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Cheng Enfu. “Dialettica dell’economia cinese”

Cheng Enfu, tra i maggiori esponenti del marxismo cinese e internazionale, promotore e animatore, con riviste e forum internazionali, della più importante comunità marxista mondiale, raccoglie diversi saggi scritti negli ultimi decenni, nei quali la Cina ha compiuto – non in rottura ma in continuità dialettica con il trentennio di costruzione delle basi del socialismo dopo la conquista del potere politico (1949-1978) – uno straordinario percorso di sviluppo economico che per durata (pochi decenni) e popolazione coinvolta (oltre 1,4 miliardi di persone) non ha eguali in tutta la storia mondiale.

Preceduto da un importante saggio su Dieci punti di vista sul marxismo, questo corposo libro si snoda attraverso 7 capitoli a loro volta suddivisi in diverse sezioni: 1. Il moderno sistema economico della Cina; 2. L’economia cinese nel quadro di una Nuova Normalità; 3. I cinque nuovi concetti di sviluppo della Cina; 4. La riforma del sistema di distribuzione cinese; 5. Riforma del rapporto tra mercato e governo in Cina; 6. L’apertura graduale del mercato finanziario interno in Cina; 7. L’apertura dell’economia cinese.

Ognuna delle rilevantissime questioni inerenti l’“economia socialista di mercato” cinese viene affrontata, con approccio critico-dialettico, con analisi concreta della situazione concreta, “cogliendo la verità dai fatti”, combinando sempre rilevazione empirica e analisi teorica, senza cedimenti ad affermazioni propagandistiche o autocelebrative.

I lavori di Cheng e della sua scuola prendono le mosse dalla realtà, esaminano i caratteri di fondo e le ragioni del successo complessivo della “via cinese”, denunciano altresì limiti e rischi di alcune tendenze, proponendo correttivi, o cambiamenti di rotta.

Il lettore potrà seguire così – dall’interno – il dibattito teorico-politico in Cina sulla “riforma e apertura”: la costruzione del socialismo cinese non si svolge lungo un percorso rettilineo privo di ostacoli, ma è un faticoso processo di apprendimento dall’esperienza segnata da successi ed errori, e di continua sperimentazione di vie nuove.

È un testo impegnativo – il lettore è avvertito – che entra in profondità nel “mistero” dell’economia socialista di mercato cinese.

L’introduzione di Vladimiro Giacché e la prefazione di John Bellamy Foster forniscono rilevanti chiavi di lettura.

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Introduzione

Vladimiro Giacché

Credo che il modo migliore per introdurre alla lettura di questo libro di Cheng Enfu sia partire da un’osservazione contenuta nella prefazione di John Bellamy Foster all’edizione inglese: “Per i marxisti occidentali, ciò che probabilmente sarà più sorprendente è l’approccio poliedrico al marxismo mostrato in tutta quest’opera”. Foster ha ragione. Uno dei motivi di interesse di questo libro è il fatto di avvicinarci a un uso del marxismo dalle molte sfaccettature, e comunque molto diverso da quello al quale siamo abituati in Occidente. In effetti, le distanze che separano il marxismo occidentale dal marxismo cinese sono notevoli a più riguardi. In un mio saggio recente le ho compendiate così:

Primo, un diverso approccio al pensiero di Marx e di Engels. Questo pensiero è considerato in Cina quale una organica visione del mondo e al tempo stesso un metodo utilizzato come guida per la prassi. Per contro, il marxismo occidentale si è ormai abituato a dissezionare il pensiero di Marx e di Engels per poi rivolgere la propria attenzione ad aspetti specifici, sovente molto particolari, di quel pensiero.

Ciò viene fatto dando per scontato che non esista qualcosa come “il marxismo”, ma un pensiero di Marx – a sua volta articolato in diverse fasi – ben distinto da quello di Engels e dei successivi esponenti della tradizione che a Marx si richiama: e che ogni considerazione del marxismo quale corpus teoretico unitario sia pertanto un’operazione indebita e priva di valore sul piano scientifico.

Secondo, la diversità dei temi posti in primo piano, che in parte deriva da un diverso atteggiamento nei confronti del rapporto tra teoria e prassi (tuttora molto stretto in Cina, mentre […] in Occidente è quasi ovunque venuto meno – ormai da decenni – un rapporto organico tra pensiero marxista e prassi politica).

Terzo, una differenza di contesto: il marxismo è adoperato nella Cina post-rivoluzionaria come una guida per la costruzione della società socialista, anziché, come accade in Occidente, come la base teorica per una analisi critica dei rapporti di produzione capitalistici.i.

