Ovvero che la “nuova” Chiesa di Francesco I è la stessa di sempre, ma con un volto più “popolare” e meno “normativo” del teologo tedesco che l’ha preceduto e con cui ha scritto la “prima enciclica” a quattro mani.
A suo modo – l’avevamo scritto al momento delle sue storiche dimissioni – Ratzinger è stato un vero “rivoluzionario” della Chiesa moderna. Intendendo per “rivoluzionario” non certo un inesistente tratto “progressista”, quanto la capacità – propria dei grandi leader con forte senso dell’istituzione che rappresentano – di trarre le estreme conseguenze dall’analisi delle difficoltà incontrate nell’azione. In quel caso avevamo sottolineato come l’abbandono del soglio pontificio fosse la risultante di processi di crisi cui la Chiesa attuale non sa più dare risposta. Come se, archiviata la “lotta al comunismo ateo” e il suo campione, Woytila, il senso stesso del cattolicesimo organizzato fosse andato perduto.
La “secolarizzazione” si era impossessata della Curia ben prima dell’alba del nuovo millennio. Gli scandali dello Ior e della pedofilia inseguono vescovi e cardinali da tempo immemorabile. Soltanto ora, però, non sono più vendibili come “debolezze minori” rispetto al perseguimento di un fine nobile superiore. Il “compromesso storico” tra Chiesa e capitalismo selvaggio, prosperato all’ombra della lotta al comune nemico “socialista”, richiede una radicale messa a punto, un rovesciamento non solo nelle formule ma nelle forme delle stare in questo mondo.
Ci stanno provando con Francesco I, peraltro ancora assistito dal teologo.
Fin qui nessuna sorpresa. Dunque, perché in tanti si “stupiscono” che qualcuno – noi tra questi – non si pieghi all’ammirazione incondizionata per il nuovo papa che parla dei poveri, dei migranti, degli ultimi?
Siamo costretti a notare che “l’opinione pubblica” nazionale – se pure ancora esiste – si è assuefatta completamente alla menzogna proveniente ogni giorno dai cieli del potere. Parliamo della menzogna che nega la realtà stessa, costruendone un’altra inesistente tramite la retorica dei media mainstream. È la pratica retorica berlusconiana, condivisa dai Renzi, dai Letta e dai Vendola come dai Lupi, Cicchitto e Alfano (o Santanché). È quell’esercizio per cui “i ristoranti sono pieni” mentre la gente perde il lavoro e riduce anche i consumi essenziali; lo stesso per cui “vediamo la luce in fondo al tunne” mentre persino Confindustria confessa di navigare nel buio pesto; lo stesso per cui Marchionne accusa un vescovo di stare “dalla parte dei violenti” (la Fiom, mica l’autonomia operaia anni ’70…).
In questo flusso continuo di realtà virtuale basta che un soggetto nomini un fatto vero, realmente percepito da ognuno nella propria esperienza quotidiana, perché si rimanga abbagliati. Com’è profonda quella constatazione, quel semplice nominare una cosa reale. Ci sono i poveri, i migranti che muoiono a decine di migliaia per arrivare sulle nostre coste, i generosissimi ma stanchissimi lampedusani che fanno fronte da anni da soli a un fenomeno epocale, l’indifferenza globalizzata, il cinismo individualistico come stile di vita normale e “fortemente consigliato”…
Spiegava già un maestro che ci sono tempi in cui “Lo Spirito si mostra così povero che per il proprio ristoro, come il viandante nel deserto brama per una sola goccia d’acqua, esso sembra agognare unicamente il sentimento indigente del Divino in generale. E la facilità con cui lo Spirito oggi si appaga dà la misura della grandezza di ciò che ha perduto”. Basta che un papa indichi l’esistenza insopportabile degli “ultimi”, in una società che al contrario pretende di averli già tutti “arricchiti” e resi “ceto medio”, per farne un campione dei poveri, quasi un sostituto accettabile del “socialismo perduto” o del “progressimo smarrito” da Pd, Sel e via recriminando.
Ma Bergoglio non è don Gallo. Il suo rapporto col “potere reale”, negli anni della dittatura dei militari in Argentina, non è stato davvero quello dell’opposizione intransigente. Basterebbe che fosse vero soltanto un decimo di quel che ha scritto su di lui Verbitsky per farne una figura assai meno “francescana”.
Non solo per questo, ma anche per questo, allora, invitiamo tutti a guardare con meno stupefatta ingenuità ai gesti nel nuovo papa. Perché “l’oppio dei popoli” è un traffico antico e redditizio. E soprattutto ha creato dipendenza…
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luciano
Il titolo di questo editoriale non poteva essere più appropriato.Siamo di fronte al solito gregge con a capo un pastore che ha capito benissimo quanto sia importante l’immagine che ci si deve dare in tempi di duro attacco alle condizioni di vita della maggioranza dei popoli che ancora credono nelle virtù salvifiche del dogma divino.Troppo lontane erano sembrate le aspettative di miglioramento e cambiamento di vita nella loro concreta realtà di immiserimento,dalla pomposa e troppo “intelletualistica”visione del mondo del precedente pontificato.Serviva una netta sterzata in senso “populista”,più “aderente”alla concretissima società in crisi di “rappresentanza”,dove i cosiddetti capisaldi,il collante che tiene assieme sfruttati e sfruttatori,stava pericolosamente sfaldandosi.Era urgente (per la borghesia multinazionale),avere a disposizione un’arma che nei secoli non ha mai fallito e che a giudicare dai post arrivati,(a proposito per un momento ho creduto di stare in un sito di una qualche setta religiosa),dovrebbe avere anche questa volta buon gioco nel far credere al” popolo”le sincere e buone intenzioni di questo non più novello affabulatore.Oggi più che mai è lecito e giusto dichiarare che le panzane rivolte ad una massa di sprovveduti,obnubilati da una fede incrollabile nella metafisica della religione,è da considerarsi uno dei maggiori ostacoli al riconoscimento della miserevole e criminale società dominata dal capitale!