accusando gli altri per i propri errori, articolando una mini-teoria del complotto; “ce l’hanno con me perché sono piccolo e nero”.
Non c’erano allora molti migranti dalle nostre parti, e quindi professarsi antirazzisti era una formula retorica facile come tifare per il Basutoland alle Olimpiadi. Quel pulcino pigolante in un ossessivo sforzo di farsi volere bene si chiamava Calimero.
La premessa spiega perché, tra i più attempati commentatori politici, il nomignolo del titolo sia stato immediatamente forgiato per l’ex Super-Mario ora in picchiata. E afflitto al punto di uscirsene con una frecciatina davvero poverella: «Il mio governo ed io abbiamo sicuramente perso negli ultimi tempi l’appoggio che gli osservatori ci attribuivano da parte dei cosiddetti poteri forti: in questo momento non incontriamo il favore di un grande quotidiano, considerato voce autorevole dei poteri forti e non incontriamo i favori di Confindustria».
Ma dai… Monti, il presidente europeo della Commissione Trilaterale, il menbro del Direttivo del Bilderberg Group, l’international advisor di Goldman Sachs e Coca Cola, l’ex Commissario europeo nominato da Berlusconi… Quello che al momento della davvero insolita nomina a presidente del consiglio se n’era uscito smentendo che il suo personalissimo governo fosse “espressione dei poteri forti”… Ora si lamenta d’esserne stato abbandonato?
Confindustria è chiamata per nome e cognome, il “grande quotidiano” è ovviamente il Corriere della sera. Il “suo” giornale.
In effetti, che Alesina e Giavazzi l’abbiano sbertucciato dalle colonne del giornale di via Solferino è una scortesia grave, tra vecchi complici e colleghi (Mario Monti è stato editorialista di vaglia del Corsera fino al giorno prima di assumere l’incarico attuale; e tornerà ad esserlo quando uscirà da palazzo Chigi). Specie Giavazzi si è comportato davvero come una serpe in seno, visto che può vantare persino una fresca nomina a superconsulente di questo governo – insieme a Enrico Bondi e Giuliano Amato – «per fornire al presidente del Consiglio, al ministero dell’Economia e a quello dello Sviluppo analisi e raccomandazioni sul tema dei contributi pubblici alle imprese».
Probabile che il Giavazzi si sia risentito dopo aver brutalmente perduto lo scontro di competenze con il ministro dello sviluppo, Corrado Passera, fino a essere soprannominato – nel ministero di via Veneto – “chi l’ha visto?”. Problemi suoi, comunque.
Il problema vero è che con questa sortita Monti ha ufficializzato la faglia apertasi sotto i suoi piedi. Questo governo venuto da altrove per mettere tutti a posto, ha messo sotto soltanto i lavoratori (“tutti precari per equità”, appena finirà l’iter parlamentare del ddl sul mercato del lavoro) e i pensionati (“tutti poveri per equità”, presenti, passati e futuri). Mentre di “stimoli alla crescita” non se ne vedono. Anzi, il “decreto sviluppo” sembra morto prima ancora di venire esaminato in consiglio dei ministri.
Che gli zombies (i partiti parlamentari) possano riprender vita e mandarlo sotto è ora una possibilità concreta. Che i mercati siano pronti a fare una macelleria messicana (pardon: greca) un minuto prima delle dimissioni dei “tecnici” è una solida certezza.
Che i movimenti di lotta possano prender piede, vigore, autorevolezza è anch’essa una possibilità. Ampiamente prevista sia dagli istituti di ricerca (Censis in testa) che, oggi, persino dai giovani industriali.
Movimento No Debito e assemblea del 26 maggio, insieme ai sindacati di base e all’ala conflittuale della Cgil (la Fiom e poco altro, diciamoci la verità), possono riempire un vuoto e dare una prospettiva alternativa alla disperazione individuale o di piccolo gruppo. Servono nervi saldi e occhio lungo. Il futuro, in tempi di crisi generale, è quello che sappiamo costruire con la nostra azione collettiva.
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