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Dossier Perù: epicentro dell’instabilità politica latinoamericana

In meno di 5 anni si sono alternati ben 6 presidenti: l’ultimo, Pedro Castillo esponente di sinistra, è stato deposto il 7 dicembre 2022 scatenando una massiccia sollevazione dei popoli originari, brutalmente repressa dal governo illegittimo dell’ex vicepresidente Dina Boluarte.

Un breve excursus delle travagliate vicende politiche peruviane dalla dittatura di Fujimori alle proteste contro la repressione in atto e a favore di imminenti elezioni presidenziali e una nuovo iter costituente.

Fra i principali “mali endemici” latinoamericani, l’instabilità politica ha raggiunto negli ultimi anni in Perù un livello che probabilmente ha pochi precedenti storici. Dopo il decennio dittatoriale di Alberto Fujimori che ha attraversato tutti gli anni ’90 del secolo scorso, con l’inizio del nuovo millennio e la fuga di quest’ultimo in Giappone per sottrarsi alla giustizia peruviana, la presidenza viene assunta ad interim dal Presidente del Congresso, Valentin Paniagua, dal novembre 2000 al luglio 2001, quando si insedia l’economista liberista Alejandro Toledo fuoriuscito vincitore dalle nuove elezioni che rimane in carica fino al termine del mandato nel 2006.

Nello stesso anno viene eletto il candidato di centro-sinistra, Alan Garcia, già presidente prima dell’era Fujimori, dal 1985 al 1990, a cui succede nel 2011 Ollanta Humala, anch’egli di centro-sinistra ma ben presto protagonista di una decisa virata a destra che lo porta ad allontanarsi dalla sua base elettorale. Come dichiarato dall’accademico e politologo peruviano Wilfredo Ardito “Humala paga l’isolamento in cui si è venuto a trovare al termine del suo mandato. Eletto con l’obiettivo di portare un messaggio di sinistra e innovazione, durante la sua presidenza si è invece avvicinato ai grandi gruppi estrattivi, da molti è stato visto come un traditore“.

Dopo il decennio di dittatura fujimorista e il cambio di linea politica di Humala, a partire dal 2016, allor che viene eletto l’economista anch’egli liberista Pedro Pablo Kuczynsky, il Paese si appresta al picco del destabilizzante tourbillon presidenziale. Dopo aver concesso la grazia a fine 2017 a Fujimori, finito in carcere dal 2007 per corruzione, nel marzo dell’anno successivo, Kuczynsky, dopo esser stato incriminato per voto di scambio proprio per la liberazione dell’ex dittatore, si dimette e gli subentra il suo vicepresidente Martin Vizcarra.

Quest’ultimo, dopo un lungo braccio di ferro istituzionale con il parlamento controllato dall’opposizione, previa apertura del procedimento di empeachment l’11 settembre 2020, viene sfiduciato dal Parlamento il 9 novembre successivo “per incapacità morale”, a causa di un presunto coinvolgimento in uno caso di corruzione risalente al 2014.

La rimozione di Vizcarra, accusato senza prove e in assenza di una inchiesta ufficiale, è stata giudicata, da diversi analisti e da molti peruviani, un golpe istituzionale compiuto da un parlamento delegittimato contro un politico che aveva nel suo programma di governo, pur essendo egli stesso parte dell’oligarchia nazionale, la moralizzazione delle istituzioni e la lotta alla corruzione.

A Viczarra, secondo le disposizioni della costituzione peruviana, il 10 novembre 2020 subentra, il Presidente del Congresso, Manuel Merino del partito di centro-destra Azione Popolare, che da vita ad un governo di estrema destra, con il sostegno degli ammiragli della Marina Militare peruviana. Nel Paese intanto dilagano le proteste popolari dalla destituzione di Viczarra le quali, represse brutalmente dal nuovo governo, il 15 novembre causano la morte di 3 manifestanti, oltre a centinaia di feriti. La condanna della condotta particolarmente violenta della polizia da parte del Corte costituzionale peruviana, provoca l’abbandono di 13 dei 18 ministri e la richiesta di dimissioni dell’appena insediato Merino che lo stesso pomeriggio lascia la presidenza dopo soli 5 giorni.

