Menu

Russia: segni di cedimento nella fiducia a Vladimir Putin

Gli antefatti sono questi: lo scorso 24 maggio l’ufficialissimo Centro panrusso per lo studio dell’opinione pubblica (VTsIOM: Vserossijskij Tsentr Izučenija Obščestvennogo Mnenija) ha reso noti i risultati di un’indagine, da cui risulta come appena il 31,7% dei russi manifesti fiducia nei confronti di Vladimir Putin, scendendo al livello più basso dal 2006, e anche la sua azione quale figura istituzionale venga approvata dal 65,8%, contro l’80-85% di un anno fa.

Il Cremlino convoca il direttore del VTsIOM, Valerij Fëdorov, chiedendo spiegazioni di tale forte contrasto tra i risultati elettorali del marzo 2018 (76,6%) e il rating attuale; Fëdorov risponde che dipende dalla metodica usata: mancando cinque anni alle prossime presidenziali, gli analisti non hanno chiesto agli intervistati per chi voterebbero, bensì come giudichino l’azione attuale del Presidente. Per quanto riguarda la fiducia, Fëdorov ha detto che si trattava di una domanda aperta: agli intervistati era stato chiesto di fare i nomi di quattro-cinque politici in cui avessero maggiore fiducia e, con tale metodo, senza che nessun nome venisse “suggerito”, la maggioranza ha avuto difficoltà a dare risposte nette.

Per cercare di raddrizzare le cose, Fëdorov ha assicurato che il Centro sta già procedendo a una nuova indagine, in cui la domanda sulla fiducia riguardi specificamente Vladimir Putin e “posso già anticipare” ha detto, che in tal modo “i giudizi sulla fiducia al Presidente saranno maggiori e non ci saranno differenze significative con il livello di approvazione della sua attività come capo dello stato“.

Secondo ROTFront, con la nuova metodica, in cui sono nominati espressamente Vladimir Putin, il leader del PCFR Gennadij Zjuganov, il nazionalista Vladimir Žirinovskij, il socialista Sergej Mironov e il Premier Dmitrij Medvedev, il livello di fiducia per Putin sarebbe di colpo risalito al 72%. Con l’aiuto del VTsIOM, scrive ROTFront, “il governo ci chiede di sopportare la crisi”; una crisi che si traduce, secondo quanto dichiarato dallo stesso Fëdorov a RIA Novosti, in una “diminuzione del 10% dei redditi reali nell’ultimo anno” e in una “mancanza di prospettive che scoraggia le persone” e che spiega i risultati del sondaggio del 24 maggio.

Ma in cosa consisterebbe, osserva ROTFront, la vera funzione dei sondaggi del VTsIOM? Ad aiutare il governo a capire se “siamo effettivamente ancora disposti a sopportare difficoltà e privazioni della prossima crisi del capitalismo, o se invece qualcosa non va già più come vorrebbero e ci stiamo organizzando per dare battaglia al sistema”.

Presto per dire se a Fëdorov toccherà la stessa sorte dell’ex capo del Rosstat, Aleksandr Surinov, che a fine 2018 aveva previsto una crescita del PIL di appena 1,7% e un aumento fino a circa 20 milioni di russi oltre la soglia della povertà: non appena licenziato, il suo successore, Pavel Malkov, “registrò” un’improvvisa impennata del PIL.

Di fatto, “il carisma di Putin sta scendendo a zero”, afferma il politologo del PCFR Sergej Obukhov: “credo che da qui a fine anno assisteremo a una svolta definitiva nell’opinione pubblica”. D’altro canto, il consenso alla sua attività quale capo dello stato, si spiega con la mancanza di alternative e il conseguente panico, che qualcuno esprime con la formula: “niente Putin, niente Russia”. Se in un sondaggio aperto, continua Obukhov “le persone hanno difficoltà a fare il nome di almeno un politico di cui fidarsi, è una catastrofe: significa che si avvicina l’epoca dei populisti; che chiunque prometta ‘un uomo a ogni donna e una bottiglia di vodka a ogni uomo’, potrebbe innalzarsi all’Olimpo politico. Il Cremlino ha liquidato tutta l’opposizione, ha screditato i partiti, ha fatto sì che le persone, alla parola ‘politica’, siano schifate. In situazioni simili, in cui non c’è un solo leader, può saltar fuori chiunque e credo che questo si chiami benvenuta majdan“.

Così, il sociologo Leontij Byzov: “il rating elettorale è la risposta alla mancanza di alternative a Putin; quello sul credito personale è invece un indicatore di quanta fiducia si abbia nel Presidente come individuo: in molti non hanno fiducia in Putin come individuo, ma dicono: chi altri se non lui?”.