Nell’opera di Cheng questi aspetti sono tutti presenti, ma risaltano in particolare il primo e il terzo.

Quanto all’approccio al marxismo, è molto chiara già l’introduzione, in cui il marxismo è inteso come un “sistema teorico” che è stato “iniziato da Marx ed Engels e, da allora, è stato gradualmente sviluppato e migliorato dai loro successori” [pp. 40-41]. Cheng propone una concezione “olistica” del marxismo, che va studiato “nel suo insieme”, al fine di “correggere le carenze dei precedenti studi di argomenti isolati e approfondire la nostra comprensione” [p. 43].

Concezione “olistica” non significa però piegare lo studio del marxismo a esigenze politiche: “il marxismo politico – afferma Cheng – non può essere usato per sostituire il marxismo accademico” [p. 50]. E non significa neppure che il marxismo possa essere inteso come un corpus di dottrine ossificato, dato e fissato una volta per tutte, che si tratterebbe soltanto di “applicare”.

Al contrario: “i principi di base del marxismo possono essere arricchiti, ampliati e modificati attraverso lo sviluppo della pratica o l’approfondimento della comprensione teorica. È possibile, per esempio, sviluppare la teoria del valore-lavoro di Marx, la teoria del plusvalore, la teoria della riproduzione, ecc., così come è possibile sviluppare le teorie di Lenin sull’imperialismo, lo Stato e la rivoluzione. Allo stesso modo, è possibile introdurre innovazioni nella teoria dello stadio primario del socialismo, nella teoria dell’economia socialista di mercato, e così via” [p. 61].

Queste ultime osservazioni sono di grande importanza. La teoria dello “stadio primario del socialismo” e il concetto di “economia socialista di mercato” rappresentano in effetti come osservavo nello scritto già citato altrettanti esempi di “innovazione nella tradizione” marxistaii.

La teoria dello “stadio primario del socialismo” rinvia alla riformulazione del concetto di socialismo, concepito come una fase relativamente lunga: questa riformulazione è stata proposta, nella tradizione marxista cinese, da Deng Xiaoping.iii Ma anche il concetto di “economia socialista di mercato” (o “socialismo di mercato”) rappresenta un’innovazione rispetto alle teorie di Marx ed Engels, i quali prevedevano la fine della produzione mercantile sin dalla prima fase del comunismo – quella fase che da Lenin in poi sarebbe stata designata col termine di “socialismoiv.

Entrambe le innovazioni sono ora approfondite e sviluppate da Cheng Enfu negli scritti raccolti in questo libro. In particolare, lo “stadio primario del sistema economico socialista” è definito nei termini seguenti: “una varietà di proprietà pubblica come corpo principale (con la proprietà privata come corpo ausiliario) + la distribuzione orientata al mercato secondo il proprio lavoro come corpo principale (con la distribuzione secondo il capitale come corpo ausiliario) + l’economia di mercato guidata da piani nazionali” [p. 59]. A questo stadio seguono due ulteriori fasi del socialismo (“stadio intermedio” e “stadio avanzato”) prima di arrivare al “comunismo” [p. 58].

Allo “stadio primario”, nel quale la Cina si trova attualmente e che rappresenta una delle possibili declinazioni dell’“economia socialista di mercato”, Cheng Enfu dedica gran parte delle riflessioni contenute in questo libro.

[…]

Un sistema aperto e autosufficiente

Una volta esaminate le leggi dell’economia di mercato guidata dallo Stato che connotano per Cheng lo stadio primario del socialismo, possiamo passare alla quarta e ultima caratteristica di tale stadio: “un sistema aperto multiforme autosufficiente” [p. 78]. Nel pensiero di Cheng l’apertura è immediatamente contemperata con l’autosufficienza. Già da questo possiamo capire come egli quanto all’“apertura” sia più cauto di altri studiosi cinesi.

Il punto di vista di Cheng è espresso senza mezzi termini in questo passo: “Al fine di gestire correttamente la relazione tra l’apertura completa e reciproca, la sicurezza economica e il benessere del popolo man mano che si costruisce il sistema di apertura, la Cina deve eliminare l’atto insensato di aprire per il gusto di aprire. Per aprire efficacemente l’economia reale è necessario implementare in modo completo una strategia di sviluppo guidata dall’innovazione, incentrata sull’innovazione indipendente con caratteristiche cinesi” [p. 197; corsivo dell’autore].

