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La tentazione del golpe democratico

 

Oppure lo si chiede perché si desidera un cambio di regime costituzionale verso esiti ignoti, e si coglie l’occasione per far apparire questo disegno addirittura “democratico”.

Più modestamente, Alberto Asor Rosa, con la reazione tipica del pensionato di fronte a un truffatore che cerca di rubargli i valori, aveva invocato – su “il manifesto” – l’intervento dei carabinieri.

“Il fatto quotidiano”, curiosamente ambiguo ensemble di storie di destra e “di sinistra”, votato a rappresentare l’anima forcaiola del “partito della legalità”, è andato stavolta decisamente oltre.

Si chiede a Napolitano di fare un “atto di coraggio” che gli sarebbe consentito dalla Costituzione. Precisamente da quell’art. 88 che recita semplicemente “Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere”.

Le Costituzioni non sono però “pezzi di carta” da usare o gettare a seconda delle convenienze. Sono “scritte col sangue” in senso letterale (vengono scritte dopo una guerra civile) e contrattuale (sono obbligazioni che pesano sulla carne dei cittadini, vincolandoli in cambio della pace sociale).

Le Costituzioni sono “sistemi”, non un elenco di regole. Sono in realtà sistemi di metaregole, ovvero di princìpi architettonici assai poco modificabili con cui fissare in Parlamento delle regole articolate, transeunti, emendabili in qualsiasi. Quello che non si può fare assolutamente è prenderne un singolo lemma e agitarlo come un assoluto, riecheggiando quel “tutto ciò che non è esplicitamente vietato, è permesso” con cui proprio i berluscones vogliono far strame di quel poco che resta del diritto del lavoro.

Cosa vuol dire? Che la “lettera” di un qualsiasi articolo costituzionale è inverata dal rapporto con tutte le altre. E da una prassi pluridecennale che ne riempie i “non detti”.

Nella storia del dopoguerra, il potere presidenziale di scioglimento anticipato delle Camere è sempre stato esercitato a valle di un voto di sfiducia parlamentare verso la maggioranza di governo. Perché l’Italia è – ancora, forse per poco, ma ancora – una repubblica parlamentare. Lo ricordiamo noi che non sediamo in Parlamento e non stiamo facendo la coda per entrarci.

Nel caso citato da “Il fatto” – per cacciare Berlusconi – una forzatura costituzionale appare doppiamente idiota. E pericolosa.

Sul piano costituzionale, infatti, l’applicazione di un potere previsto a certe condizioni (“sentiti i presidenti delle Camere” significa molto banalmente “con il loro accordo”) a situazioni molto diverse costituisce un precedente potenzialmente eversivo. Abbiamo già un precedente di forzatura simile: l’approvazione della riforma del Titolo V della Costituzione, avvenuta con volto di maggioranza semplice per volontà di un governo di centrosinistra a pochi giorni dalla fine della legislatura. Dopo d’allora, qualsiasi corbelleria incostituzionale sia venuta in testa ai golpisiti di centrodestra si è robustamente appoggiato su quel precedente. Un po’ come la “legge 30” sullo spirito del “pacchetto Treu”. Continuare su questa strada – oltretutto per quanto concerne il potere “letale” di sciogliere le Camere – è golpismo in senso quasi tecnico.

Sul piano politico immediato – ammesso e non concesso che Napolitano fosse disposto a seguire il folle suggerimento de “Il fatto” – sembra ovvio che il presidente della Camera potrebbe essere intimamente favorevole (e pubblicamente perplesso), mentre quello del Senato, Schifani, sarebbe disperatamente contrario. Nessuno “scioglimento coatto” sarebbe dunque possibile.

Non ci resta perciò che rassegnarci a tenere Berlusconi fin quando qualcuno non riuscirà a pagare meglio di lui quella “quota marginale” di deputati che lo tiene in vita?

Ma quando mai… Confindustria, Chiesa, costruttori edili e centinaia di altri settori che costituivano il suo “blocco sociale” lo hanno ormai sfiduciato. Il Cavaliere è sull’orlo del baratro, e basterebbe spingere… Contro un avversario così messo, invocare il golpe sembra invece l’unico modo di mantenerlo in sella.

Se a “Il fatto” e in luoghi simili hanno fretta di farla finita, perché non chiamano i loro lettori a scendere in piazza il prima possibile? C’è una scadenza vicina e già pronta, con centinaia di migliaia di persone che la stanno preparando: il 15 ottobre. Basterebbe implementare le adesioni, farla diventare davvero una enorme manifestazione di popolo che assedia il Palazzo al grido di “vattene”. E rimanere lì per giorni, finché il risultato non si raggiunge. Democraticamente, pacificamente, “serenamente”, come si dice nei “movimenti democratici”..