Al contrario, il blogger Andrej Raevskij (pseudonimo The Saker) ritiene che il calo di consensi a Putin, resosi più sensibile dopo che, rieletto Presidente, ha mantenuto lo stesso governo e approvato l’odiata riforma pensionistica, potrebbe significare il “sorgere di una vera opposizione”: cioè non la “finta opposizione” di oggi alla Duma, bensì “un’opposizione patriottica, non finanziata né controllata da Soros, dalla CIA, ecc.; il problema è che tale opposizione ha molti problemi e non può rappresentare un’alternativa all’attuale ‘putinocrazia’, al carattere liberale della sua politica economica”. Tutto ciò, dice Raevskij, senza poter “escludere la presenza di una “quinta colonna” negli apparti presidenziali o governativi”, quali ad esempio quei Ministri economici che possono definirsi “WTO/FMI/BMisti”, obbedienti al cosiddetto Washington Consensus”, cui fanno da sponda “quegli autori che, anche dalle colonne di RT o Sputnik, diffondono visioni del mondo anglo-sioniste”.

Secondo il centro analitico “Minčenko konsalting”, negli ultimi due anni si è rafforzata l’influenza della cerchia ristretta di “amici” di Vladimir Putin che detengono le leve reeali del potere in Russia. In quello che viene definito il “Politbjuro 2.0”, si sarebbero insediati altri due nomi di rilievo: il segretario del Consiglio di sicurezza Nikolaj Patrušev e il CEO di “Novatek” e “Sibur” Gennadij Timčenko e tale “organismo” sarebbe ora composto, insieme a Putin, Patrušev e Timčenko, da Dmitrij Medvedev, dal sindaco di Mosca Sergej Sobjanin, Sergej Čemezov, Sergej Šojgù, capo di “Rosneft” Igor Sečin, Jurij Kovalčuk, Arkadij Rotenberg.

Tra i “membri candidati”: il capo di “Sberbank” Gherman Gref, il Procuratore generale Jurij Čajka, la presidente della Banca centrale Elvira Nabiullina, il presidente di “VTB Bank” Andrej Kostin, il capo di “Gazprom” Aleksej Miller, lo speaker della Duma Vladimir Volodin. Più in basso, nel cosiddetto “Comitato Centrale”, si troverebbero altri oligarchi, tra cui Leonid Mikhelson, Vladimir Lisin, Vaghit Alekperov, Vladimir Potanin, Ališer Usmanov, Roman Abramovič, Viktor Vekselberg, Viktor Rashšnikov, Iskander Makhmudov, Oleg Deripaska, Arkadij Volož: tutti più o meno stabilmente insediati ai primi posti delle clasifiche di Forbes.

Come che sia, il Centro Levada (il suo fondatore, Jurij Levada, fu sostituito proprio da Valerij Fëdorov alla direzione del VtsIOM nel 2003) rileva che il 27% dei russi sarebbe disposto a partecipare a manifestazioni contro il declino degli standard di vita e che il 22% parteciperebbe anche ad azioni di protesta politiche.

Se è così, ecco che ancora su Svobodnaja Pressa, il politologo Konstantin Kalačev prevede “l’inevitabilità di una politicizzazione delle proteste in Russia: esiste un concetto come quello di “stanchezza elettorale”, per l’inamovibilità del potere, per il fatto che le elezioni non risolvono nulla. Tra i miei conoscenti” dice Kalačev, quelli benestanti sono molto più critici del potere che non quelli con redditi inferiori alla media. Mia suocera è una lealista convinta, nonostante una pensione di 14mila rubli. Il dato evidenziato di un 27% disposto a partecipare ad azioni di protesta, costituisce una risorsa per partiti e candidati d’opposizione. Ma potrebbe forse essere anche più del 27%, alle elezioni, perché la protesta elettorale è più semplice da realizzarsi”.

E l’ex diplomatico Nikolaj Platošnik ritiene che proprio la mancanza di serie alternative mantenga ancora il rating di Putin a un livello accettabile: in caso contrario, dice, sarebbe ancora più basso. Guarda caso, il calo più visibile si è avuto dopo l’adozione della riforma pnsionistica: “faccio un solo esempio” afferma, “nella regione di Tula”, poco lontana da Mosca, “l’età media degli uomini è oggi di 64,7 anni, ma l’età per la pensione è a 67 anni. Putin dovrebbe disfarsi di questo governo”, afferma.

Da anni lo stesso PCFR di Gennadij Zjuganov sembra mantenere questa linea, di attacco al Governo e sostegno al Presidente: non sembra però che, finora, abbia riscosso particolari successi, salvo che in un numero molto limitato di regioni e su obiettivi strettamente “economici”; e non sembra nemmeno che sia riuscito a staccare il Presidente dal suo Governo.

Davvero “niente Putin, niente Russia” e niente alternativa ai “Čubajs-Gajdar” di turno?

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *