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Alitalia di nuovo in pista per un “salvataggio”

La compagnia di bandiera perde 630mila euro al giorno e in cassa ci sono soltanto 300 milioni. In quattro anni sono stati accumulati 735 milioni di “passività”, nonostante salari da fame, equipaggi sottodimensionati rispetto agli standard internazionali, orario di lavoro prolungato, ricatti continui, flessibilità a gogo, contratti precari e tagli su tutte le voci possibili.
Tra le ipotesi in circolazione: una maxi-operazione truffa, con l’abbellimento dei bilanci tramite una “rivalutazione” miliardaria dell’offerta “mille miglia”; la vendita a prezzi stracciatiad Air France (già ora socio di riferimento, con oltre il 20% del pacchetto) oppure – udite idite – un ritorno della compagnia allo Stato.
Dal 12 gennaio, però, i soci della Cai (la società-veicolo inizialmente formata per fare “merceria e passamanerie”…) potranno liberarsi delle loro quote, perché scade il vincolo “lock up” firmato al momento della “chiamata alle armi” da parte di Berlusconi. E difficilmente soci come Riva (sì, quello dell’Ilva!), Marcegaglia, ecc, resisteranno alla tentazione di svignarsela da un business mai decollato. Sarebbe un segnale devastante che metterebbe rapidamente fine a un agglomerato sicetario scombiccherato quant’altri mai e frutto di un’operazione politica vergognosa, supportata a suo tempo dalla banca IntesaSanPaolo (sì, quella diretta allora da Corrado Passera!) con un “piano Fenice” che resterà negli annali delle chiacchiere spacciate per progetti industriali.
Di chi la colpa? Qui, bisogna dire, c’è un “concorso” piuttosto vasto.
Certamente è colpa di questi “imprenditori” corsari che si precipitano a spolpare cadaveri ma si rivelano poi incapaci di dar vita a un’azienda che funzioni. Colaninno, Sabelli, Benetton, Toto (sì, quello che aveva portato AirOne sull’orlo del fallimento e poi se l’era cavata entrando con tutto il vettore e gli aerei che non poteva pagare nella “nuova Alitalia”) avevano pensato di “fare un giro” e poi vendere tutto ad Air France. La quale, nel frattempo, ridisegnava tranquillamente la sua offerta globale ridimensionando al massimo il ruoolo del vettore italiano di cui aveva il controllo di fatto.
Una colpa “strutturale” ce l’ha la classe politica, che ha aperto completamente le porte  – unico paese in Europa, tra quelli che contano – alle compagnie low cost. L’ha fatto concedendo slot – autorizzazioni al decollo e all’atterraggio – tra i più redditizi a queste compagnie, autorizzando la costruzione di decine di piccoli aeroporti inutili per il trasproto nazionale ma utilissimi per le consorterie locali e ancora una volta per le compagnie low cost.
Una colpa criminale ce l’hanno i sindacat “responsabili” – Cgil, Cisl, Uil, e Anpac per i piloti – che hanno sempre fatto del “cedimento contrattato” la loro unica strategia; senza mai mettere in discussione davvero le scelte delle aziende e del governo. Anzi, avallandole tutte.
Ora si va al redde rationem, con decine di migliaia di lavoratori in cassa integrazione (pagati quindi dallo Stato) e i voli nazionali gestiti da piccole compagnie low cost come la Carpat Air, che quando arrivi si salutano col messaggio “grazie per aver volato Alitalia”. Alitalia?

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