Il richiamo all’“innovazione indipendente” non è estemporaneo; esso trova la sua radice nella “teoria dei vantaggi dei diritti di proprietà intellettuale indipendenti” sviluppata dallo stesso Cheng (vedi in proposito [p. 293]. Questa teoria che colloca il nostro autore su una posizione opposta a quella di un altro importante economista cinese, Justin Yifu Lin, il quale – lo ricorda lo stesso Cheng – ha esortato la Cina “a prendere le misure necessarie per evitare di cadere nella trappola dell’innovazione indipendente” [p. 292].

Il dibattito che fa da sfondo a questa controversia vede contrapporsi due modelli di sviluppo che sono stati nel tempo abbracciati dai paesi emergenti: quello che vede la leva più efficace per lo sviluppo nella sostituzione delle importazioni (attraverso la creazione di autonome capacità produttive), e quello che ritiene molto meno costoso e più profittevole comprare la tecnologia anziché produrla ex novo.

Cheng contesta quest’ultimo punto di vista, teorizzato da Justin Yifu Lin nel suo Demystifying the Chinese Economyv, ritenendo che esso esprima “un’errata lettura del concetto di apertura come sostituto dell’innovazione”. Cheng reputa ad esempio l’apertura dell’industria automobilistica cinese “un evidente fallimento” e quella dell’industria aeronautica “un fallimento ancora più grande”.

A questi due esempi negativi egli contrappone quello dei sistemi ferroviari ad alta velocità: “Un caso in cui questa visione errata è stata contrastata con successo è rappresentato dalla R&S e dalla produzione di sistemi ferroviari ad alta velocità. Il ministero delle ferrovie ha preso l’iniziativa di rompere il monopolio tecnologico di alcune grandi compagnie occidentali. L’alta velocità ferroviaria è diventata così uno dei biglietti da visita internazionali del Made in China” [p. 291; corsivi dell’autore].

Vi è però un genere di apertura su cui le posizioni dei due autori sono molto più vicine, come lo stesso Cheng riconosce [vedi ad es. p. 308]: si tratta della liberalizzazione dei movimenti di capitale. Cheng individua precisamente nella mancata apertura completa dei movimenti di capitale, nel mantenimento del controllo su di essi, “una delle ragioni più importanti” per cui la Cina ha evitato difficoltà alle quali sono andati incontro altri Paesi emergenti negli ultimi decenni [p. 515].

Conclusione

Ho voluto riproporre alcune tra le più importanti tesi di Cheng Enfu integrandole con qualche riferimento al loro sfondo teorico e al dibattito entro cui si inseriscono, da un lato per aiutare il lettore a meglio orientarsi nel testo, dall’altro per porre in evidenza la tradizione all’interno della quale Cheng consapevolmente si colloca. È a partire da questa peculiare tradizione, quella del marxismo nella sua recezione cinese, che Cheng si confronta con le teorie economiche egemoni in Occidente, senza forzature propagandistiche ma senza alcun complesso di inferiorità teorica. Ritengo che questo sia l’approccio corretto per quel confronto tra sistemi, modelli e soluzioni ai problemi economici del nostro tempo che è oggi quanto mai necessario, non solo in Cina.

Non è qui possibile approfondire i numerosi ulteriori spunti che si potrebbero ricavare dalla lettura di quest’opera. Vale però la pena, conclusivamente, di accennare almeno a un’altra caratteristica importante di questo libro. Si tratta dello schietto riconoscimento dei problemi che l’economia cinese si trova oggi ad affrontare, quali l’eccesso di capacità produttiva (ad esempio nelle industrie del carbone, dell’elettricità e dell’acciaio) [p. 180; 257], o l’insufficiente sviluppo dei consumi privati.

Con riferimento a quest’ultimo problema, è importante osservare che Cheng non si limita ad attribuirne l’origine soltanto all’elevato tasso di risparmio cinese (spiegazione oltretutto pericolosamente prossima a una tautologia).

Al contrario: un’importante causa del livello relativamente basso dei consumi privati è individuata da Cheng in problemi distributivi, a loro volta legati ai rapporti di proprietà (“il consumo dipende dalla distribuzione, e la distribuzione dipende dai diritti di proprietà”, p. 389). In questo modo Cheng fa direttamente i conti con la presenza rilevante di forme di proprietà capitalistica in Cina.

Inoltre, un’altra causa dei consumi privati poco elevati è ravvisata nella diminuzione della “propensione marginale dei cittadini al consumo”, a sua volta occasionata dall’insufficienza dei sistemi di welfare: le “riforme orientate al mercato” degli scorsi decenni hanno infatti caricato direttamente sui cittadini gli oneri relativi a svariate prestazioni sociali [p. 411].