A questo punto, il 17 novembre 2020, il nuovo presidente del Congresso, il centrista Francisco Sagasti, sostituisce Merino alla guida del Paese, divenendo il terzo capo di Stato nel breve arco di una settimana e stabilendo una sorta di record mondiale dell’instabilità politica. Sagasti riesce tuttavia nell’impresa di portare a termine il mandato fino al luglio successivo, quando si insedia alla presidenza, il maestro di strada, espressione de “los de abajo”, non che esponente di Perù Libero, Pedro Castillo dopo aver inaspettatamente sconfitto la figlia di Fujimori, Keiko, candidata dell’estrema destra, con un lievissimo distacco di soli 44.000 voti al ballottaggio del 6 giugno 2021, per 50,13% contro 49,87%.

Castillo, insegnante prestato alla politica, quindi privo di esperienza, viene eletto con il voto compatto dei popoli amerindi della zona dell’altopiano, mentre la costa a maggioranza bianca e motore dello sviluppo capitalistico del Paese vota in prevalenza per Keiko Fujimori. I poteri forti, l’oligarchia nazionale e le forze reazionarie, sin dai primi giorni dopo il suo insediamento, iniziano a tramare per bloccare l’azione riformatrice di governo di Castillo e per causarne la caduta o la destituzione. In particolare, cercano di determinare una empasse politica del nuovo presidente facendo leva sulla mancanza di una maggioranza parlamentare di supporto al governo, essendo l’organo legislativo controllato dall’opposizione.

Uno dei principali elementi di criticità del sistema istituzionale presidenziale, praticamente adottato in quasi tutti gli stati latinoamericani, risulta proprio quello dei presidenti eletti al secondo turno, possibilità abbastanza frequente, privi di maggioranze parlamentari, i quali, nel migliore dei casi, si trovano costretti a continue mediazioni con l’opposizione, rendendo ardua l’attuazione dei propri programmi di governo e, nel peggiore, ad essere destituiti da Golpe istituzionali, tramite voto parlamentare.

Pedro Castillo dopo aver trascorso un periodo estremamente difficile alla guida del Paese andino, durante il quale gli è stata resa impossibile l’attuazione dell’azione di governo e dopo aver commesso anche errori di inesperienza, viene messo in stato di accusa e deposto il 7 dicembre 2022, tramite voto parlamentare con 101 favorevoli e 6 contrari su 130 voti, per aver tentato, il giorno precedente, di sciogliere il parlamento, in vista dell’ennesimo voto di destituzione archi5tettato dalle opposizioni, e di instaurare un “governo di emergenza nazionale”.

La vicepresidente Dina Boularte subentra alla presidenza dando vita ad un governa di destra benché in origine esponente del partito di sinistra Perù Libero, mentre nel Paese esplodono le proteste popolari, soprattutto da parte delle comunità indigene dell’altopiano, che vengono violentemente represse dalla polizia con oltre 60 morti e centinaia di feriti.

Le imponenti manifestazioni dei popoli indigeni, approvate dall’89% della popolazione, hanno in cima alla piattaforma di rivendicazione le dimissioni di Dina Boularte, il cui governo è considerato illegittimo anche da Messico, Argentina, Bolivia, Cile e Colombia, l’indizione di elezioni per il prossimo ottobre e una assemblea costituente per la stesura di un nuovo testo costituzionale che archivi quello, ereditato dalla dittatura di Alberto Fujimori.

La costituzione entrata in vigore nel 1993 durante la dittatura, oltre ad una chiara matrice neoliberista che ha favorito importanti privatizzazioni, non contempla i diritti dei popoli amerindi, al contrario di quella dello Stato Plurinazionale della Bolivia e dell’Ecuador gli altri due Paesi sudamericani ad elevata percentuale di popolazione indigena, oltre a costituire fonte di instabilità politica permanente che, dal marzo 2018 al 7 dicembre 2022, ha portato addirittura all’avvicendamento di ben 6 presidenti.

L’approvazione di una nuova costituzione che superi l’impianto neoliberista, riconosca i diritti della natura e dei popoli amerindi costituisce il primo passo verso una nuova stagione politica, che affronti l’annosa questione delle gravi disuguaglianze interne, non solo sociali fra l’oligarchia e i ceti subalterni, ma anche territoriale, fra la costa dove si trova Lima e l’altopiano e la parte amazzonica, non che etnica, fra bianchi, in prevalenza benestanti e ricchi, e i popoli amerindi, poveri ed emarginati anche politicamente.