Perché non dite questo?

Perché poi ci saranno altre manovre economiche e tagli draconiani da fare alla spesa pubblica, a cominciare dalle pensioni e dal patrimonio pubblico che fa gola a Confindustria. Perché si dovranno applicare misure decise altrove, che magari si capiscono poco, ma che bisognerà far rispettare con il bastone in mano. Alla faccia della rappresentanza democratica. E quel popolo che si fosse abituato ad assediare il Palazzo e a pretendere un cambiamento “qui e ora, senza se e senza ma”, non sarebbe più un corpaccione mugugnante da tener buono nonostante tutto.

Il popolo fa paura. Meglio un golpe. Vero, “democratici” de “Il fatto”?

 

p.s. Non sembra sena significato che questa sortita nel delirio sia stata commissionata a Massimo Fini, giornalista di destra da sempre con la pretesa di apparire “indipendente”, libero battitore, ecc. Potete vedere il suo articolo e la sua biografia – quella “auto” messa sul suo sito e quella “tollerata” su Wikipedia, entrambe molto “addomesticate” – qui di seguito.

 

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L’editoriale pubblicato stamattina su “Il fatto”

Napolitano può mandarlo a casa. – di Massimo Fini.

 

 L’articolo 88 della Costituzione recita: “Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere”. La Carta non pone alcun limite a questa facoltà del capo dello Stato salvo l’obbligo di sentire il parere, peraltro non vincolante, dei presidenti dei due rami del Parlamento e che non può esercitarla “negli ultimi sei mesi del suo mandato”. Il fatto che la Costituzione dedichi un preciso articolo sui 17 che lo riguardano, a questa facoltà del presidente della Repubblica, senza accompagnarla con alcuna specificazione, indica che i nostri Padri fondatori non la consideravano, come altre, puramente ornamentale, ma un potere concreto e fondamentale della massima carica dello Stato che la può esercitare in piena libertà quando a suo giudizio ne ricorrano le condizioni.
   L’articolo 88 fa quindi piazza pulita delle talmudiche asserzioni degli esponenti del centrodestra che a ogni piè sospinto, di fronte alle reiterate richieste di dimissioni del presidente del Consiglio, che provengono da varie parti e non solo dalle opposizioni, strillano che “nessuno può mandare a casa un governo che ha la maggioranza in Parlamento ed è stato voluto dal popolo sovrano” . Qualcuno c’è: è il capo dello Stato. Naturalmente, a lume di logica, e non perchè la Costituzione gli ponga alcun limite, il presidente della Repubblica eserciterà questa sua peculiarissima facoltà in casi eccezionali e di fronte a situazioni di emergenza.
   I costituzionalisti si sono esercitati e sbizzarriti, nell’elencare una serie di situazioni che costituirebbero un valido motivo per lo scioglimento anticipato delle Camere. Ne citiamo due che sembrano tagliati su misura per il caso nostro.
   1) “L’emergere di nuove questioni fondamentali su cui i candidati non avevano preso posizione al momento della campagna elettorale e che gli stessi elettori non potevano aver preso in considerazione al momento del voto”. Nel 2008, quando fu eletto il terzo governo Berlusconi, non esisteva il rischio di default dell’Italia.
   2) “Se sussiste un tentativo di sovvertimento legale della Costituzione”. Sono diciassette anni che Berlusconi sovverte, fra gli altri, uno degli articoli-cardine della Costituzione, l’articolo 3 che sancisce il principio basilare dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.
   Ma non voglio girare intorno ai pareri dei costituzionalisti. Se c’è un momento per un capo dello Stato, di esercitare la facoltà di sciogliere anticipatamente le Camere e mandare a nuove elezioni, è questo. L’Italia vive una situazione economica gravissima di fronte alla quale c’è un governo indeciso a tutto che ha dovuto cambiare cinque volte la legge finanziaria. È più vicina alla Grecia che alla Spagna. Ma più del governo, dove ci sono anche ottimi ministri, il problema è proprio lui: Silvio Berlusconi. Con i suoi comportamenti, pubblici e privati, agiti anche all’estero, ci ha ridicolizzato di fronte all’opinione pubblica internazionale e ci ha tolto credibilità proprio nel momento in cui ne avremmo più bisogno. L’ “Express” in una sua copertina lo ha definito “il buffone d’Europa”. Ma critiche feroci e sbeffeggianti sono state mosse al premier italiano da vari giornali europei (inglesi, tedeschi, spagnoli e persino bulgari), americani, giapponesi, molto spesso di ispirazione liberale. Recentemente il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, si è detta stufa di vedere l’Italia considerata “uno zimbello”. Ma, soprattutto, Berlusconi è stato ed è un autocrate alla Putin che per diciassette anni, sotto mentite spoglie di democrazia, ha lato leggi, massacrato tutti i principi dello Stato liberale e democratico, promosso le sue favorite in Parlamento e nelle Istituzioni grazie al potere del suo denaro e avendo, per sopramercato, un’origine politica illegittima a causa di un colossale conflitto d’interessi mai risolto. Oggi ha una maggioranza, in parte prezzolata, in Parlamento, ma quasi tutto il Paese contro: al di là delle opposizioni politiche, la società civile, la Confindustria, la Chiesa, i leghisti di base non lo possono più sopportare. Ma lui suona il suo solito refrain: “Non mollo”. Invece è necessario liberarsene al più presto prima che il Paese precipiti nella catastrofe.
   Solo il presidente della Repubblica può farlo. Certo ci vuole del coraggio per mandare a casa un presidente del Consiglio in carica. Giorgio Napolitano è sempre stato un uomo in grigio, un politico mediocre di cui, prima che salisse al Colle, non si ricordava un discorso significativo, un atto di qualche valore, ma solo l’imbarazzante somiglianza con il re Umberto. E anche adesso si segnala solo per la sua inerzia, per moniti omnicomprensivi che, in quanto tali, non vogliono dire nulla. Giorgio Napolitano ha 85 anni. Trovi, per la prima volta nella sua lunga vita, il coraggio di fare un atto di coraggio.

