Quanto accaduto in Parlamento ieri pomeriggio mostra come la kamarilla di Palazzo sia ormai pronta a tirare le fila. L’era di Rasputin/Silvio è giunta al termine. Lo chiede l’Europa, lo chiede Confindustria ma, ed è quanto ci interessa, lo chiedono anche le masse subalterne. Dentro il Pdl i vecchi democristiani come Pisanu, Formigoni e Scajola, i fascisti non berlusconalizzati come Alemanno, insieme a quella massa fluttuante di “politici di professione” noti soprattutto per riuscire a essere presenti, con casacche diverse, in ogni Parlamento, stanno manovrando per uscire fuori da una situazione sempre più tragicomica e imbarazzante. Colpi di scena a parte, sempre possibili all’interno di quella stalla d’Auge che è il Parlamento, dovrebbe essere questione di giorni se non di ore.
L’alleato di Governo, la Lega Nord, vacilla di continuo non sapendo bene quali pesci pigliare. I padroni che l’hanno a lungo sostenuta la stanno mollando mentre, la sua base popolare, rumoreggia sempre più ogni giorno che passa. Non meno del Pdl, anche la Lega rischia di implodere. Sostanzialmente ricompattati in Confindustria, i padroni leghisti si stanno riposizionando sulle tanto odiate posizioni dei “poteri forti”; la massa piccolo borghese, annichilita dalle conseguenze della crisi che vive direttamente in prima persona, assume la linea di condotta propria delle classi senza prospettiva storica e tende a indirizzarsi verso un “protestarismo” a trecentosessanta gradi; i settori operai e popolari sembrano – e il “sì leghista” ai Referendum è abbastanza indicativo – sempre meno disposti a reiterare quell’infausto modello di “nazionalizzazione delle masse” di cui, a tutti gli effetti, la Lega Nord ha rappresentata la reincarnazione contemporanea.
Dove si collocheranno nel prossimo futuro queste masse operaie e popolari, non è dato sapere. Certo è che sarebbe a dir poco folle snobbare questo oggettivo potenziale di classe rischiando, tra l’altro, di farlo risucchiare da qualche movimento populista dai tratti “autenticamente” radicali.
Intorno a Rasputin/Silvio rimane solo quel nucleo di irriducibili formato, per lo più, dai gangsters socialisti che l’hanno tenuto a battesimo. Le sue ore appaiono, pertanto, contate.
Ma il modo in cui cadrà non è secondario. Se questo avverrà per via parlamentare, come le forze borghesi e socialdemocratiche auspicano, lo scenario che si aprirà non sarà certo dei più rosei. Un ipotetico “Esecutivo di salute pubblica” avrà mano libera per realizzare quelle politiche di “lacrime e sangue” che il costituente polo imperialista europeo chiede a gran voce. In poche parole se a cancellare l’epopea berlusconiana sarà la kamarilla tessuta da Banche e Confindustria, con a rimorchio il Pd insieme a qualche anima naif della nuova sinistra, lo scenario che si aprirà per le masse subalterne sarà, se possibile, ancora più cupo dell’attuale. Il programma politico, economico e sociale di queste forze politiche non lascia spazi all’immaginazione.
Tagli drastici ai servizi sociali, licenziamenti di massa, protagonismo militare, privatizzazione di ogni bene e funzione sociale, precarizzazione estensiva della condizione lavorativa, flessibiltà estrema della forza lavoro, azzeramento di qualunque potere contrattuale da parte dei lavoratori. E questo tanto per cominciare.
La kamarilla di Palazzo è tutta interna alla borghesia imperialista la quale, nel contesto di crisi acuta e sistemica attuale, non può neanche concedere delle briciole a qualche pur selezionata categoria di subalterni. Anzi, a ben vedere, sono proprio questi “settori protetti” a essere per primi nel mirino. Sono queste quote di ancora garantiti che dovranno essere – come dire – “riformati” assimilati alla già vasta “moltitudine” precaria e socialmente esclusa. I diktat provenienti dall’Europa sono chiari e, nel caso qualcuno nutrisse ancora qualche dubbio, le ultime parole di Trichet non lasciano dubbi. La caduta di Rasputin/Silvio segnerà, forse, la fine del clima culturale da Basso Impero, senza per questo aprire la via a nessuna fase di prosperità.
Nella Russia del febbraio ’17, la cacciata dello zar e di Rasputin non era un modo per uscire dalla guerra ma per continuara al meglio. Così oggi l’archiviazione del regime belusconiano non è davvero pensata per “liberare” le masse subalterne dal cappio della crisi del modo di produzione capitalista, bensì per far ricadere interamente su di loro i costi.