I peruviani in lotta sono consapevoli della necessità di invertire le politiche economiche neoliberiste che, a partire dall’era Fujimori, hanno aperto la porta alla privatizzazione dei servizi pubblici, il taglio della spesa sociale, sanitaria e per la pubblica istruzione oltre al rilascio di numerose concessioni di sfruttamento delle risorse minerarie ed energetiche a vantaggio di multinazionali straniere che hanno comportato la devastazione delle terre andine e amazzoniche abitate dalle comunità indigene.

Un modello economico che porta esclusivo beneficio alle oligarchie e ai ceti abbienti nazionali, non che al capitale transnazionale, contro il quale i popoli amerindi stanno lottando da decenni e in questa fase con maggior convinzione, decisi a chiudere definitivamente la lunga stagione post coloniale, neoliberista e repressiva che li ha relegati al ruolo strutturale di vittime sacrificali del profitto e della rendita estrattivista.

Perù: uno sguardo all’economia

(Fonte: Osservatorio economico della Farnesina: InfoMercatiEsteri)

Principali indicatori economici

Perù 2017-2023

Anno 2017 2018 2019 2020 2021 2022 20231
Popolazione (milioni) 31,8 32,2 32,5 32,8 33,2 33,6 33,9
PIL

(mld € a prezzi correnti)

190,9

 

192,1 207,5 180,2 191 219,4 220,5
Tasso di variazione % del PIL a prezzi costanti 2,5 4 2,3 -11 13,6 2,6 2
PIL pro capite a prezzi correnti (US$) 6.778 7.053 7.149 6.272 6.799 7.198 7.341
Saldo bilancia commerciale

 (mld €)

5,9 6,1 6,1 7,2 12,5 9,4 7,3

1) Per il 2023 i dati sono delle previsioni

Fonte elaborazioni Osservatorio economico Maeci su dati Economist Intelligence Unit e Fondo Monetario Internazionale. Ultimo aggiornamento: 07/03/2023

I principali settori dell’economia peruviana

Settore Minerario

Il Perù è un paese tradizionalmente minerario: è il secondo produttore mondiale di rame (3° per riserve), argento (1° per riserve) e zinco (3° per riserve); il terzo di piombo; il quarto di stagno e molibdeno; il sesto di oro. Dispone, inoltre, di considerevoli giacimenti di minerali di ferro, fosfati, manganese e litio.

Il rame rappresenta il 30% del totale esportato dal paese e circa la metà delle esportazioni minerarie. A sua volta, l’export minerario, nel suo complesso, rappresenta i 2/3 dell’export paese. I principali acquirenti del rame sono Cina (63%), Brasile (10%) e Giappone (9%), mentre l’oro è destinato soprattutto a India (30%), Svizzera (29%) e Stati Uniti (25%). A partire dalla fine del 2018, il comparto estrattivo peruviano – e, particolarmente, il settore cuprifero – sia stato destinatario di forti investimenti nazionali ed esteri grazie alla combinazione di livelli di prezzo del minerale bassi ma redditizi e costi di finanziamento e di esercizio contenuti.

Settore Agricolo – Agroindustriale

Il settore agro-alimentare, che registra i maggiori guadagni relativi di produttività in coincidenza con il passaggio dall’agricoltura tradizionale all’agroindustria, è previsto confermarsi come uno dei settori a più alto potenziale dell’economia peruviana. Il Perù si sta affermando come uno dei maggiori produttori mondiali di frutta e ortaggi grazie alla sua particolare morfologia: è tra primi i 10 paesi al mondo per biodiversità e vi si possono trovare 84 delle 104 zone di vita e 27 dei 32 climi identificati sul pianeta. Il paese è tra i primissimi produttori ortofrutticoli mondiali di asparagi, carciofi, banano biologico, peperoncino, avocado, uva da tavola, mirtilli, melograno, mango, cacao, caffè, cipolla, agrumi.