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Ci sono molte cose nella mia vita che non avrei mai pensato di fare e che invece, alla fine, ho fatto. Ci sono stato quasi sempre, costretto. Sono nato giornalista -un mestiere che ho amato molto- e pensavo che sarei morto giornalista. Anche perchè gli inizi erano stati molto brillanti e, negli anni 70 ero considerato uno dei giovani talenti del giornalismo italiano.Ma a poco a poco una emarginazione silenziosa, sottile,felpata, mi ha costretto nell’angolo della professione. Il mio torto, inescusabile in una società come la nostra, era quello di rifiutare, ostinatamente, cocciutamente, infeudamenti a partiti, fazioni, correnti, lobbies e di non accettare sottomissioni umilianti.
Mi sono messo allora a scrivere libri e sono diventato uno scrittore. Li ritenevo e per la verità li ritengo ancora, dei semplici saggi. Ma nella carenza di pensiero e anche di spina dorsale, che caratterizza l’epoca presente, mi sono accorto, con una certa sorpresa, che ero diventato per alcuni, forse per molti, un punto di riferimento, non solo culturale e intellettuale, ma anche spirituale, una sorta di guru, un “filosofo a modo suo”.
Mai nella mia vita ho pensato che avrei fatto l’attore. Perchè non ci sono proprio tagliato. L’attore è, pirandellianamente, “uno, nessuno, centomila”, è duttile, io, ahimè, sono sempre, orribilmente, me stesso.
Ma una censura televisiva mi ha costretto ad andare a teatro, ed è nato così Cyrano se vi pare… per iniziativa e per la regia di Eduardo Fiorillo.
Ma proprio l’ultima cosa che avrei pensato di fare nella mia vita è di aprire un sito Internet ne mai avrei pensato di creare un movimento politico che si chiama Movimento Zero ed è ispirato oltre che dai miei libri dal MANIFESTO DELL’ANTIMODERNITA’. Sono negato per tutto ciò che è elettronico e, tanto più, virtuale, non so usare il computer, adopero ancora, per scrivere, la mia vecchia “lettera 32” ma, soprattutto, sono concettualmente, antropologicamente, istintivamente contrario alla tecnologia che ritengo all’origine, insieme all’economia, di molti dei nostri guai. Fosse dipeso da me la ruota sarebbe rimasta quadrata e, forse, oggi staremmo tutti meglio.
E allora perchè un sito? Ancora una volta, come a teatro, sono stato trascinato da Fiorillo e dalla sua talentuosa, dirompente, dilagante, giovanile, anche se disordinata,energia. Ci siamo infatti resi conto, per la diffusione sempre più larga dei miei libri, per l’afflusso, quando li presentavo nelle città e nelle cittadine d’Italia, di un pubblico appassionato di ogni estrazione sociale di tutte le età, ma soprattutto di giovani e di giovanissimi, ideologicamente trasversale o deluso dalle ideologie dominanti, di destra e di sinistra, per il successo del Cyrano, che il succo del mio pensiero -l’attacco radicale alla Modernità e a un modello di sviluppo paranoico che, con la promessa di un futuro orgiastico sempre di là da venire, ci mette in realtà al servizio del meccanismo economico e produttivo – è condiviso ormai da molti e che il disagio esistenziale si è fatto, nell’Occidente industrializzato, acutissimo in noi tutti, anche se trova sorde le elites politiche e intellettuali che continuano a marciare, col sole in fronte e la verità in tasca, su categorie concettuali, il liberalismo e il marxismo; con tutte le loro declinazioni, vecchie ormai di più di due secoli (vedi MANIFESTO CONTRO).
Abbiamo quindi pensato di creare un punto di aggregazione, per discutere, per scambiarci idee e anche contarci.
Quanto a me sono trent’anni che, con i libri, con gli scritti d’occasione, con gli articoli e, da ultimo, anche col teatro rendo testimonianza di questo disagio crescente e della collera di doverlo subire senza poter far nulla. Ho voglia di passare all’azione diretta. Col sito è un primo passo. E, spero, non sarà l’ultimo.