Questi problemi sono evidentemente riconducibili alla dialettica tra “mercato” e “governo” dell’economia che attraversa la Cina contemporanea. Cheng ritiene che “la differenza cruciale tra socialismo e capitalismo come sistema economico di base si manifesti nella struttura della proprietà sociale dei mezzi di produzione”, cioè nel fatto che un’economia mista “sia dominata dal capitale pubblico o dal capitale privato” [p. 494].

Se si accetta che questo sia il discrimine tra socialismo e capitalismo, è senz’altro lecito definire la Cina come “socialistavi. Ma è la compresenza stessa delle due forme di capitale entro un unico sistema economico a determinare non soltanto i problemi distributivi visti sopra, ma, più in generale, una vera e propria sfida per l’egemonia all’interno della formazione economico-sociale cinese contemporanea. Questa sfida è tuttora aperta.

L’opera di Cheng può essere letta, non da ultimo, come una presa di posizione a favore del predominio del “capitale pubblico” nel contesto di questa sfida.

i V. Giacché, Quattro priorità per rilanciare il marxismo in Occidente, «MarxVentuno», n. 3, luglio-settembre 2022, p. 195.

iiIvi, p. 197.

iiiDeng Xiaoping, Excerpts from talks given in Wuchang, Shenzhen, Zhuhai and Shanghai [1992], in Selected Works of Deng Xiaoping, vol. III (1982-1992), Beijing, Foreign Languages Press, 1994, p. 367. Questa formulazione cominciò a circolare dal 1981, per essere infine sancita, su iniziativa di Deng Xiaoping, col XIII Congresso del Partito Comunista, svoltosi nel 1987.

ivHo approfondito questo tema in: V. Giacché, La fine della produzione mercantile nella “Critica al Programma di Gotha” di Marx. Vicende novecentesche di una teoria, in Marx200, a cura di Francesco Cerrato e Gennaro Imbriano, Mucchi Editore, Modena 2018 [numero monografico di «Dianoia. Rivista di filosofia del Dipartimento di Filosofia e Comunicazione dell’Università di Bologna», n. 26, giugno 2018], pp. 203-221; V. Giacché, Socialismo e fine della produzione mercantile nell’Anti-Dühring di Friedrich Engels, in «MarxVentuno» n. 1, gennaio-febbraio 2021, pp. 105-125.

v  Justin Yifu Lin, Demystifying the Chinese Economy, Cambridge University Press, Cambridge 2012, pp. 14 sgg. e passim.

vi  Per una più articolata trattazione del tema rinvio a V. Giacché, L’economia e la proprietà. Stato e mercato nella Cina contemporanea, op. cit., pp. 66-67 e passim.

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NOTA biografica

Cheng Enfu è nato a Shanghai nel 1950. Nell’Accademia Cinese delle Scienze Sociali (CASS) ricopre importanti ruoli: membro del Presidium delle divisioni accademiche, direttore del Centro per lo sviluppo economico e sociale, vicedirettore e professore capo del Comitato accademico dell’Università, ex presidente dell’Accademia del marxismo.

È professore del Centro per l’innovazione del marxismo alla Northwestern Polytechnical University e all’Università di Mosca.

È stato membro del Comitato per l’istruzione, la scienza, la cultura e la salute pubblica del XIII Congresso Nazionale del Popolo.

È redattore di due riviste internazionali pubblicate nel Regno Unito: «International Critical Thought» e «World Review of Political Economy», e due riviste cinesi: «Chinese Journal of Political Economics» e «Journal of Economics of Shanghai School».

È presidente dell’Associazione mondiale di economia politica, dell’Associazione cinese di economia politica, della Società cinese di economia estera, del World Culture Forum e del China Forum on Innovation of Marxism. È esperto internazionale della Japan’s Society of Theoretical Economics, professore onorario presso l’Università di San Pietroburgo, nonché direttore del Centro di Ricerca della Shanghai School Economics of Shanghai University of Finance and Economics.

Ha fornito spiegazioni in occasione di una sessione di studio collettiva del Politburo del PCC e ha riferito su questioni teoriche in occasione di simposi ospitati da due segretari generali del CC del PCC.

È promotore e condirettore della «World Marxist Review», sorta nel 2024 per approfondire le più rilevanti questioni teorico-politiche con i marxisti e comunisti di tutto il mondo.

Ha pubblicato oltre 600 articoli e 40 libri in 10 Paesi, tra cui USA, Russia, Giappone, Italia, India, Vietnam…

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L’aspirazione originale della riforma

Introduzione di Vladimiro Giacché

Prefazione di John Bellamy Foster

MarxVentuno edizioni, Bari 2024, pp. 580, € 30,00

Il libro può essere acquistato on line dal sito www.marx21books.com

Oppure scrivendo a info@marx21books.com

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