Settore Tessile – Abbigliamento

Il Perù è un paese tradizionalmente produttore e trasformatore di fibre pregiate tra le migliori al mondo (cotone, alpaca, vigogna). L’80% della produzione mondiale di fibra d’alpaca è concentrata nel Perù. È l’ottavo produttore di camicie in cotone nel ranking mondiale. Anche i t-shirt di cotone hanno un’elevata domanda da nicchie di alto potere di acquisto dagli Stati Uniti e Sudamerica.

Settore Ittico

Il Perù é il principali produttore di farina di pesce a livello mondiale, Nel 2019 ha prodotto 890 migliaia di tonnellate.

Relazioni internazionali

I Trattati di Libero Scambio costituiscono da tempo una importante componente della politica estera commerciale perseguita con costanza da oltre mezzo secolo dal Perù.

Da una iniziale forma bilaterale si è passati, con la lenta progressiva crescita di una maggiore percezione della conveniente integrazione economica dei diversi paesi del continente ad una sottoscrizione comune con equivalenti unioni o associazioni multinazionali mantenendo tuttavia alcune importanti eccezioni: Cina, USA e Canada, – nell’ordine i 3 principali partner commerciali del Perù nel 2019- hanno accordi in vigore dal 2010  la prima e dal 2009 gli altri due.

Con l’entrata in vigore del trattato con l’Unione Europea (marzo 2013) la quasi la totalità delle esportazioni non agricole peruviane e il 57% di quelle agricole ha accesso al mercato comune in esenzione doganale ed al contempo sono venute a cadere una serie di barriere tariffarie all’importazione di prodotti tessili ed alimentari europei di eccellenza in questo Paese. Sono altresì previste facilitazioni all’accesso sul mercato peruviano per i grandi investitori nei settori delle commodities ed in quello minerario.

Fonte: https://www.infomercatiesteri.it/paese.php?id_paesi=52

Perù: una nuova guida agli investimenti

La nuova Guida, realizzata dal Ministerio de Relaciones Exteriores del Governo peruviano in collaborazione con Ernst & Young-EY Perù e Proinversión, agenzia di promozione degli investimenti, fornisce informazioni sulle proiezioni dell’economia peruviana. Di seguito alcuni bervi stralci.

Informazioni generali

L’economia del Perù è caratterizzata da solide fondamenta macroeconomiche, risultato dell’attuazione di una politica anticiclica e di un ambiente esterno favorevole. Dopo una caduta del PIL stimata all’11.5% per il 2020, è prevista una solida e rapida ripresa. Secondo le stime del Ministerio de Economía y Finanzas, l’economia peruviana crescerà ad una media annua del 4,1% tra il 2022 e il 2026.

Per quanto riguarda i principali indicatori macroeconomici, l’inflazione si attesta tra i valori più bassi dei paesi dell’America Latina mentre il debito pubblico si prevede arriverà al 35.1% del PIL; livello notevolmente inferiore rispetto a quello delle economie emergenti (63.1% del PIL) e della regione sudamericana (81.5% del PIL).Nonostante il clima di incertezza generato dalla pandemia, il Perù è riuscito a mantenere un rating stabile.

La strategia di sviluppo peruviana si basa principalmente su un’economia aperta e competitiva. Attualmente il Perù vanta ben 32 trattati bilaterali con Argentina, Australia, Bolivia, Canada, Cile, Cina, Colombia, Cuba, Repubblica Ceca, Danimarca, Ecuador, El Salvador, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Giappone, Malesia, Paesi Bassi, Norvegia, Paraguay, Portogallo, Romania, Singapore, Repubblica di Corea, Spagna, Svezia, Svizzera, Thailandia, Unione economica Belgio-Lussemburgo, Regno Unito e Venezuela.

Idrocarburi
Il settore degli idrocarburi è una delle aree che concentra il maggior numero di iniziative di investimento privato. Nel 2019, gli investimenti in esplorazione e sfruttamento di petrolio e gas naturale sono stati di 620 milioni di dollari (4% in più rispetto al 2018). Nel 2019 il settore è cresciuto complessivamente del 4,6%.