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La versione di Wikipedia, comunque molto “empatizzante” e probabilmente gestita da “tifosi”.

Massimo Fini (Cremeno, 19 novembre 1943) è un giornalista, scrittore, drammaturgo, attore e attivista italiano. Nel 2005 ha fondato il movimento politico Movimento Zero, ispirato ai principi di primitivismo, antimodernismo, decrescita e democrazia diretta.

Giornalismo [modifica]

Nato a Cremeno, in provincia di Lecco, da padre toscano e madre ebrea russa, dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza a pieni voti ha svolto varie attività, lavorando inizialmente come impiegato alla Pirelli, in seguito come copywriter e pubblicitario.[1]

Inizia la carriera giornalistica nel 1970 all’Avanti!, il quotidiano del Partito Socialista Italiano, dove segue come cronista i fatti dell’attualità politica. Dal 1972 a 1979 è inviato all’Europeo. Nel 1977 comincia a scrivere sul mensile Linus. Nel 1978, in collaborazione con Walter Tobagi e Franco Abruzzo, ha fondato la componente sindacale della rivista Stampa democratica. Nei primi anni ottanta è animatore del mensile di politica e cultura Pagina. Dal 1982 al 1992 è inviato estero ed editorialista al Giorno.

Nel 1985 rientra all’Europeo come inviato ed editorialista e vi tiene per dieci anni la principale rubrica del giornale. È stato editorialista di punta de L’Indipendente dei primi anni novanta ed ha partecipato alla rifondazione del Borghese (1996).[1]

Attualmente lavora per Il Gazzettino di Venezia, il Quotidiano Nazionale (Il Giorno, La Nazione, Il Resto del Carlino), Giudizio Universale. Dal mese di ottobre 2008 Massimo Fini dirige il mensile La voce del ribelle, che vede, tra gli altri, la collaborazione di Marco Travaglio e Giuseppe Carlotti. Collabora con il giornale Il Fatto Quotidiano sin dalla fondazione (23 settembre 2009).

È divorziato e ha un figlio di nome Matteo.[1]

Lo scrittore [modifica]

Massimo Fini nel 1985 pubblica il suo primo saggio, La Ragione aveva Torto?, edito dalla Camunia. Da quel momento Fini, conosciuto come giornalista di cronaca ed editorialista di spicco de L’Europeo e de Il Giorno assume una posizione di dura critica verso alcuni valori essenziali del mondo moderno, come l’industrialismo, l’ottimismo, l’attenzione spasmodica nei confronti della crescita economica fino a giungere al j’accuse contro la democrazia rappresentativa di Sudditi. Tutta l’opera saggistica di Fini si fonda sulla critica sferzante verso caratteristiche del mondo moderno e della globalizzazione, figli del pensiero liberale e anche del marxismo, anch’esso prodotto dalla rivoluzione industriale e dallo stesso liberalismo, e causa degli stessi mali: l’alienazione dell’individuo schiacciato dal produttivismo, la distruzione dell’ambiente, l’idea di una scienza e dell’uomo come sovvertitori delle leggi naturali, la globalizzazione che omologa tutto ad un’unica cultura dominante.[2]

