cile di Pinochet, che implementò da subito gli indirizzi della scuola di Chicago, reprimendo i movimenti sociali e torturando e uccidendo in massa gli oppositori.

Secondo Vasapollo, all’interno del marxismo, che lui contamina continuamente con altri di indirizzi di pensiero critico e non conforme, non esiste una dottrina della transizione.

Il socialismo, per Gramsci e Guevara, è innanzitutto la scienza dell’esempio, in cui la storia possiede un’importanza fondamentale. Per inciso, sappiamo come Marx fosse un ammiratore di Giambattista Vico, il quale sosteneva che l’uomo facesse da sé la propria storia e conosciamo quanto sia importante per Gramsci e Guevara la complementarità di teoria e prassi; l’una non può fare almeno dell’altra, perché se la teoria serve a orientare la prassi, la prima deve trovare una continua verifica nella seconda.

E sappiamo, spiega, come sia necessario avere una concezione antideterministica del tempo storico, in cui sono sempre possibili, leninisticamente, delle rotture. Dunque è necessario guardare gli esempi che ci vengono dalle esperienze di trasformazione presenti in tutto il mondo e trarre insegnamenti da questo passato per attualizzarlo nel presente.

Vasapollo, che ha scritto un importante libro su Che Guevara (Che Guevara economista, 2007), ha ricordato a questo proposito il dibattito sulla pianificazione tra il rivoluzionario cubano e i sovietici nei primi anni sessanta, in cui il rivoluzionario argentino sostenne proprio l’idea di come il marxismo non abbia sviluppato una teoria della transizione erga omnes e pertanto come ciascun popolo abbia la necessità di trovare la propria strada per realizzare il socialismo.

Non esistono, dunque, ricette confezionate, ma degli esempi, storicamente dati, su come i rivoluzionari si siano posti il problema della transizione e della pianificazione. Sono le contingenze e i contesti concreti a determinare la politica di trasformazione dello stato di cose presenti.

Questi processi di transizione, ha aggiunto, si sono concretizzati in governi popolari che hanno promosso dei cambiamenti sociali e delle riforme radicali. Rievocando questo dibattito fra il Che e i sovietici, Vasapollo ha spiegato come il rivoluzionario avesse optato, contrariamente al modello del calcolo economico propugnato dai sovietici, per un modello di pianificazione che non fosse solo quantitativo, ma piuttosto capace di rispondere ai bisogni collettivi del popolo.

Come ha spiegato Isabel Monal Rodríguez – la direttrice del Dipartimento di Studi Marxisti a Cuba – in Italia e in Europa “vi è una scarsissima consapevolezza del dibattito nato in seno al governo cubano sulle principali questioni politiche-economiche della transizione post-capitalistica”.

Vasapollo ha ricordato come il Che fosse preoccupato che gli incentivi materiali “prevalessero sulla coscienza”. Secondo le parole di Monal, ha aggiunto, Guevara “pensava che la pianificazione fosse molto più che una mera risorsa tecnica per gestire l’economia: era la via attraverso la quale ampliare il raggio della razionalità umana riducendo progressivamente l’incidenza del feticismo, di cui la credenza nell’autonomia delle leggi economiche si alimentava”.

Nonostante fosse cosciente dell’importanza degli incentivi materiali, il Che comprendeva come fosse necessario rendere coscienti le masse della necessità delle scelte effettuate e dei sacrifici compiuti. Il rifiuto del mercantilismo, da parte del rivoluzionario argentino, non era dettato da calcoli economici, bensì dalla necessità concreta di educare il popolo a una cultura nuova, opposta a quella della mercificazione e dei suoi feticci.

Si rifiutava il valore intrinseco del denaro ridotto a calcolo aritmetico, utile soltanto per determinare i costi della pianificazione. Le vie della transizione, spiega Vasapollo, sono molteplici e esse devono prendere in considerazione le circostanze; l’importanza risiede nel fatto che si prepongano sempre i valori etici e gli interressi degli umili alle mere esigenze quantitative.

Vasapollo ha voluto concludere questo colloquio, riaffermando la vicinanza di vedute e pensiero fra Che Guevara e Fidel Castro, i quali rimasero, l’uno per l’altro, un riferimento costante. Il leader storico della Rivoluzione cubana, Fidel, ha aperto la strada ad un intenso dibattito, che dura fino ad adesso, sull’importanza della tutela della natura e di un modello sostenibile, la cui attuazione è necessaria per evitare la catastrofiche, di cui stanno dando segnale gli ultimi eventi.

In questi tempi, in cui l’emergenza sanitaria rileva l’inefficacia del sistema sanitario privato, basato sul profitto, risuonano profetiche le parole del Comandante; “nonostante ogni individuo e ogni popolo abbia diritto a una vita sana e a godere il privilegio di un’esistenza prolungata e utile, le società più ricche e sviluppate, dominate dall’affanno del lucro e del consumismo, hanno trasformato i servizi medici in volgare merce, inaccessibile per i settori più poveri della popolazione. In molti paesi del terzo mondo tali servizi appena esistono. E, tra i paesi sviluppati e i paesi eufemisticamente qualificati come ‘paesi in via di sviluppo’, le differenze sono abissali”.

Proprio ripartendo da nuove relazioni internazionali che partano dalla centralità delle ragioni del Sud e dal mondo degli sfruttati è possibile, ha infine concluso, rimettere in discussione gli assetti vigenti.

* da Faro di Roma

 

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1 Commento


  • Nanni

    Più facile superare la crisi con l’abolizione totale dei Decreti Sicurezza e garantendo il permesso di sbarco e soggiorno alle tante persone che necessitano della nostra fattiva solidarietà e disponibilità di territorio. E sarebbe anche ora che a livello statale, si riconoscessero finanziamenti a fondo perduto per i curdi delle YPG/SDF, che a causa di questa crisi sanitaria-e-economica, hanno visto drasticamente ridursi i proventi dall’estrazione e dalla vendita illegale in nero del petrolio siriano. In questo momento di fame e di crisi, non possiamo abbandonare i nostri fratelli compagni curdi agli Omar Fields senza freschi dollori. Organizziamo collette di movimento ed inviamo loro il nostro solido e sodale aiuto economico. Il tempo stringe! Aiutiamoli subito!

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