Rischi politici

Proteste contro l’industria estrattiva, fattore di forte destabilizzazione a livello politico e di fiducia dell’investitore

L’opposizione da parte di comunità locali a grandi investimenti minerari ed estrattivi trova le sue motivazioni nei timori per la coesione sociale e per il mantenimento delle risorse idriche e naturali. Tali proteste, in alcuni casi violente, hanno portato (caso Conga, Tía Maria fino al “lote 192”) alla paralisi dei progetti.

Fonte: https://www.assolombarda.it/servizi/internazionalizzazione/informazioni/peru-nuova-guida-alle-imprese-e-agli-investimenti-2021

Andrea Vento – 20 marzo 2023

Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati

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POPOLI ANDINI IN RIVOLTA IN PERÚ

UNA CRONACA

Non è facile tracciare in poche righe la tragica situazione che sta vivendo il Perù e che ha visto dal 7 dicembre scorso ben 61 dimostranti uccisi dalle violenze della polizia, tutti uccisi nella zona andina dove più forte è la protesta e più incontrollata la reazione delle forze di polizia, salvo uno che è morto a Lima all’inizio di questo mese.

Tutto è iniziato il 7 dicembre quando il presidente Pedro Castillo è stato destituito con voto a maggioranza dal Congresso e arrestato con l’accusa di “indegnità morale” subito dopo che egli aveva annunziato alla televisione statale la decisione di scioglierlo, nominando a succedergli la vice-presidente Dina Boluarte  La reazione popolare è stata immediata soprattutto nelle zone andine del sud del paese dove aveva raccolto il voto di molti sostenitori e dove la situazione sociale è da tempo insostenibile, con problematiche rimaste irrisolte fin dall’avvento -200 anni or sono- della Repubblica ma le cui cause rimontano addirittura all’epoca della Conquista spagnola di 500 anni or sono.

Già questa premessa indica la complessità della situazione che non possiamo certo affrontare qui ma di cui ricorderemo solo le premesse recenti, riassumendo gli avvenimenti negli ultimi 6 decenni, a partire dall’insurrezione di ispirazione maoista degli appartenenti all’organizzazione Sendero Luminoso della quale abbiamo ampiamente parlato a suo tempo in precedenti Mininotiziari. L’insurrezione insanguinò il paese per molti anni, più o meno dal suo nascere sul finire degli anni ’60 fino alle ultime propaggini intorno al 2015.

Obiettivo era abbattere il sistema politico vigente nel paese e istaurare il socialismo attraverso la lotta armata che costò non meno di 20mila morti. Il suo nucleo originario era costituito da professori e studenti dell’Università di Huamanga nella regione di Ayacuho, una delle più povere del paese.

Contro questa insurrezione reagì con maggior decisione rispetto ai precedenti il governo Fujimori, eletto nel 1990 fra molte polemiche per la sua dubbia nazionalità peruviana, il quale nel 1992 assunse i pieni poteri grazie a un autogolpe sostenuto dai militari, cambiando la Costituzione in senso antidemocratico –in vigore tutt’oggi. Fra l’altro si rese responsabile della sterilizzazione forzata di centinaia di migliaia di donne dei ceti popolari. Durante il suo terzo mandato gravi scandali colpirono il suo entourage ed egli fu costretto nel 2.000 a dimettersi. Fuggito in Giappone, che ne rifiutò l’estradizione, venne arrestato durante una sua visita in Cile nel 2005 e instradato in Perù, dove fu sottoposto a processo e nel 2009 condannato a 25 anni per i delitti commessi. Fujimori fu oggetto di alterne vicende quali una amnistia e una successiva nuova condanna a 32 anni ed oggi è di nuovo in carcere per scontare il residuo della pena.

La sua figura resta però ancora oggi al centro della contesa politica poiché sua figlia Keiko successivamente all’arresto  del padre ha fondato un partito, Action Popular, che riscuote discreti consensi elettorali. Presentatasi tre volte alle elezioni presidenziali, pur non risultando mai eletta , Keiko ha sempre conquistato un notevole numero di seggi congressuali grazie a una legge elettorale fortemente distorcente e da allora tenta di governare attraverso un parlamento oligarchico dove detiene la maggioranza relativa e dove opera in opposizione ai presidenti di turno. Dal 2016 il Perù ha visto così succedersi una ridda di presidenti (ben 7 in un breve arco di 5 anni), caduti o perché coinvolti in scandali politici o perché sfiduciati dal Congresso controllato appunto da Keiko.

