Menu

Mettere l’asticella oltre il 15 Ottobre

 ma sta intercettando un’esigenza diffusa di resistenza e opposizione alle terapie d’urto e alle manovre antipopolari che Bce e Unione Europea – ormai definibili come il “governo unico delle banche” – stanno imponendo ai paesi europei ed in particolare a quelli più esterni al nocciolo duro franco-tedesco.

La manifestazione italiana è parte di una convocazione europea e internazionale, ma se ne discosta per una maggiore attenuazione dei contenuti apertamente anticapitalisti. Il tentativo di far aprire il corteo da uno striscione che reclama “Cambiare l’Europa per cambiare l’Italia” somigliava obiettivamente ad un possibile futuro slogan elettorale, più che a un’indicazione conflittuale verso i diktat della Bce e gli esecutori bipartisan nel nostro paese.

Va registrata tra i fatti positivi l’individuazione della Banca d’Italia, di Draghi e dello stesso Napolitano come bersagli delle contestazioni in diverse città italiane, che potrebbe segnare la fine della subordinazione all’antiberlusconismo come cemento capace di tenere insieme gli amici e i critici della lettera “lacrime e sangue” della Bce. Questo segnale c’è stato e avrebbe dovuto essere quello che caratterizzava l’intero impianto della mobilitazione del 15 Ottobre in Italia.

Altro segnale importante è che la parola d’ordine del “No al pagamento del debito” si è diffusa rapidamente ed stata fatta propria da settori sociali e politici assai più ampi di quelli che si sono riuniti nell’assemblea nazionale del 1 ottobre a Roma. Questo contenuto aveva tutte le carte in regola per essere il tema centrale della convocazione italiana del 15 Ottobre. Ma se una parte gli organizzatori ha avuto paura persino di declinare anche in lingua italiana lo slogan europeo “Peoples of Europe Rise Up!”, è evidente che annunciare un ripudio pubblico e di massa contro il pagamento del debito pubblico avrebbe scompaginato ogni futura pretesa – legittima, ma completamente sbagliata – di usare “i movimenti” per condizionare le scelte strategiche di un possibile governo di centrosinistra candidato a sostituire Berlusconi con la benedizione dei poteri forti europei, di Confindustria, Abi, Repubblica e Vaticano. Questa illusione c’è già stata nel 1996 e nel 2006 ed è sempre naufragata, lasciando disorientamento, rabbia, disgregazione, recriminazioni che hanno indebolito ogni relazione tra le forze della sinistra parlamentare e i settori popolari. Dentro una crisi pesante come quella in corso, alimentare tale illusione sarebbe ancora più sciagurato e suicida.

Abbiamo partecipato e contribuito alla costruzione della manifestazione nazionale del 15 Ottobre, non negandoci mai alla discussione – spesso aspra – nel comitato organizzatore. Una discussione che solo apparentemente poteva sembrare legata al percorso del corteo, alle sue conclusioni, agli striscioni iniziali. In realtà, dentro la preparazione del 15 ottobre ha agito una divergenza politica profonda, non tanto e non solo sui contenuti e le modalità della manifestazione, quanto sulle scelte da fare e il conflitto da praticare ed organizzare dal 16 ottobre in poi. Non abbiamo mai avuto passione per “gli eventi” che totalizzano ogni scenario e scatenano volontariamente o involontariamente una corsa alla visibilità, una sorta di demone che incentiva a preferire la “rappresentazione del conflitto”, piuttosto che l’organizzazione della sua pratica e la verifica continua di quanto buone idee e indicazioni credibili coincidano effettivamente con il senso comune e i livelli di coscienza del nostro blocco sociale di riferimento. Un blocco ormai tutt’altro che omogeneo.

Restiamo convinti che la realtà sia ancora il parametro più veritiero di ogni ipotesi di trasformazione sociale di questo paese e degli altri paesi europei. Dentro questa realtà agisce una crisi della civilizzazione capitalistica oggi percepibile da settori e gruppi sociali assai più ampi di quelli attivizzatisi nel movimento dei social forum di dieci anni fa. Oggi, per ammissione anche dei molti suoi guardiani, è il sistema capitalista ad essere in crisi, avvitato nella ricerca di una via d’uscita che non sia quella della rovina del sistema stesso – “di tutte le classi in lotta”, direbbe il vecchio Marx. Al momento scelgono la vecchia ricetta, quella che conoscono meglio: scaricare violentemente tutti i costi della crisi sui lavoratori e le classi subalterne, e addirittura su qualche pezzo della stessa borghesia diventato troppo marginale e ingombrante (la crisi del blocco sociale berlusconiano o l’uscita di Marchionne dalla Confindustria indicano due modi diversi di separare i propri destini da quelli “del paese”).

Spetta allora a chi tale scenario intende rovesciare ovunque sia possibile, mettersi in gioco per cogliere ogni occasione per far retrocedere il nemico di classe. Draghi e Napolitano “assediati” in un paludato convegno dentro la Banca d’Italia è stato un segnale straordinario, così come le azioni di protesta dei giovani e degli studenti verso le banche, la Borsa di Milano, gli uffici di Moody’s, o lo sciopero generale del 6 settembre scorso o la resistenza popolare dei No Tav in Val di Susa. Esse indicano un “nemico” chiaro e riconoscibile a livello di massa, che è un passaggio preliminare della costruzione di un’identità sociale unitaria per un blocco di interessi materiali, priorità sociali e aspettative ideali da riorganizzare concretamente nel nostro paese per cambiarlo in profondità.

Il 15 ottobre saremo in piazza, ma la nostra attenzione e la nostra tensione non può che essere già da oggi proiettata sul tempo e sui conflitti sociali successivi a questa data.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *