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Terremoto politico

Quello che ha colpito l’Emilia è significativo da molti punti di vista. Stiamo parlando infatti del territorio italiano che più di tutti era sembrato coniugare sviluppo economico, redistribuzione della ricchezza, buona amministrazione, diritti del lavoro, partecipazione politica e libertà personali.

La raffica di scosse ha rivelato che sotto l’apparenza progressiva del “modello emiliano” molti aspetti “strutturali” si erano radicalmente trasformati negli anni, dal dopoguerra a oggi.

Contiamo molti operai morti perché mandati a riavviare la produzione o a ripristinare l’agibilità anche in mezzo a decine di nuove scosse. Persone che – come ha titolato persino il Corriere della sera – “non potevano dire no”. Troppo alto il ricatto: o vai o perdi il posto di lavoro. Tra un mese, quando questo Parlamento di portaborse “nominati” dalle segreterie di partito avrà finito di pigiare i bottoni del voto, non ci sarà più l’art. 18 e tutti – ma proprio tutti – i lavoratori italiani si troveranno nella stessa condizione che ha guidato alla morte quei ragazzi, italiani e migranti, nei capannoni del miracolo emiliano. Parimenti ricattati, “equamente” schiavizzati.

Vediamo strutture architettoniche storiche e moderne crollare per l’identico motivo: mancato rispetto delle norme antisismiche. Lacuna imperdonabile soprattutto per le costruzioni recenti, ovviamente. E scopriamo che la comunità scientifica di riferimento – i geologi – avevano sempre indicato alle istituzioni anche la Pianura Padana tra le zone a rischio sismico, anche se meno grave che altrove. Questione di morfologia e caratteristiche delle rocce (l’arenaria di quella parte d’appennino è molto più “morbida” del calcare o del granito, quindi “conduce” meno l’onda sismica), anche se il disegno sotterraneo delle faglie è molto complesso e frammentato. Una comunità scientifica di alto livello, con tradizione e competenze all’altezza dei “cugini” giapponesi, che sono cresciuti studiando un territorio altrettanto problematico. Una comunità di scienziati che paghiamo (malissimo) perché ci dica la verità e indirizzi le scelte di governo in certe materie.

Scopriamo però un vuoto di legislazione che obblighi i costruttori a rispettare anche lì i criteri previsti altrove. Un vuoto tutto italiano che illumina sulla qualità dell’imprenditoria nazionale e sulla sua capacità di condizionare “la politica” in tutto il dopoguerra. Anche nelle “regioni rosse”. Un’imprenditoria pezzente, che ha scavato sempre i suoi margini di guadagno sul “grattare qualcosina”, sia che si tratti di salario e diritti (siamo la patria del lavoro nero, in Europa occidentale), sia che si tratti di sicurezza. Un’imprenditoria incapace persino di ragionare capitalisticamente, come invece ha fatto quella giapponese. Perché capannoni ed edifici solidi, antismici, “costano” nell’immediato qualcosa di più, ma durano anche infinitamente di più. “Rendono”, alla fin fine, molto di più.

Siamo invece la patria delle “ricostruzioni”, business principale per un ceto imprenditoriale arroccato sul mattone. E scopriamo così che una cosa è – economicamente – che crollino delle abitazioni mal costruite, seppellendo la gente che vi abita; un’altra è che crollino i capannoni industriali, seppellendo assieme uomini (competenze) e macchinari (capitale fisso in fase di ammortamento). Nel primo caso si crea “nuovo valore”, dando da lavorare anche alle pompe funebri; nel secondo se ne perde. L’intero settore della metalmeccanica elettromedicale faceva praticamente base tra Modena e Mirandola. Era uno dei pochi a non aver ancora sentito per intero il morso della crisi. Ora non sappiamo se si potrà riprendere, in quali tempi, a quali costi, con quali perdite su mercati ovviamente – fin da stamattina – ancora più “competitivi”.

 

L’Emilia “rossa” si scopre minata nel fisico e nel morale. E va ad allargare la faglia scavata tra paese reale e l’intera classe dirigente. Non solo la “classe politica”, come dicono all’unisono grillini, poteri fortissimi e media mainstream (una coincidenza singolare, non vi sembra?).

Una classe ben rappresentata dall’ex comunista migliorista che si muove ormai come un sovrano altezzoso, che nega persino gesti poco più che simbolici; come il richiestissimo annullamento della parata militare del 2 giugno, per destinarne il budget alla ricostruzione post-terremoto. Persino Giovanni Leone, democristiano e corrotto al punto da essere l’unico presidente della Repubblica costretto alle dimissioni, fece questo gesto in occasione del terremoto del Friuli. Una goccia nel mare, sarebbe stata. Ma nemmeno quella viene versata.

Una classe autoreferenziale e pericolosa soprattutto per noi che stiamo sotto, ma anche per se stessa, a lungo andare.

Quella faglia va allargata fino a creare un burrone. In cui questa classe dirigente possa precipitare con agio. Senza rimpianti.

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1 Commento


  • Damiano DallArmellina

    Complimenti agli autori per il lavoro, da quando mi sono iscritto ogni articolo è interessante, puntuale e ben scritto. Davvero non è piaggeria e non ho nessun interesse di sorta.. Ma si può sapere chi siete, quando è nato il sito/giornale, la sua storia, ecc? Non sono nemmeno una spia.. 🙂

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