Arriviamo così al 2021 quando, con un pugno di voti di maggioranza (40mila su oltre 18 milioni di elettori), è stato eletto Pedro  Castillo, maestro rurale candidatosi a capo di una lista radicale,, primo presidente di sinistra dopo i vari rappresentanti del potere fattivo, al quale  però da allora è stato di fatto impedito di governare perché sottoposto a una serie successiva di richieste di impeachment variamente motivate. L’azione di Castillo oltre che da questo ostruzionismo è stata limitata sia oggettivi limiti personali che da incoerenze dei suoi sostenitori, al punto di subire dal Congresso azioni di opposizione sostenute congiuntamente dall’estrema destra e dal suo stesso partito con cui ha finito per trovarsi in conflitto.

Si è così giunti alla sua decisione estrema di tentare la dissoluzione del Congresso e dare vita a un governo di transizione che elaborasse una nuova costituzione, che del resto era stata inserita già nei suoi programmi elettorali. Questa specie di auto-golpe è avvenuta nel corso della mattinata del 7, giorno nel cui pomeriggio si sarebbe votata la terza mozione di impeachment .

Il suo arresto ha dato vita immediatamente a un forte movimento popolare che è tuttora in corso, con blocchi stradali, marce di moltitudini dalle montagne verso Lima per realizzare la toma (“conquista”) della città con l’obiettivo di liberare Castillo, sciogliere il Congresso dopo averne ottenuto un nuovo appuntamento elettorale nel corso di quest’anno per dare vita a una assemblea costituente.

Questi obiettivi ad oggi non sono stati raggiunti e il Congresso si è arroccato sul semplice anticipo al 2024 dell’appuntamento elettorale.

UNA NOSTRA LETTURA

Un auto-golpe non è un atto democratico certamente, ma non lo è neppure l’impedimento di fatto a un presidente eletto di governare sottoponendolo a una serie continua di tentativi di esautorazione. Come scrive un commentatore politico[1]:

“Perù vive un nuovo golpe del Congresso promosso dal potere reale, dallo Stato profondo, dalla mafia aprofujimorista. Pedro Pablo Kucsinsky e Martin Vizcarra[2] furono le sue prime vittime per aver giocato lo stesso gioco, ed ora è Castillo, che ha impiegato un’altra strategia di fronte a questo potere; ha conciliato, è indietreggiato, ha abbandonato il programma iniziale. Ma le sue colpe sono state altre, erano radicate nel fatto di far parte del popolo, nell’essere campesino indigeno, alleato del sindacalismo classista quattro anni or sono. Egli non ha cospirato, non ha chiuso il Congresso, ha solo lanciato come discorso di addio il compito sospeso: chiudere il Congresso e convocare un’assemblea costituente.

Dopo due settimane di ribellione popolare[3] contro la sostituzione illegale e l’imprigionamento di Pedro Castillo da parte dei gruppi del potere reale, le grandi corporation, e l’oligarchia plutocratica creola e straniera, mediante i loro strumenti politici (Congresso),  giuridici (il sistema giudiziario) e militari (Forze Armate e Polizia) che infrangendo tutti i parametri legali con una chiara politicizzazione della giustizia lo destituiscono senza processo legislativo e vulnerando i codici e le procedure fondamentali dei processi giudiziari.

La situazione creatasi in Perù era stata discussa anche alla riunione della CELAC (vedi Mini n.1) dove si erano profilate diversità di posizioni. Mentre Messico, Argentina, Colombia, Bolivia e Honduras avevano preso le difese del presidente Castillo (il Messico ha richiesto la sua liberazione offrendo l’ asilo politico ed ha intanto accolto la sua famiglia) mentre il Brasile, per ragioni che al momento non mi appaiono chiare, ne ha preso le distanze.

Prima di chiudere questo breve cenno alle posizioni di altri stati, non si può non notare come il giorno precedente all’esautorazione di Castillo l’ambasciatrice statunitense avesse avuto un colloquio con la vicepresidente Boluarte e tutto lascia pensare che avesse dato il suo benestare alla sua rimozione, con la quale ha concordato anche il suo stesso ministro della difesa, in carica da appena cinque giorni. La presenza di militari statunitensi nel paese è da tempo consistente con le motivazioni più svariate (manovre militari congiunte, lotta alla droga etc).

RIPORTIAMO QUI UNA LETTURA DAL BASSO DEGLI AVVENIMENTI RIPORTANDO L’EDITORIALE DEL NUMERO DI FEBBRAIO SCORSO DEL PERIODICO LUCHA INDIGENA (traduzione nostra)

Anche prima del 7 dicembre, le analisi internazionali descrivevano il Perù come un paese dicotomico. Cioè, un paese che, da un lato, ha una classe economica e politica che cerca sempre di andare al di là  delle apparenze e instaurare apertamente la dittatura che pratica selettivamente da decenni;  e , dall’altro lato, ha un popolo in costante lotta e resistenza contro uno Stato che lavora per fare affari con le grandi imprese e che condanna i suoi popoli alla miseria, alla precarietà, all’ingiustizia e persino alla morte.

Anche prima del 7 dicembre, diverse province o regioni del Perù erano state militarizzate per reprimere le popolazioni. Ricordiamo i carri armati dell’esercito nella lotta contro Tia Maria[4] ad Arequipa, le centinaia di soldati che occupano i villaggi che attraversano il corridoio minerario.[5] Per il Perù indigeno, come in tutta Abya-Yala, lo Stato è sinonimo di militari e polizia che entrano nei loro territori per ucciderli con proiettili o fame.

Anche prima del 7 dicembre, i popoli del Perù hanno subito violazioni dei diritti umani, detenzioni arbitrarie, persecuzioni legali con denunce e processi, minacce e intimidazioni, disprezzo per la classe politica e discriminazione e calunnia dei media liberi. Nel 2022, il leader Oscar Mollohuanca è stato assassinato nella sua casa di Espinar solo per essersi opposto all’espansione di Antapaccay[6]. Era sotto processo pubblico dal 2012, era stato imprigionato e torturato per essere stato dalla parte del suo popolo. Come lui, e molti altri a Cajamarca, Puno, Apurimac, l’anno scorso 8 difensori ambientali dell’Amazzonia sono stati uccisi dalle compagnie estrattive, nonostante le richieste di protezione e presenza da parte dello stato.

Anche prima del 7 dicembre, la polizia ha agito senza coscienza, contro il popolo e in difesa della grande azienda che affitta i suoi servizi quando ne ha voglia. Anche prima, la polizia ha costruito  “prove” contro i manifestanti per accusarli, picchiarli, torturarli, umiliarli.

Anche prima, sono state lanciate bombe lacrimogene contro le case; i poliziotti sono entrati nelle case, hanno aggredito bambini e anziani. Si sono infiltrati nelle marce per distruggere proprietà e provocare disordini. Certo, una lotta di queste dimensioni può essere sostenuta con l’onesta solidarietà di chi ha meno, come noi facciamo da secoli.

Anche prima del 7 dicembre, la stampa, i media e le reti sociali del potere economico in Perù avevano negato voce agli umili, agli andini, agli amazzonici, ai contadini, agli operai, ai quartieri, agli insediamenti umani, agli studenti. Il disprezzo per il popolo da parte dell’élite economica è dimostrato, non solo nelle sue notizie false e nei commenti malevoli, ma nella sua programmazione razzista e discriminatoria che ha formato generazioni con atteggiamenti contrari al mondo rurale e quello indigeno.

Ma prima del 7 dicembre 2022, non avevamo visto una mobilitazione sociale così ampia, diversificata e autonoma. Questa non è solo una marcia su Lima, è una mobilitazione nazionale con blocchi in tutto il territorio e centinaia di organizzazioni che partecipano in tutto il paese.

Alcuni chiedono la liberazione di Castillo come uno che chiede giustizia per se stesso, perché è stato eletto dal popolo e non lo hanno lasciato governare. Tuttavia, la vera lotta avviata dalle province del Sud, e dai territori circostanti che stanno unendo a loro anche le regioni del Grande nord e dell’Amazzonia, è per la giustizia che aspettiamo da un secolo, per la libertà di decidere della vita nei nostri territori, è contro il disprezzo, l’abuso, il furto e la morte a cui vogliono condannarci.