Molti, negli anni, hanno tentato di assegnare a Fini appellativi vari, cercando di inserirlo sia entro correnti politiche di destra che di sinistra: in realtà egli ritiene che questi due concetti, destra e sinistra, siano obsoleti, vecchi di due secoli in cui le trasformazioni sociali e culturali hanno reso inutilizzabili queste divisioni, anche alla luce di una sempre maggiore somiglianza programmatica tra le diverse forze politiche. Massimo Fini pensa che la dicotomia che sta emergendo con sempre più forza e che esploderà drammaticamente nel futuro sia quella tra coloro che, figli del pensiero liberale, vogliono imporre un’unica visione del mondo che unifichi il tutto in principi (culturali, giuridici ed economici) universali e chi, invece, vuole difendere i propri valori e la propria diversità seppur in contrasto con il cosiddetto pensiero unico, democratico e liberista. Da ciò si deduce come Fini abbia come uno dei suoi massimi principi quello dell’autodeterminazione dei popoli, sotto attacco, a suo giudizio, da coloro che, sotto varie forme (partendo da certe forme di cooperazione internazionale fino alle «guerre umanitarie») vogliono imporre lo stile di vita occidentale.[2]

L’opera di Fini, soprattutto nella sua trilogia La Ragione aveva Torto?, Elogio della guerra e Il denaro, sterco del demonio, presenta costantemente una comparazione tra il mondo nato dalle Rivoluzioni Industriale e Francese e quello medievale e dell’ancien régime (in particolare la forma di stato che egli ritiene migliore, il Libero comune), ponendosi l’obiettivo di evidenziare come il mondo moderno abbia smarrito tanti elementi, materiali e spirituali, che davano a quelle società caratteri di equilibrio sociale e stabilità. Ritiene che il mondo moderno abbia interiorizzato gli aspetti peggiori dell’illuminismo (l’universalismo e l’ideologia della crescita), rifiutando quelli migliori, come la libertà di espressione[3] o la democrazia diretta. Accusato da alcuni ambienti di sinistra di essere vicino alle posizioni dell’estrema destra sociale, Fini in realtà fa suo il principio del relativismo culturale di Levi-Strauss e costruisce una sintesi di concetti elaborati da intellettuali di diversa matrice politica[senza fonte], come Alain De Benoist (il fondatore della Nuova Destra), Julius Evola, Friedrich Nietzsche, Serge Latouche e Danilo Zolo.

Un’ulteriore polemica ha riguardato il libro Il Mullah Omar (2011), biografia del leader talebano. L’opera è stata molto criticata per opinioni definite antioccidentali e maschiliste[4], tanto da ricevere anche una denuncia da parte di alcune giornaliste[5][6].

Un’altra passione di Fini è la ricerca storica e biografica su personaggi considerati negativamente dalla storiografia ufficiale, ad esempio quella effettuata su Nerone e Catilina.

Movimento Zero [modifica]

Nel 2005 Fini ha fondato un movimento politico-culturale chiamato Movimento Zero (abbreviato in MZ o M0). Il movimento dichiara di non riconoscersi in nessuna collocazione politica tradizionale, disconosce le vecchie e inservibili categorie di Destra e di Sinistra e si propone al di là di esse, pur riconoscendosi anche nelle posizioni di Alain de Benoist, noto intellettuale francese fondatore della Nouvelle Droite.[7]

L’attività di MZ, sospesa momentaneamente per motivi operativi nell’ottobre 2006, è ripresa nel gennaio 2007. Ad ottobre 2007 si è costituito il primo Direttivo Nazionale.

MZ è attualmente attivo in dodici regioni italiane (Abruzzo, Lazio, Veneto, Lombardia, Liguria, Toscana, Emilia-Romagna, Piemonte, Sardegna) ed in tre stati europei (Francia, Olanda, Irlanda)[8]. I coordinamenti dotati di ampia autonomia operano in conformità alle finalità contenute nel suo manifesto politico.

Nel 2009 MZ aveva annunciato la propria volontà di partecipare alla manifestazione contro la visita di George W. Bush a Roma[9]. Appena arrivati nella piazza dalla quale sarebbe dovuto partire il corteo tuttavia i militanti di MZ furono prima minacciati da un gruppo di appartenenti all’estrema sinistra, che li appellava come “fascisti“, e successivamente identificati dalla polizia e costretti a lasciare la manifestazione.[10] Tali fatti furono oggetto di un’interrogazione parlamentare presentata da due deputati della Lega Nord.[11]

Il movimento ha stilato un Manifesto dell’antimodernità[2].

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