Tuttavia – come in tutte le situazioni di crisi – entrare in movimento tutte le classi sociali, e anche tra i subalterni il fermento è forte. Se, nella partita che si sta giocando, anche queste entrano in gioco con una priìorpria capacità autonoma, allora lo scenario assume tratti diversi e ben più complicati. Se il Governo cadesse “in piazza”, infatti, le rosee ipotesi messe a punto dalle diverse anime della borghesia imperialista assumerebbero immediatamente colori meno rassicuranti. Una caduta del regime a opera delle masse in piazza può definire uno “scenario di transizione” dove molto altro diventa possibile. Certo, una caduta del Governo veicolata da una forte pressione di piazza non aprirerebbe solo per questo a un’ipotesi di “governo socialista” bensì – più realisticamente – al delinearsi di un “potere popolare” dal basso con il quale qualunque futuro esecutivo sarebbe costrtto a fare i conti con molta attenzione. In questa fase, l’azione delle masse non porterebbe alla “conquista del potere politico”, ma al costituirsi nei fatti di un embrione di “dualismo di potere” suscettibile di molte evoluzioni. In ogni caso diverse dalla sperata accettazione senza resistenza delle “riforme” imposte dall’alto, dal cielo sopra Bruxelles e Francoforte.
Questa ipotesi, nel contesto attuale, può essere coltivata senza cadere nell’avventurismo. Realisticamente, infatti, oggi nessuna forza di classe è minimamente in grado di prendere e mantenere il potere. Le vecchie classi dominanti non si sono ancora dimostrate impossibilitate a governare, così come le classi sociali subalterne non hanno ancora mostrato nitidamente di non essere più disposte a esser comandate. Questo è un punto fondamentale, che sarebbe ingenuo e infantile ignorare. Tuttavia non viviamo in tempi “normali”. Se, come abbiamo sostenuto da tempo nelle nostre analisi e come la stessa borghesia imperialista oggi è costretta a riconoscere, la crisi sistemica del modo di produzione capitalista si va aggravando, quelli che stiamo vivendo sono giorni che valgono decenni. In periodi come questi, come Lenin ha insegnato, occorre usare un’unità di misura diversa da quello dei tempi pacifici e normali. Per questo non dobbiamo delegare alla kamarilla di Palazzo la fine del regime berlusconiano. Dobbiamo, insieme alle masse, essere parte attiva della sua caduta.
Far cadere il governo nelle piazze significa far compiere un balzo in avanti al “fronte di massa” perché significa chiarire sin da subito, al neogoverno in pectore, la nostra indisponibilità sia al collaborazionismo di classe, sia alla passiva sottomissione. Far cadere il governo nelle piazze – a cominciare da sabato 15 ottobre – significa cogliere “concretamente” l’occasione che le contraddizioni, ancorché in una dimensione ancora locale, ormai manifeste della borghesia imperialista mostrano e al contempo offrono. Far cadere nelle piazze il governo significa, qui e ore, dire al futuro esecutivo, con la forza dei fatti: Noi il debito non lo paghiamo.
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Margherita
Secondo voi nella situazione in cui siamo, quello a cui possiamo aspirare è “dire al futuro esecutivo con la forza dei fatti che noi il debito non lo paghiamo”? Parlate di Lenin e del 1917. Ebbene nel 1917 Lenin e i bolscevichi non è che chiedevano “pace, terra e libertà” al governo provvisorio dei L’vov e dei Kerenskij, dicevano “tutto il potere ai soviet” e organizzavano i contadini e gli operai intorno a questo obiettivo. Compagni, impariamo dai comunisti che ci hanno preceduti! Secondo voi l’unica cosa che possiamo fare è resistere, protestare, dire no, rivendicare? Il debito non va pagato, va annullato. Ma chi lo può annullare il debito? Se non lo dite, la vostra è solo una sparata propagandistica… o pensate che un governo Bersani e soci o Montezemolo e Monti farebbe una cosa del genere? Giulietto Chiesa all’assemblea dell’1.10.11 ha parlato di comitati di emergenza popolare… diciamola tutta: governo di emergenza popolare! Così sì che è possibile
1. Non pagare il debito, far pagare i ricchi e gli evasori fiscali, nazionalizzare le banche
2. No alle spese militari e cessazione di ogni missione di guerra, no alla corruzione e ai privilegi di casta
3. Giustizia per il mondo del lavoro. Basta con la precarietà. Siamo contro l’accordo del 28 giugno e l’articolo 8 della manovra finanziaria.
4. Per l’ambiente, i beni comuni, lo stato sociale. Per il diritto allo studio nella scuola pubblica.
5. Una rivoluzione per la democrazia. Uguale libertà per le donne. Parità di diritti per i migranti. Nessun limite alla libertà della rete. Il vincolo europeo deve essere sottoposto al nostro voto.
redvet
Editoriale del tutto condivisibile. Ma se ci trovassimo di fronte ad una risposta militare tipo Weimar? Manca la soggettività organizzata…