Prima del 7 dicembre, inoltre, non avevamo visto i conos di Lima[7] marciare a sostegno dei manifestanti provinciali. Nei coni sono anche stufi di abusi, abbandoni, precarietà e lì si risveglia anche la consapevolezza. Queste generazioni di migranti non si erano mai viste prima a Lima, collaborando, ospitando, nutrendo e assistendo i manifestanti.

Dopo queste mobilitazioni iniziate il 7 dicembre, quando la classe politica e il potere economico accetteranno la loro sconfitta, nulla sarà più come prima.

Una rivoluzione ha avuto inizio nella coscienza del popolo, un segnale di dignità è scattato in ogni popolo, un seme di libertà è stato inserito negli studenti e nei lavoratori.

I popoli indigeni e le popolazioni rurali si sono sollevati e non ci sarà modo di tornare alla vita di tutti i giorni senza la ricompensa della trasformazione sociale. D’ora in poi, la politica e la società in Perù avranno un attore diverso che sta crescendo in coordinamento. Quell’attore è il fiume delle nazioni e dei popoli che ora sono dispersi, ma che stanno trovando i meccanismi per organizzarci.

La persecuzione e il terruqueo[8] che hanno distrutto le organizzazioni sociali durante il periodo di Sendero e Fujimori avranno una risposta molto diversa. Più violenza, maggiore è l’organizzazione. La paura è finita.

Llapa Runaq Hatariynin!

Dimettiti Dina Boluarte, subito!

Fuori la classe politica!

Assemblea Costituente!

Aldo Zanchetta

Tratto da Mininotiziario America Latina dal basso n. 2/2023

[1] Jorge Lora Cam su rebelion.org  del 29.12.22: El largo golpe congresual, uno más.

[2] Rispettivamente presidenti dal 28 luglio 2016 al 23 marzo 2018 e dal 23 marzo 2018 al 9 novembre 2020

[3] L’articolo è del 29 dicembre scorso. Ad oggi, 6 marzo, cioè oltre due mesi dopo questa data, i morti come detto sono 61

[4] Tia Maria è il nome della miniera peruviana di proprietà della Southern Copper, filiale del Grupo Mexico, del valore stimato di 1,4 miliardi di dollari, situata  nella provincia meridionale di Islay, nella regione di Arequipa. L’attuale ministro peruviano dell’economia e delle finanze ha sollevato ulteriori dubbi sul controverso progetto nato nel 2010 e a lungo ritardato, affermando che esso è “socialmente e politicamente” irrealizzabile. I lavori, iniziati, furono bloccati prima nel 2011 e successivamente nel 2015 per l’accanita opposizione della popolazione preoccupata per gli effetti sulle coltivazioni del luogo e il suo grande fabbisogno di acqua. La miniera dovrebbe produrre 120.000 tonnellate di rame all’anno per una durata stimata di 20 anni. Impiegherebbe 3.000 persone durante la costruzione e fornirebbe 4.150 posti di lavoro permanenti diretti e indiretti. Il Perù è il secondo produttore mondiale di rame dopo il vicino Cile nonché un importante fornitore di argento e zinco. Il precedente governo del Perù aveva approvato la licenza di Tia Maria nel 2019, una decisione che ha scatenato un’altra ondata di proteste nella regione di Arequipa.

[5] Il corredor minero (corridoio minerario) è un territorio della foresta tropicale Madre de Dios, nel sud del Perù, dell’estensione di mezzo milione di ettari, destinato a essere deforestato per dare spazio all’attività mineraria.

(6) Antapaccay è una grande miniera di rame nella regione del Cusco ora minacciata di nuovi ampiamenti

[7] Come detto i conos indicano, nel linguaggio popolare, le enormi periferie che circondano da nord,  est e sud la Lima metropolitana. Si ricorda che Lima oggi occupa un’estensione di 2.664,6 km² a 133 m s.l.m. Ha una popolazione di 9 milioni di abitanti (2020) ed è la seconda più popolosa città latinoamericana dopo San Paolo, in Brasile.

[8] La parola terruqueo è un neologismo derivato dalla parola terruco, ovvero terrorista.

 

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